Traendo spunto da una sentenza che sancisce la compromissione in arbitrato della controversia societaria relativa alla responsabilità degli amministratori in applicazione della relativa clausola statutaria, il contributo analizza l’ambito oggettivo di arbitrabilità posto dalla normativa sull’arbitrato societario, soffermandosi sulla possibilità di ricomprendere nella competenza dell’arbitro anche l’azione del socio o del terzo ex artt. 2395 o 2476, comma 7 – già comma 6 –, c.c.
Inspired by a judgment stating that the corporate dispute relating to directors’ liability must be submitted to an arbitrator pursuant to the relevant statutory clause, the paper analyzes the objective scope of arbitrability established by the legislation on corporate arbitration, focusing on the possibility of including the action brought by the shareholder or by the third party pursuant to articles 2395 or 2476 paragraph 7 – yet paragraph 6 – of the Italian Civil Code.
Keywords: Limited Liability Company, Directors’ Liability, Arbitration Clause, Damage Directly Suffered by the Shareholder or by the Third Party.
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1. Il caso - 2. Ambito oggettivo della clausola, arbitrato irrituale societario, estensione soggettiva della clausola: delimitazione del campo d’indagine - 3. Ambito oggettivo: clausola compromissoria statutaria ed azione di responsabilità degli amministratori - 3.1. Diritti disponibili relativi al rapporto sociale quale condizione oggettiva di compromettibilità: sforzi definitori - 3.2. Compromettibilità dell’azione di responsabilità degli amministratori per il danno direttamente patito dal socio o dal terzo? - 4. Conclusioni - NOTE
Una società di capitali ed il suo legale rappresentante in proprio, nelle rispettive qualità di socia di minoranza di una s.r.l. e di terzo, convengono dinanzi al Tribunale di Milano la predetta s.r.l. ed il suo amministratore, esercitando avverso quest’ultimo azione di responsabilità ex art. 2476, commi 1, 3 e 6, c.c. Nell’atto di citazione, gli attori chiedono in via cautelare la revoca dell’amministratore, con conseguente nomina di curatore speciale per la s.r.l. ex art. 78, comma 2, c.p.c., e in via ordinaria l’accertamento della responsabilità dell’amministratore verso la s.r.l. e verso il socio (rectius la società socia) per mala gestio, con conseguente condanna al risarcimento del danno. Mentre la s.r.l. rimane contumace, l’amministratore eccepisce tempestivamente l’improcedibilità della domanda in virtù della clausola compromissoria contenuta nello statuto della s.r.l., chiamando comunque in garanzia la propria assicurazione nel caso di condanna al risarcimento. Anche l’assicurazione chiamata, peraltro, nel costituirsi osserva che tale eccezione è da ritenersi fondata, sia pure dopo aver evidenziato che la clausola compromissoria su cui si basa non le è opponibile. La sentenza in commento, della quale si riporta un estratto della parte in diritto, riconosce la fondatezza della predetta eccezione valorizzando elementi emersi in giudizio, quali la sostanziale mancanza di domande risarcitorie avanzate in proprio dal terzo attore, nonché l’adesione all’eccezione in parola avvenuta da parte di entrambi gli attori in sede di precisazione delle conclusioni. La pronuncia, infatti, dopo aver chiarito che non sono parte del thema decidendum pretese avanzate dal terzo in proprio e aver richiamato il testo della clausola compromissoria inserita nello statuto sociale, liquida in poche battute il tema dell’interpretazione della portata della clausola, in quanto non controverso tra le parti. Prima di provvedere in relazione alle spese del processo, quindi, il Tribunale dà sinteticamente atto dell’inopponibilità della clausola alla compagnia assicurativa terza e, all’interno del dispositivo, dichiara l’improcedibilità delle domande attoree per la intervenuta devoluzione delle stesse alla cognizione dell’arbitro irrituale ai sensi della clausola [continua ..]
