Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

La consulenza tecnica nel giudizio arbitrale: divagazioni più pratiche che teoriche (di Francesco Benatti)


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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Le convenzioni di arbitrato - 3. Lo svolgimento della consulenza - 4. Consulenza tecnica e prova - 5. Sul protocollo di disciplina della consulenza tecnica - NOTE


1. Premessa

Il tema è importante, perché – quando si ricorre alla consulenza – essa costituisce il fondamento su cui l’Arbitro costruisce la decisione e perciò grande attenzione deve essere riposta nel momento in cui si utilizza questo mezzo probatorio. Normalmente viene decisa per ragioni squisitamente tecniche, quando non sono sufficienti i comuni strumenti di conoscenza, non essendo adeguate le prove testimoniali, documentali, ecc. Accade anche che la consulenza sia disposta per comodità dell’Arbitro, desideroso di spogliarsi dal gravoso compito di accertare l’accadimento dei fatti, essendo per lui più semplice servirsi del consulente per ricerche ed indagini che potrebbero essere fatte altrimenti. Il Convegno, cui hanno partecipato esperti dell’arbitrato e di economia aziendale, indipendentemente dalla loro estrazione accademica, è stato denso di spunti e di prospettazioni (anche in vista dell’intento della Camera Arbitrale di Milano di preparare un protocollo in materia) e ha disegnato un quadro della disciplina e della prassi della consulenza anche in prospettiva, pur nella varietà di opinioni, su cui ciascuno di noi deve fare tesoro e meditare. Va infine sottolineato che i problemi della consulenza nell’arbitrato sono pressoché identici (salvo poche variazioni) a quelli che sorgono nel processo avanti il giudice ordinario, sicché il contributo apportato dal Convegno può essere il punto di partenza per un affinamento nel modo di condurre la consulenza in presenza di un processo, qualunque sia la sua natura. Andrea Zoppini ha introdotto il Convegno con il catalogo dei temi attinenti alla consulenza, che non è un mero elenco, ma una suggestione ricca di idee e prospettazioni. Questa suggestione, unita alla mia personale esperienza e alle voci che ho ascoltato, mi porta ad alcune osservazioni di carattere pratico accompagnate da scarse notazioni teoriche.


2. Le convenzioni di arbitrato

Le parti hanno il potere di stabilire «nella convenzione di arbitrato, o con atto scritto separato, purché anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli Arbitri debbono osservare nel procedimento» (art. 816-bis c.p.c.). Ci si domanda se possono escludere l’e­spletamento della consulenza. Una simile clausola va ritenuta nulla, perché l’arbitrato è un “processo” e come tale è necessario che il giudice abbia tutti i mezzi diretti ad un accertamento veritiero dei fatti, senza i quali non può decidere oppure decidere in forma sommaria ed approssimativa; il che è in palese contrasto con lo scopo per cui la decisone della lite deve avvenire attraverso un procedimento (arg. ex art. 824-bis c.p.c. e 2698 c.c.). Ciò è tanto più vero se si riflette che in molte controversie (e sono quelle più rilevanti) l’accertamento dei fatti e la loro conseguente valutazione sfugge alle normali conoscenze, ma esige un alto grado di tecnicalità. Per esse, senza la consulenza, l’Arbitro non sarebbe in grado di emettere un lodo che sia coerente con la realtà della fattispecie concreta perché non in possesso di tutti gli elementi fattuali. Un simile principio si applica anche all’arbitrato irrituale. Malgrado la decisione finale abbia natura diversa da quella che è il prodotto dell’arbitrato rituale, la prima essendo una «determinazione contrattuale» (art. 808-ter c.p.c.), la seconda avendo «gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria» (art. 824-bis c.p.c.), essa scaturisce pur sempre da un “processo”, che è naturalmente prodromico alla determinazione dell’Arbitro irrituale. Anche nell’arbitrato di equità una clausola di esclusione della consulenza è invalida. L’equità è una regola di giudizio, cioè concerne la pronuncia (art. 822 c.p.c.) e non attiene alla modalità con cui si perviene alla pronuncia, modalità che sono soggette alle note regole. Le parti possono convenire di non fare uso delle prove atipiche [1] o soltanto di talune di queste, perché con riguardo ad esse mi pare che non si leda un principio cardine del processo. Di solito è accaduto che i contendenti convengano una [continua ..]


3. Lo svolgimento della consulenza

3.1. – La consulenza tecnica può essere disposta d’ufficio dall’Arbitro. Lo si ricava dall’art. 816-ter, comma 5, c.p.c. e si tratta di una soluzione ragionevole. La comprensione di fatti che richiedono nozioni tecniche che non si possono acquisire con i tradizionali mezzi di pro­va e che vanno al di là della preparazione di un soggetto anche di elevata cultura, non può che avvenire tramite la consulenza. Questa può essere chiesta anche dalle parti o da una di esse. Il mancato accoglimento esige una motivazione, al pari di tutte le istanze istruttorie, che può essere contenuta nell’ordinan­za di reiezione dell’istanza oppure anche nel lodo.   3.2. – Appare delicata la fase di redazione delle premesse alla consulenza, quelle cioè che precedono i quesiti e con le quali viene definito l’ambito dei poteri investigatori del perito. Non vi è alcun dubbio che può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti personalmente, ai loro difensori, ad assumere informazioni presso terzi (che però non possono assumere la veste di testimoni), ad effettuare ispezioni. Il tema più controverso riguarda la possibilità di acquisire (o accettare, se depositati dalle parti) documenti non prodotti, ove non vi sia il consenso di tutti i litiganti, quando sia chiusa la fase di deduzione dei mezzi istruttori. La loro ammissione, se consentita dall’Arbitro nelle premesse, potrebbe contrastare con il principio dispositivo e con le regole che disciplinano l’onere della prova. Occorre evitare di supplire a deficienze delle difese attraverso la perizia. È opinione comune che il consulente «sia comunque abilitato ad acquisire, anche di sua iniziativa, ogni elemento necessario all’espletamento del mandato, pur desumendolo da documenti non prodotti in causa, quando si tratta di fatti accessori, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e non di fatti e situazioni che, in quanto posti direttamente a fondamento delle domande e delle eccezioni delle parti, debbano essere provati solo da queste» [2]. Il principio appena espresso conduce a questa raccomandazione. Si consiglia all’Arbitro di non consentire al perito, fin dall’inizio della sua attività, di chie­dere documenti alle parti, anche se tale [continua ..]


