Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

L'ABI può nominare gli arbitri in una controversia con la banca: questione di fiducia o di corretta interpretazione delle norme? (di Marina Spiotta)


Secondo la Cassazione attribuire il potere di nominare gli arbitri al Presidente dell’ABI non comporta la nullità della clausola compromissoria nonostante l’appartenenza della resistente alla medesima Associazione rappresentata dal soggetto cui è affidata la designazione.

A tale conclusione la Corte perviene escludendo: a) l’estensione all’arbitrato di diritto comune della disciplina speciale dettata per l’arbitrato societario e b) un'alterazione della posizione di parità dei contendenti (avendo entrambi concordemente provveduto all’individuazione dell’or­gano designatore) riguardo alla nomina degli arbitri, il cui eventuale difetto d’imparzialità potrà essere fatto valere, ove concretamente prospettabile, soltanto mediante la proposizione dell’i­stanza di ricusazione.

Nel commento, dopo aver ripreso ed analizzato i passaggi salienti della motivazione, si accennerà ai criteri direttivi in tema di arbitrato dettati dalla legge 26 novembre 2021, n. 206, recante la delega al Governo per la riforma del processo civile, cercando di leggere l’ordinanza in controluce rispetto alle novità e di fissare un primo caposaldo.

 

The ABI can appoint arbitrators in a dispute with the bank: a question of trust or correct interpretation of the rules?

According to the Supreme Court, the power to appoint arbitrators can be attributed to the President of ABI. This power does not entail the nullity of the arbitration clause despite the fact that the defendant belongs to the same Association represented by the person entrusted with the designation.

The Court reaches this conclusion by excluding: a) the extension of the special discipline dictated for arbitrato societario to arbitrato di diritto comune and b) an alteration of the equality position of the litigants (having both unanimously identified the designator) regarding the appointment of arbitrators. The lack of impartiality of the arbitrators can be asserted, where concretely foreseeable, only through the proposition of the request for recusal.

In the comment, after having resumed and analyzed the salient passages of the motivation, reference will be made to the directive criteria in terms of arbitration dictated by the law of 26 november 2021, n. 206 containing the delegation for the reform of the civil process, trying to read the order against the light of the news and to establish a first cornerstone.

Keywords: Arbitral jurisdiction, Extraneity of the designator, Inapplicability to arbitrato di diritto comune, Consequences.

PROVVEDIMENTO: Per individuare la natura dell’arbitrato non può ritenersi decisiva la mancanza di un espresso richiamo alle formalità previste per il deposito del lodo, dovendosi tener conto delle maggiori garanzie offerte dall’arbitrato rituale quanto all’efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni ed alla possibilità per il giudice di concedere la sospensiva, quali elementi idonei ad orientare l’interprete, nel dubbio, in favore della predetta qualificazione. Dall’impossibilità di estendere all’arbitrato di diritto comune la disciplina speciale dettata per l’arbitrato societario consegue che, al di fuori delle limitate ipotesi in cui si traduca nella violazione del principio secondo cui il meccanismo di designazione degli arbitri deve costituire espressione della volontà di tutti i contendenti, l’affidamento della nomina ad un terzo non estraneo alle parti non comporta la nullità del compromesso o della clausola compromissoria, restando la posizione di terzietà ed imparzialità degli arbitri garantita dall’operatività dell’istituto della ricusazione, come disciplinato dall’art. 815 c.p.c.  [Omissis] 1. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 819-ter c.p.c., dell’art. 1, comma 3, lett. b), della L. 14 maggio 2005, n. 80, dell’art. 34 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, degli artt. 25 e 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU, rilevando che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine alla nullità della clausola compromissoria, dedotta da essa ricorrente soltanto in comparsa conclusionale, ma rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto risultante dagli atti. Premesso che l’art. 15 dell’accordo, nell’attribuire alle parti il potere di nominare due dei componenti del collegio arbitrale ed a questi ultimi quello di designare il terzo componente, prevedeva che, in difetto di tali designazioni, la nomina sarebbe stata effettuata dal Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, su istanza della parte interessata, sostiene che tali modalità di costituzione del collegio risultavano inidonee a garantire l’indi­pendenza e la terzietà degli arbitri, essendo la designazione affidata ad un organo a sua volta privo dei necessari requisiti di indipendenza, imparzialità e terzietà. Aggiunge che, in quanto incidente sulla validità della stessa clausola compromissoria, tale nullità, ricollegabile dall’inosservanza di un principio di ordine pubblico, la cui applicabilità non è circoscritta all’ambito dell’arbitrato societario ma si estende anche a quello di diritto comune, opera indipendentemente da quella del contratto cui la clausola accede e dalla natura rituale dell’arbitrato, [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il caso di specie - 3. La questione giuridica - 4. Sintesi della motivazione - 5. Possibili obiezioni - 6. Uno sguardo alla riforma del processo civile - 7. Rilievi conclusivi - 8. Un punto fermo - NOTE