La decisione in commento tratta il tema della clausola compromissoria, inserita nello statuto di una s.r.l., avente ad oggetto le “controversie societarie” derivanti da azione di responsabilità verso gli amministratori della società. Nel pervenire a conclusioni sostanzialmente condivisibili, la sentenza non indaga taluni aspetti problematici di tre questioni giuridiche attinenti al caso di specie. La prima questione è quella della compromettibilità in arbitrato dell’azione di responsabilità degli amministratori della società (rectius delle azioni, poiché nella specie il socio agisce sia per il danno che l’amministratore ha arrecato alla società, che per il danno arrecato a lui direttamente). Questa tematica viene subito individuata dal Tribunale, che non a caso si dilunga sulla corretta interpretazione delle conclusioni attoree: la compromettibilità in parola, infatti, sarebbe stata più che discutibile qualora anche il terzo attore avesse chiesto il risarcimento di un danno direttamente patito [1], per l’intuitiva ragione che questi – a differenza dell’altra attrice, socia della s.r.l., e del convenuto amministratore della società – non ha precedentemente accettato, nel “contesto sociale”, di deferire in arbitrato potenziali controversie future [2]. Sicché, una volta espunto dal perimetro del petitum lo spettro di una richiesta eventualmente avanzata dal terzo in proprio (rectius per un danno asseritamente subito in via diretta dal terzo medesimo per effetto della mala gestio dell’amministratore), la questione risulta notevolmente semplificata per il Tribunale. I giudici ritengono l’azione “ex art. 2476” rientrante nell’ambito di applicazione della clausola compromissoria in quanto gli attori hanno aderito all’eccezione di arbitrato del convenuto, senza tuttavia soffermarsi sulla possibilità di ritenere compromettibili in arbitrato entrambe le azioni esercitate in giudizio dal socio (i.e. ex art. 2476, commi 1 e 3, c.c., nonché ex art. 2476, “vecchio” comma 6 – oggi comma 7 –, c.c.) alla luce della formulazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003 [3]. La seconda questione attiene alla configurabilità dell’arbitrato societario irrituale [4] ed alla individuazione della relativa disciplina [continua ..]
La compromettibilità in arbitrato delle azioni di responsabilità degli amministratori viene diversamente valutata dagli interpreti in considerazione della formulazione dell’art. 34 d.lgs. n. 5/2003, rubricato “Oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie”. Dal combinato disposto dei suoi commi 1 e 4 [10], infatti, si ricava che tali clausole debbano espressamente prevedere la devoluzione in arbitrato societario delle controversie promosse nei confronti degli amministratori [11] per renderle compromettibili. Tuttavia, se oggi è pacifica l’arbitrabilità dell’azione di responsabilità degli amministratori per il danno arrecato alla società [12], anche quando tale azione sia concretamente esercitata dal socio [13], il dibattito circa la compromettibilità in arbitrato dell’azione relativa al danno direttamente sofferto dal socio per effetto della condotta contra ius tenuta dall’amministratore non appare del tutto sopito. A questo proposito, il dato letterale ricavabile dai richiamati commi 1 e 4 dell’art. 34 d.lgs. n. 5/2003 sembrerebbe indirizzare l’interprete verso il riconoscimento della compromettibilità dell’azione, giacché sul versante soggettivo il primo comma consente la devoluzione di “tutte le controversie insorgenti tra i soci (..) e la società”, mentre il quarto comma non effettua alcun distinguo ai fini della compromettibilità in relazione alla promozione dell’azione di responsabilità da parte di un soggetto piuttosto che di un altro. Quanto al versante oggettivo, tuttavia, va considerato che il primo comma permette di devolvere le richiamate controversie alla cognizione dell’arbitro societario a patto che esse abbiano ad oggetto “diritti disponibili relativi al rapporto sociale”. Si tratta, a ben vedere, di una vera e propria condizione oggettiva di arbitrabilità – rectius di compromettibilità in arbitri – prevista dalla normativa in commento, avendo il legislatore delimitato in astratto l’area delle controversie che possono essere validamente devolute alla cognizione degli arbitri. Occorre allora chiedersi se l’azione esercitata in proprio dal socio direttamente danneggiato dall’amministratore [14] soddisfi tale condizione, esigendo la norma che la controversia soggettivamente [continua ..]
La condizione oggettiva di compromettibilità sopra individuata consta, come anticipato, di due distinti requisiti: la disponibilità del diritto e l’inerenza del medesimo diritto al rapporto sociale. Il profilo della disponibilità del diritto è stato ripetutamente indagato dagli interpreti nel corso del tempo, essendo strettamente connesso al celeberrimo tema dell’autonomia negoziale dei privati [15]. Aldilà delle differenze che caratterizzano le varie impostazioni emerse al riguardo, costituisce idea largamente condivisa che l’insieme dei diritti disponibili sia piuttosto esteso, rappresentando la regola nella branca civilistica, e che la categoria conseguentemente eccezionale dei diritti indisponibili vada conseguentemente confinata entro limiti angusti, in quanto strettamente legata alla tutela di interessi “superindividuali” [16]. Ne deriva che, se il diritto è disponibile quando non è indisponibile, e i diritti indisponibili sono eccezionali e numericamente esigui, difficilmente una controversia devoluta in arbitri per mezzo di clausola compromissoria statutaria potrà ritenersi fuori dal perimetro normativo della compromettibilità per la mancata disponibilità del diritto oggetto della lite [17]. Se dunque il carattere della disponibilità non pone particolari problemi per la devoluzione in arbitri dell’azione di responsabilità per danno diretto, maggiori dubbi sorgono con riguardo al requisito della inerenza del diritto al rapporto sociale. Da un lato, infatti, l’indicazione normativa fornita dal primo comma dell’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003 appare alquanto generica, riferendosi esclusivamente ad una relazione tra il diritto ed il rapporto sociale senza in alcun modo specificare di che tipo di relazione debba trattarsi; dall’altro, nel decreto non si rinviene espressamente – né sembrerebbe potersi ricavare in via implicita – alcuna elencazione finalizzata a confinare i diritti che possano dirsi realmente relativi al rapporto sociale. L’apparente impasse potrebbe essere superato ritenendo che, con l’indicazione della relazione del diritto al rapporto sociale, la norma intenda circoscrivere l’area della compromettibilità a “situazioni giuridiche soggettive (..) stabilmente rilevanti in ambito societario” [18], richiedendo in [continua ..]