4. Consulenza tecnica e prova

4.1. – La consulenza tecnica viene inquadrata nel contesto dell’istruzione probatoria (artt. 191 ss. c.p.c.), ma ha una autonoma regolamentazione che precede le norme sull’assunzione dei mezzi di prova in genere e quelle specifiche sui singoli mezzi. Partendo dal dato topografico, si è formata l’opinione che la consulenza non può essere considerata un mezzo di prova in senso proprio «quanto piuttosto un più labile e indeterminato mezzo di istruzione probatoria in senso lato. Ossia, in altri termini uno strumento avente la funzione di fornire al giudice gli elementi conoscitivi necessari per la corretta valutazione di dati ed elementi già acquisiti al processo, per la cui utilizzazione in chiave decisoria siano necessarie conoscenze che il giudice non possiede» [4]. In sintesi, funzione della consulenza non sarebbe quella di convincere il giudice circa la verità o non verità di determinati fatti, bensì di fornirgli le cognizioni tecniche di cui non è provvisto. Ma dal dettato normativo (artt. 62 ss. e 191 ss. c.p.c.) si coglie che allo stesso legislatore la consulenza sembra assumere una duplice valenza come mezzo non solo deducente ma anche percipiente: è l’eco dell’autorevole insegnamento di Francesco Carnelutti. L’ambigua collocazione della posizione del consulente nel sistema del codice processuale ha dato maggiore risalto alla funzione deducente, mentre è stata messa in ombra quella percipiente. A seguito del sempre più rapido progresso tecnologico e della complessità delle questioni che richiedono accertamenti tecnici sempre più sofisticati, la funzione percipiente sta emergendo negli ultimi tempi attraverso la c.d. prova scientifica. Il dominio della tecnica, che supera ogni antico riferimento e sembra sconvolgere, a dire di taluni, anche le fondamenta su cui si articolava il nostro sapere e il nostro pensiero, non può non imporsi anche nel mondo del processo e lasciare soli, e soltanto loro, l’Arbitro e le parti in balia degli strumenti tradizionali, spesso non più efficienti in un epoca in cui la tecnica è padrona assoluta di ogni situazione. In questa nuova atmosfera il metodo scientifico diventa uno strumento irrinunciabile non solo per la valutazione di fatti, ma per la loro stessa scoperta, fatti che senza tale metodo rimarrebbero ignoti. Le cognizioni e le [continua ..]


5. Sul protocollo di disciplina della consulenza tecnica

Il Convegno si è concluso con una tavola rotonda, diretta dall’Avv. Stefano Azzali, sul tema del progetto di un protocollo per la consulenza tecnica d’ufficio nei procedimenti arbitrali. Esistono protocolli già confezionati e sarebbe utile conoscere i benefici che hanno portato nelle procedure in cui hanno esplicato la loro operatività e la loro efficienza e gli aspetti di negatività. Ciò posto, vorrei esprimere qualche rilievo. a) Un simile protocollo non dovrebbe contenere clausole di natura precettiva né assumere la veste di linee guida, perché il discostarsi da esse potrebbe causare qualche difficoltà: l’Arbitro, soprattutto se ancora insicuro, potrebbe temere di compiere qualcosa di sbagliato, differenziandosi; l’esperto potrebbe volere evitare discussioni e non tentare nuove vie che potrebbero portare ad un miglioramento nel modo di condurre l’arbitrato e nella verifica del giudice sul controllo della consulenza; b) la veste dovrebbe essere quella di un manuale scritto in forma sintetica e chiara, cheoffra, a mero scopo informativo, i percorsi che attengono alla consulenza, cercando di indica­re, anche se ciò può sembrare elementare e forse noioso, le regole condivise della comunità scientifica e affermatasi nella prassi, oppure tratte da casi presentatisi nella pratica e, se possibile, prevederne altri; c) le ragioni delle precedenti indicazioni stanno nel fatto che nei numerosi casi di consulenza nell’arbitrato (e anche nel processo civile) in cui ho avuto occasione di parteciparenellepiù diverse qualità, è accaduta una tale molteplicità di problemi, criticità, inconvenienti, contrasti rispetto ai quali non è servita né l’esperienza del passato né la consultazione di testi giuridici e repertori di giurisprudenza, ma soltanto la fantasia di tutti i protagonisti, in particolare la collaborazione dei difensori, sempre indispensabile. Se manca, l’Arbitro, come il giudice, se non può restringere la libertà di ciascuno di esporre i suoi argomenti, perché sarebbero una “irruzione di violenza” [9], dovrà ricorrere alla sua “auctoritas”, non come atto di puro comando perché esercitata nell’ambito della legge, e soprattutto della ragione. Perciò, [continua ..]


NOTE