1. Premessa

L’ordinanza – già segnalata su molti siti Internet [1], ma, nel momento in cui si redige questa breve nota, non ancora commentata sulle Riviste specializzate – riveste particolare interesse perché è intervenuta a fare chiarezza sulla sfera applicativa dell’art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5/2003 e, in particolare, sul significato della necessaria «estraneità» del designatore richiesta da tale norma. La questione non è nuova [2], ma è utile ritornare sull’argomento poiché si tratta di un tema «cruciale» [3].


2. Il caso di specie

La controversia è scaturita dalla richiesta, avanzata dalla società cliente nei confronti di un istituto bancario, di dichiarare la nullità di un accordo di interest rate swap stipulato nel 2002 per illiceità della causa e violazione dei canoni di correttezza e buona fede, con conseguente condanna della convenuta al risarcimento del danno (emergente e del lucro cessante). Chiamata in giudizio, la banca Monte dei Paschi di Siena aveva dedotto l’incompetenza del giudice, richiamando l’accordo che prevedeva la devoluzione delle liti ad un collegio arbitrale. Con sentenza del 2019 il Tribunale di Bari, in accoglimento dell’eccezione della Banca, declinava la propria competenza a giudicare. Avverso tale pronuncia la società ha proposto ricorso per regolamento di competenza, affidato ad un unico motivo di diritto: omessa pronuncia sulla nullità della clausola compromissoria, vizio dedotto solo in comparsa conclusionale, ma rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche ex officio. A dire della ricorrente, detta clausola sarebbe stata nulla poiché prevedeva che, «in difetto di accordo tra le parti, la nomina del terzo arbitro sarebbe stata effettuata dal Presidente dell’ABI» e ciò non garantiva l’indipendenza e la terzietà del collegio arbitrale, «essendo la designazione affidata, a sua volta, ad un organo privo dei necessari requisiti di indipendenza, imparzialità e terzietà». La Corte di Cassazione – pur riconoscendo che la rilevabilità d’ufficio della nullità (art. 1421 c.c.), «escludendo la configurabilità della relativa deduzione come eccezione in senso stretto, ne comporta la sottrazione alle preclusioni previste per l’attività assertiva delle parti, trattandosi di una mera difesa» – ha respinto il ricorso nel merito chiarendo che la rigorosa disciplina in tema di arbitrato societario non si applica all’arbitrato rituale, quale quello di specie.


3. La questione giuridica

La quaestio juris concerne l’ambito di applicazione e il corretto significato dell’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003 ai sensi del quale, come noto, «Gli atti costitutivi delle società» (e gli statuti, ma non gli atti successivi alla costituzione della società) [4], «ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale». Il capoverso aggiunge: «La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società». Infine, come formula di chiusura, l’ultimo periodo del comma 2, precisa: «Ove il soggetto designato non provveda» (o, in via analogica, la clausola non indichi il terzo affidatario o indichi un terzo non estraneo) [5], «la nomina è richiesta al Presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale». La ratio è chiara: garantire la designazione del collegio da parte di terzi imparziali [6]. Si potrebbe dire che l’estraneità del designatore è funzionale al­l’equidistanza/indipendenza degli arbitri (scopo-mezzo) che, a sua volta, serve a garantire l’imparzialità e l’oggettività della decisione (scopo-fine). I punti dolenti sono essenzialmente due, ossia capire: 1) se il precetto normativo, essendo volto a garantire l’imparzialità della decisione, possa considerarsi espressione di un principio di ordine pubblico [7], come tale applicabile anche all’arbitrato disciplinato dal codice di procedura civile e incompatibile con la tesi c.d. del “doppio binario” secondo la quale le clausole “non adeguate” al citato art. 34 potrebbero continuare ad applicarsi accanto a (o invece di) quelle conformi alla disposizione indicata [8]; 2) l’esatto significato del concetto di «soggetto estraneo» (e non semplicemente esterno) «alla società» (rectius, all’organizzazione societaria [9] e, per estensione, [continua ..]