Stabilire se il diritto esercitato con l’azione di responsabilità per danno diretto afferisca o meno al rapporto sociale non è agevole. In primo luogo, nessuna delle relazioni di accompagnamento della normativa rilevante si occupa espressamente di tale aspetto. La relazione di accompagnamento al codice civile conclude l’illustrazione della disciplina introdotta in tema di responsabilità degli amministratori trattando proprio dell’azione in discorso. Il periodo conclusivo, infatti, recita: “È, infine, prevista distintamente (art. 2395) l’azione individuale che contro gli amministratori spetta al socio o ai terzi che siano stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori, completando in tal modo la disciplina della responsabilità degli amministratori con riguardo alle varie cause da cui questa trae origine e ai diversi diritti che con la relativa azione devono essere tutelati e reintegrati” [25]. La dichiarata volontà del legislatore codicistico di assegnare all’azione in parola una funzione di chiusura del regime legale di responsabilità dell’organo gestorio è in effetti coerente con l’impiego di una formulazione ampia per la prima versione dell’articolo 2395 c.c., apparentemente suscettibile di ricomprendere qualunque atto doloso o colposo che abbia leso direttamente il soggetto legittimato ad agire. La formulazione originaria della norma è stata invero mantenuta anche in seguito alla riforma societaria del 2003 [26], che si è limitata ad introdurre nell’articolo un secondo comma fissando in 5 anni il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione: la relativa relazione di accompagnamento [27], tuttavia, non dedica neppure una parola agli artt. 2395 e/o 2476, previgente comma 6, c.c. Quanto alla relazione illustrativa del d.lgs. n. 5/2003, l’unica specificazione ivi contenuta “circa le controversie arbitrabili” è che “la norma apprestata muove dalla considerazione che l’oggetto principale della controversia debba essere disponibile” [28], ma non vi sono indicazioni in relazione al requisito, maggiormente problematico, della inerenza al rapporto sociale del diritto esercitato con l’azione in discorso. Se dunque il legislatore ha ritenuto di non prendere espressamente posizione sul punto neppure in sede di [continua ..]
Alla luce dell’analisi effettuata, la questione della compromettibilità o meno del diritto esercitato con l’azione in discorso può essere “composta” come segue. Non può negarsi che gli atti contra ius realizzabili dagli amministratori e suscettibili di incidere direttamente sulle posizioni del socio o del terzo siano profondamente eterogenei. Da ciò deriva che anche i diritti pregiudicati dagli amministratori e “rimediabili” ricorrendo all’azione in discorso possono variare, e variano in effetti a seconda della tipologia di violazione realizzata. Se il diritto a chiedere il risarcimento del danno sorge nel momento in cui si verifica la violazione lesiva dello specifico diritto riconosciuto in capo al socio o al terzo, è indispensabile compiere una valutazione caso per caso utilizzando gli strumenti ermeneutici sopra enucleati, tenendo presente che non è tanto la natura contrattuale od aquiliana dell’azione in parola a dirimere la questione, ma (la disponibilità o più spesso) l’intima connessione con i rapporti sociali del diritto esercitato attraverso di essa. Un primo discrimine può ad ogni modo essere effettuato con riguardo alle posizioni del socio e del terzo, ugualmente legittimati ad esperire l’azione ex artt. 2395 o 2476, comma 7, c.c. Riesce infatti davvero difficile immaginare che il diritto così azionato dal terzo possa afferire al rapporto sociale, non essendovi di regola [37] alcun diritto sufficientemente specifico e chiaramente differenziato che viene riconosciuto dall’ordinamento in capo al terzo per effetto della costituzione della società, ed essendo l’inerenza al rapporto sociale al più ravvisabile nel caso in cui il terzo ricorra alla diversa azione ex art. 2394 o 2476, comma 6, c.c. in qualità di creditore sociale. Quanto alla posizione del socio, la preannunciata impossibilità di risolvere la questione in maniera univoca impone di distinguere fra le singole ipotesi in cui egli può agire contro l’amministratore per il danno direttamente patito. A titolo esemplificativo, si consideri il caso del socio che eserciti l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore per essere stato illegittimamente escluso dalla distribuzione degli utili, già deliberata dall’assemblea, attraverso la disposta ripartizione [continua ..]