Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Perché una nuova rivista? (di La Direzione )


SOMMARIO:

1. L’arbitrato: un istituto poliedrico - 2. Il legislatore italiano - 3. L’arbitrato societario: i tratti caratterizzanti della riforma - 4. La riforma dell’arbitrato di diritto comune - 5. I problemi irrisolti - 6. Perché una nuova rivista?


1. L’arbitrato: un istituto poliedrico

I vantaggi dell’arbitrato, forma primaria di Alternative Dispute Resolution, sono noti a pro­fessionisti e operatori: rapidità delle decisioni, riservatezza, competenza dei giudici, maggiore flessibilità nell’individuazione delle regole applicabili. È, tuttavia, uno strumento sofisticato che richiede appropriate competenze nella sua utilizzazione. Il percorso evolutivo dell’istituto, nel nostro ordinamento, è stato caratterizzato da interventi legislativi incisivi.


2. Il legislatore italiano

Il legislatore ha, anzitutto, recepito il messaggio, chiaro nella prassi e nella dottrina, che terreno elettivo per la giustizia arbitrale è il diritto societario. Se per ogni cittadino l’incertezza protratta sull’esito di una controversia costituisce sicuramente un danno, per le imprese, dove rapidità e certezza delle decisioni sono un valore essenziale, i tempi del processo ordinario diventano, ogni giorno di più, un costo non sopportabile e un motivo di inefficienza. Ne consegue che l’arbitrato, in materia commerciale, assume un ruolo rafforzato di stru­mento alternativo alla giustizia togata, per la celerità delle decisioni, che si perfezionano nell’arco di mesi anziché di anni; per la “competenza” dei giudici, scelti tra esperti del settore o addirittura tra esperti della materia; per l’“indipendenza” degli arbitri, che riposa – o dovrebbe riposare – su di una solida cultura e deontologia arbitrale; per la “riservatezza” del procedimento e della decisione. Il legislatore della riforma societaria ha certamente inteso rafforzare, sotto molteplici profili, l’istituto, allo scopo di corroborarne la funzione di strumento alternativo di risoluzione delle controversie, in un ambito in cui, come si è detto, le peculiarità dell’arbitrato trovano un terreno elettivo di apprezzamento.


3. L’arbitrato societario: i tratti caratterizzanti della riforma

Il legislatore della riforma del diritto societario, con il d.lgs. n. 5/2003, ha profondamente innovato la materia dell’arbitrato societario, essenzialmente ampliando l’area delle materie compromettibili, accrescendo i poteri degli arbitri, risolvendo questioni interpretative controverse. Si può forse parlare, se vogliamo, di una riforma “pilota”, di un “laboratorio” nel quale il legislatore ha sperimentato soluzioni innovative poi in gran parte estese, con il d.lgs. n. 40/2006, all’arbitrato di diritto comune. Quest’ultima riforma non ha tuttavia colto l’occasione per sanare alcune aporie contenute nella disciplina dell’arbitrato societario; anzi, omettendo anche di adeguare i rinvii alle vecchie disposizioni, ha generato ulteriori nodi ermeneutici che dottrina e giurisprudenza sono chiamate a dirimere. Vediamo, in sintesi, le novità introdotte nel 2003. Tutte le controversie relative a diritti disponibili tra soci o tra soci e società sono compromettibili in arbitrato (art. 34, comma 1, d.lgs. n. 5/2003) e, se lo statuto lo prevede espressamente, anche le controversie promosse da o contro amministratori, liquidatori e sindaci (art. 34, comma 4, d.lgs. n. 5/2003). Sono espressamente ricomprese le questioni di validità delle deliberazioni assembleari, ma in tal caso gli arbitri devono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell’art. 829, comma 2, c.p.c. (art. 36, comma 1). L’efficacia dell’arbitrato è rafforzata. «La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia» (art. 34, comma 3, d.lgs. n. 5/2003). «Le statuizioni del lodo – dispone l’art. 35, comma 4°, – sono vincolanti per la società». I poteri degli arbitri risultano significativamente accresciuti. L’art. 35, comma 5, d.lgs. n. 5/2003, contiene una disposizione fortemente innovativa: «agli arbitri compete il potere di disporre (...) la sospensione dell’efficacia della delibera»; si statuisce però che la sospensione viene disposta «con ordinanza non reclamabile»: considerata l’importanza del provvedimento cautelare in materia di deliberazioni assembleari, si rischia così di introdurre quasi un anomalo “procedimento [continua ..]