4. Sintesi della motivazione

a) Distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale La Cassazione, ai soli fini dell’ammissibilità del regolamento di competenza e non di escludere a priori l’applicazione del citato art. 34 [14], ha preliminarmente qualificato l’arbitrato per cui è causa come rituale. A tal fine, sono stati valorizzati i seguenti indici testuali: – l’espressa qualificazione risultante dalla clausola compromissoria e il suo tenore letterale che «non lasc[erebbe] dubbi in ordine alla comune intenzione» delle parti «di avvalersi di un arbitrato rituale per la risoluzione delle relative controversie»; – la definizione del procedimento come “giudizio” e l’assoggettamento dello stesso alla disciplina dettata dagli artt. 816 e ss. c.p.c., con l’affidamento agli arbitri del compito di giudicare “secondo diritto” e del potere di regolare le spese processuali; – la rimessione della relativa iniziativa a ciascuna delle parti, con la conseguente esclusione della necessità di un ulteriore accordo per ricorrervi. In senso contrario non è stata considerata decisiva la mancanza di un e­spresso richiamo alle formalità previste per il deposito del lodo, «dovendosi tener conto delle maggiori garanzie offerte dall’arbitrato rituale quanto all’ef­ficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni ed alla possibilità per il giudice di concedere la sospensiva, quali elementi idonei ad orientare l’in­terprete, nel dubbio, in favore della predetta qualificazione» (così la prima massima). Il riferimento, pressoché testuale (anche se non esplicito per il divieto di citazione di autori giuridici previsto dall’art. 118 disp. att. c.p.c.) è al titolo di un famoso articolo di Fazzalari [15], anche se, secondo un più recente contributo pubblicato sulle colonne di questa Rivista [16], sarebbe metodologicamente più corretta una minuziosa interpretazione dell’intero contesto contrattuale. b) Inapplicabilità dell’art. 34 d.lgs. n. 5/2003 all’arbitrato di diritto comune Risolta la suddetta questione pregiudiziale/preliminare [17], la Cassazione ha respinto il ricorso ritenendolo infondato nel merito stante l’inapplicabilità all’arbitrato di diritto comune dell’art. 34 d.lgs. n. 5/2003, dettato in tema [continua ..]


5. Possibili obiezioni

Le argomentazioni sopra schematizzate paiono corrette e persuasive, ma, a ben vedere, non inconfutabili perché – come spesso accade (anche quando le norme sono apparentemente chiare) – interpretatio (non) cessat in claris [22]. Sul piano sistematico è doveroso ricordare il divieto sancito dal comma 4 del nuovo art. 832 c.p.c.: «Le istituzioni di carattere associativo e quelle costituite per la rappresentanza degli interessi di categorie professionali non possono nominare arbitri nelle controversie che contrappongono i propri associati o appartenenti alla categoria professionale a terzi». È vero che la norma, rubricata «Rinvio a regolamenti arbitrali» è collocata nel Capo VI, intitolato «Del­l’arbitrato secondo regolamenti precostituiti», ma, secondo l’opinione di uno dei Direttori di questa Rivista [23], sarebbe espressione di un principio generale d’imparzialità. Al rilievo per cui ubi lex voluit dixit (se il d.lgs. n. 40/2006 non ha riprodotto l’art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5/2003 significa che non ha voluto renderlo applicabile anche all’arbitrato disciplinato dal codice di rito) sarebbe fin troppo facile replicare ricordando la dubbia valenza del silenzio del legislatore e i sempre più frequenti casi in cui alla domanda «Ubi noluit tacuit?» si è risposto «Non, illìus oblitus est!» [24]. All’osservazione “tranquillizzante” secondo la quale rimarrebbe lo strumento della ricusazione, si potrebbe obiettare che “prevenire” (la nomina di un designatore e, di riflesso, di un arbitro che potrebbe rivelarsi non imparziale) “è meglio che curare” (rectius, ricusare) e che, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40/2006 all’art. 815 c.p.c., la ricusazione è ammessa solo per i motivi ivi tassativamente indicati, nessuno dei quali ha riguardo alle modalità della nomina, riferendosi tutti alla qualifica o alla posizione dei soggetti prescelti o a rapporti presenti o pregressi degli stessi con le parti. Ancor più dibattuta è la possibilità di applicare, in via analogica, lo strumento della ricusazione del designante [25]. È poi vero che il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. potrebbe considerarsi rispettato ogniqualvolta i contendenti abbiano accettato la [continua ..]


