Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

La Convenzione di New York e il fallimento (di Richard H. Kreindler, Milo Molfa)


Il presente contributo esamina gli effetti del fallimento sull’arbitrato con particolare riguardo alla possibilità che una parte ottenga, in base alla Convenzione di New York e alle norme nazionali ivi richiamate, il riconoscimento della clausola compromissoria o il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo arbitrale nei confronti della controparte fallita.

New York Convention and bankruptcy

This paper considers the effects of bankruptcy on arbitration. Specifically, it deals with how the bankruptcy of a party may affect the other party’s ability under the New York Convention and the national legal systems referenced in the Convention’s provisions on enforcement of an arbitration agreement with the bankrupt party or to seek recognition and enforcement of an arbitral award rendered against the bankrupt party.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Devoluzione delle controversie in arbitrato (art. II) - 3. Rifiuto all’esecuzione (art. V) - 4. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

Il fallimento [1] di una parte pone interrogativi riguardanti la sua capacità nonché l’esisten­za e la validità della clausola compromissoria di cui la controparte chieda il riconoscimento, dinanzi alle Corti nazionali, in base all’art. II della “Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri” sottoscritta a New York il 10 giugno 1958 (“Convenzione di New York”). Le norme in materia fallimentare generalmente non precludono procedimenti arbitrali nei confronti di soggetti falliti. La clausola compromissoria rimane di regola valida e si considerano generalmente compromettibili le controversie riguardanti materie di natura non strettamente fallimentare. Tuttavia, in alcuni casi, l’art. V della Convenzione di New York può giustificare il rifiuto di riconoscere o eseguire lodi arbitrali esteri resi in pendenza di procedure fallimentari. I motivi astrattamente idonei a giustificare l’applica­zione dell’art. V includono i seguenti: incapacità e/o invalidità della clausola compromissoria (art. V, comma 1, lett.a); violazione del contraddittorio (art. V, comma 1, lett.b); lodo eccedente i limiti della clausola compromissoria (art. V, comma 1, lett.c); annullamento del lodo (art. V, comma 1, lett.e); incompromettibilità della controversia (art. V, comma 2, lett.a); violazione dell’ordine pubblico (art. V, comma 2, lett.b) [2]. È interessante notare che, quando il debitore possiede beni esteri non compresi nella massa fallimentare, la parte creditrice in base al lodo ha maggiori probabilità di successo perché l’esecuzione potrebbe svolgersi in un paese diverso da quello in cui si è aperta la pro­cedura concorsuale. Il presente contributo tratterà questi temi separatamente, partendo dal generale principio previsto dall’art. II della Convenzione di New York, che impone di riconoscere le clausole compromissorie, ed esaminando poi i vari motivi idonei a giustificare, in base all’art. V, il rifiuto di riconoscere ed eseguire i lodi arbitrali.


2. Devoluzione delle controversie in arbitrato (art. II)

L’art. II disciplina il riconoscimento delle clausole compromissorie e impone agli Stati aderenti alla Convenzione di New York (“Stati Contraenti”) di devolvere in arbitrato le controversie aventi ad oggetto materie compromettibili: «1. Ciascuno Stato Contraente riconosce la convenzione scritta con cui le parti si obbligano a devolvere in arbitrato tutte o talune delle controversie che siano sorte o possano sorgere tra loro circa un determinato rapporto giuridico contrattuale o non contrattuale, concernente una materia suscettibile d’essere risolta in via arbitrale. [...] 3. Il tribunale di uno Stato Contraente, cui sia sottoposta una controversia su una questione per la quale le parti hanno concluso una convenzione secondo il presente articolo, deferirà le medesime in arbitrato su istanza d’una di esse,sempreché non accerti che tale convenzione sia nulla, inefficace o ineseguibile» [3]. Gli Stati Contraenti devono anzitutto assicurare che le norme in materia fallimentare siano conformi al principio di non discriminazione previsto dalla Convenzione di New York. Ad esempio, violerebbe l’art. II della Convenzione di New York un ordinamento che ritenesse invalida una clausola compromissoria a causa del fallimento di una delle parti, ma non ritenesse invalidi altri contratti per la stessa ragione [4]. Sul piano pratico, al fine di dare esecuzione a una clausola compromissoria con una parte fallita, i Tribunali degli Stati Contraenti svolgeranno valutazioni basate sul singolo caso concreto (con una presunzione di efficacia delle clausole compromissorie internazionali) [5]. Ai sensi dell’art. II, per tentare di eludere la competenza arbitrale, le parti fallite possono eccepire la “nullità”, l’“inefficacia”, o l’“ineseguibilità” dell’ac­cordo. Quanto all’eccezione di “nullità”, l’eventuale incapacità della parte deve essere provata con specifico riguardo alla clausola compromissoria e non al contratto principale, da cui la stessa clausola è generalmente ritenuta scindibile [6]. È improbabile, peraltro, che il mero stato di insolvenza in cui versa una parte sia di per sé sufficiente a rendere una clausola compromissoria “ineseguibile”. Ad esempio, le Corti inglesi hanno statuito che lo stato di [continua ..]