4. La riforma dell’arbitrato di diritto comune

Ma il percorso riformatore non si è interrotto. Con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 2, legge 14 maggio 2005, n. 80), è stata portata a compimento una complessa ed articolata riforma dell’arbitrato di diritto comune. Le nuove disposizioni si applicano a tutti i procedimenti arbitrali, anche societari, nei quali la domanda sia stata proposta dopo il 1 marzo 2006. L’esame e lo studio dell’arbitrato societario non possono dunque oggi prescindere dall’analisi e dalla piena comprensione delle molteplici innovazioni portate dalla riforma del 2006. Una riforma, ci si perdoni il bisticcio, non rivoluzionaria, ma certamente opportuna ed equilibrata, le cui linee direttrici possono essere così schematizzate: a) razionalizzazione e rafforzamento dell’istituto; b) estensione dell’ambito di applicazione dell’arbitrato; c) riduzione di eccessivi formalismi tipici della previgente disciplina; d ) rafforzamento dei poteri degli arbitri; e) semplificazione o chiarimento di diversi profili procedimentali, anche alla luce dei problemi interpretativi e delle soluzioni adottate nella pratica; f ) previsione di regole analitiche in tema di responsabilità degli arbitri. Senza pretendere a tutti i costi di innovare con particolare radicalità (non ci si è spinti, ad esempio, sino al punto di abolire l’arbitrato irrituale), il legislatore del 2006 ha rettificato la disciplina tenendo sì conto delle esigenze, peraltro non immeritevoli di considerazione, degli arbitri (si pensi alla nuova disciplina dei termini, o alla subordinazione della prosecuzione del procedimento alla anticipazione delle spese), ma semplificando, o chiarendo, le regole relative al procedimento (si pensi all’arbitrato con pluralità di parti, alla sospensione, al­l’arbitrato internazionale, alla semplificazione delle regole), rafforzando l’istruzione probatoria (si pensi alla facoltà di richiedere l’ordine di comparizione), riducendo i rigori formalistici eccessivi (si pensi ad alcune ipotesi di nullità formali, ora abolite), riscrivendo, nella logica della stabilità del lodo, temperata dal rinvio all’autonomia privata (cfr., ad esempio, art. 829, comma 2 e 3, c.p.c.), le norme sulle impugnazioni, equiparando, il punto è cruciale, il [continua ..]


5. I problemi irrisolti

Non pochi sono, tuttavia, i problemi rimasti irrisolti. Paradigmatica la questione della validità delle clausole arbitrali “ancien régime” − cioè con nomina degli arbitri ad opera delle parti − nell’arbitrato societario: una giurisprudenza copiosa − si contano oltre cento pronunce, anche della Suprema Corte − salomonicamente di­visa tra validità e invalidità, notai sanzionati, progetti di legge giacenti, interventi riformatori auspicati ma di incerta realizzazione. Ma altre questioni delicate rimangono, anche fisiologicamente, aperte: l’individuazione delle materie compromettibili, la qualificazione (e gli effetti) dell’arbitrato irrituale, la contumacia, gli effetti del fallimento, solo per citare i più comuni. Particolarmente delicati sono poi i problemi processuali: la flessibilità procedurale − pre­gio indubbio dell’istituto − impone tuttavia, frequentemente, interventi creativi dei giudici arbitrali. E il panorama si arricchisce se si ampia lo sguardo all’arbitrato amministrato dalle Camere Arbitrali, con i diversi regolamenti, all’arbitrato internazionale, agli arbitrati speciali.


6. Perché una nuova rivista?