6. Uno sguardo alla riforma del processo civile

Last but not least è importante accennare alle novità in materia di arbitrato che potrebbero derivare dall’attua­zione della legge 26 novembre 2021, n. 206[26] recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata» [27]. L’art. 1, comma 15, dedicato alla riforma dell’arbitrato, prevede una serie di criteri direttivi [dalla lett. a) alla lett. h)], tra cui, per quel che qui rileva, la necessità di: a) rafforzare le garanzie di imparzialità ed indipendenza dell’arbitro, reintroducendo la facoltà di ricusazione per gravi ragioni di convenienza e prevedendo l’obbligo di rilasciare, al momento dell’accettazione della nomina e a pena d’invalidità della stessa, una dichiarazione che contenga «tutte le circostanze di fatto rilevanti»[28] ai fini delle sopra richiamate garanzie (c.d. “duty of disclosure”). È inoltre previsto un caso di decadenza automatica allorquando, al momento di accettazione della nomina, l’arbitro abbia omesso di dichiarare le circostanze che, ai sensi dell’art. 815 c.p.c., possano essere fatte valere come motivi di ricusazione; f) prevedere, «nella prospettiva di riordino organico della materia e di sem­plificazione della normativa di riferimento», l’inserimento nel codice di procedura civile delle norme relative all’arbitrato societario e la conseguente abrogazione del d.lgs. n. 5/2003. Come si è osservato sulle colonne di questa Rivista [29], «È ragionevole pensare che a questo criterio di delega si possa dare attuazione in quantomeno due modi»: – «il primo, essenzialmente formale», consisterebbe nel trasporre sic et simpliciter gli artt. 34-36 del d.lgs. n. 5/2003 in un Capo ad hoc del codice di rito intitolato «Arbitrato societario»; – «il secondo, che coniuga al rispetto formale della delega anche l’obiettivo sostanziale di realizzare pienamente il riordino organico e la semplificazione, attraverso un mirato inserimento delle singole disposizioni sostanziali e processuali dell’arbitrato societario [continua ..]


7. Rilievi conclusivi

Le argomentazioni sopra schematizzate paiono giuridicamente corrette, allineate alla giurisprudenza di merito [31] e potrebbero contribuire ad allontanare il “fantasma di una giurisdizione speciale”, rischio già intravisto da Calamandrei [32] e ripreso da Fazzalari [33]. La motivazione potrebbe però non persuadere quell’autorevole parte della dottrina secondo la quale l’importanza dell’art. 34 non può essere sminuita circoscrivendola al solo arbitrato societario ed adducendo che, in fondo, la norma si occupa soltanto del designatore. Secondo molti Autori, il requisito dell’estraneità andrebbe inteso in modo rigoroso come indifferenza anche ideologica dagli interessi in conflitto [34] ovvero come mancanza «di qualsivoglia rapporto di natura tale da mettere anche potenzialmente in pericolo l’equi­distanza» [35] da tutte le parti e dagli interessi di cui esse siano portatrici. Non è questa la sede per schierarsi e non è certo intenzione di chi scrive criticare l’ordinanza annotata, né tanto meno gettare un’ombra di sospetto sull’ABI (che riveste un’importante funzione istituzionale), ma al Lettore non sarà certo sfuggito che la stessa è pur sempre un’associazione di categoria (anche se di rilievo ben diverso da un’associazione provinciale) e che, «pur non stipulando contratti direttamente con i consumatori, è legittimata passivamente nel giudizio di inibitoria all’uso di clausole abusive da essa predisposte o raccomandate agli associati» [36]. Un approccio ai problemi giuridici scevro da ideologismi merita un plauso anche perché «estraneità» (in senso formale) ed «imparzialità» (in senso sostanziale) esprimono concetti diversi [37], ma in una materia in cui conta, non solo essere, ma anche apparire, super partes, potrebbe destare qualche perplessità. Peraltro, anche quest’antico adagio è stato ridimensionato puntualizzando che «ciò che realmente conta è che l’arbitro sia imparziale, mentre ciò che dell’imparzialità è l’aspetto esteriore, in presenza di obbligo di disclosure, può tranquillamente essere oggetto di rinuncia ad opera delle parti, di comune accordo» [38]. Insomma: si ha l’impressione [continua ..]


8. Un punto fermo

Nell’attesa dei successivi sviluppi, si vorrebbe chiudere questo breve com­mento citando un passaggio del romanzo di Friedrich Dürrenmatt [39]: «Non occorre che un giudice» (o, mutatis mutandis, un arbitro) «sia giusto», così come «non occorre che un papa sia credente», ma compito del giurista pare essere diventato quello di «ristabilire quanto meno un’idea plausibile di giustizia, affinché non diventi una farsa totale». Ebbene, una lettura a contrariis della seconda massima, volta a precludere all’ABI (e più in generale ad un’associazione di categoria alla quale appartenga solo una delle parti [40]) di nominare gli arbitri in una controversia con un istituto di credito qualora (sicuramente) si ricada nel campo di applicazione dell’art. 34 d.lgs. n. 5/2003 potrebbe essere un primo passo in questa direzione.


NOTE