3. Rifiuto all’esecuzione (art. V)

In base all’art. V della Convenzione di New York, «[…] [i]l riconoscimento e l’esecuzione del lodo possono essere rifiutati, su richiesta della parte contro cui il lodo è invocato, soltanto qualora essa fornisca all’autorità competente del paese in cui si chiede il riconoscimento e l’esecuzione la prova che […]» [12]. A) Incapacità delle parti o invalidità della clausola compromissoria (art. V, comma 1, lett. a) Il primo motivo previsto dall’art. V attiene alla capacità della parte fallita e alla validità della clausola compromissoria: «[…] le parti della convenzione di cui all’articolo II, erano, secondo la legge loro applicabile, affette da incapacità, ola detta convenzione non è valida secondo la legge scelta dalle parti o, in mancanza di scelta, secondo la legge del paese dove il lodo è stato reso» [13]. Il fallimento può chiaramente limitare la capacità di sottoscrivere accordi idonei a vincolare la massa fallimentare [14]. È controverso, tuttavia, il momento in cui si debba accertare la sussistenza della capacità. Secondo l’orientamento prevalente, l’accertamento dovrebbe essere compiuto con riferimento al momento in cui la clausola compromissoria è stata sottoscritta [15] e il sopravvenuto fallimento di una parte non potrebbe inficiarne la validità. Invece, secondo un orientamento minoritario, la capacità delle parti dovrebbe essere accertata nel momento in cui il procedimento arbitrale è promosso. Questo orientamento si basa sul contesto in cui l’art. V, comma 1, lett. a), è stato formulato e sulla preoccupazione dei suoi redattori di assicurare un adeguato contradditorio nel corso dei procedimenti arbitrali [16]. Pur non avendo avuto molte adesioni, l’orientamento minoritario è stato recepito da alcune Corti nazionali [17]. Per accertare la capacità di una parte, è necessario svolgere altre importanti considerazioni. La più importante riguarda la legge applicabile, che è quella “personale” della parte di cui occorre accertare la capacità [18]. In quest’ottica, la nozione di “incapacità” richiama quelle tradizionali di capacità e di idoneo potere [continua ..]


4. Conclusioni

Le norme in materia fallimentare generalmente non precludono procedimenti arbitrali nei confronti di soggetti falliti. Ai fini della Convenzione di New York, una parte è probabil­mente ritenuta capace se ha sottoscritto la clausola compromissoria prima di essere assoggettata alla procedura fallimentare. La nomina di un curatore o un amministratore potrebbe sanare un eventuale vizio di incapacità, ma è importante considerare che la capacità sarà accertata in base alla legge personale applicabile alla parte. Quanto alle controversie che possono formare oggetto di compromesso, lo sono generalmente quelle riguardanti materie di natura non strettamente fallimentare, mentre non lo sono le altre tipologie di controversie neppure nel luogo in cui si svolge il procedimento arbitrale. Tuttavia, la posizione adottata dalla lex arbitri non vincola le Corti di altri paesi. Il principio del contraddittorio potrebbe imporre particolari misure dirette ad assicurare la “debita informazione” e il diritto di difesa, soprattutto nel caso in cui sia stato nominato un curatore fallimentare. L’eccezione di incompetenza ha remote probabilità di accoglimento qualora il Tribunale arbitrale abbia accertato che la controversia nei confronti della parte insolvente rientra nei limiti della clausola compromissoria. Quando la sede dell’arbitrato coincide con il paese in cui si svolge la procedura fallimentare, l’inosservanza delle norme fallimentari fondamentali di tale paese può comportare l’annullamento del lodo o il rifiuto di eseguirlo per motivi di ordine pubblico. La compromettibilità è disciplinata dalla legge del luogo in cui è chiesta l’esecuzione del lodo, che potrebbe essere diversa dalla lex arbitri, con possibile conseguente rifiuto di riconoscere o eseguire il lodo. Al riguardo, comunque, vi sono rari precedenti. Quanto alle violazioni dell’ordine pubblico, è possibile distinguere due diversi orientamenti: quello restrittivo e quello basato sulla comity. Sussiste anche un’intrinseca difficoltà di conciliare i principi fondamentali del diritto fallimentare (come la par condicio creditorum) e l’interesse alt fondamentale a favorire meccanismi di risoluzione arbitrale delle controversie ed esecuzione dei lodi. Sussiste altresì una profonda differenza tra [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2016