Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Limiti costituzionali dell'autonomia privata processuale e convenzione di arbitrato (di Antonio Maria Marzocco)


Le manifestazioni dell’autonomia privata processuale possono essere ricondotte a due species: le manifestazioni che investono il processo considerato nel suo insieme, perché condizionano o persino escludono l’inizio di un processo; e quelle che investono l’attività processuale, perché incidono sulla disciplina del processo e su ciò che le parti possono in esso compiere. Entrambe le manifestazioni incontrano limiti costituzionali. Una concreta e proficua esperienza è rinvenibile, nella giurisprudenza costituzionale, rispetto alla convenzione di arbitrato. Quest’ultima, secondo l’Autore, può essere considerata un esempio sia della prima che della seconda species di autonomia privata processuale. La convenzione di arbitrato, infatti, è qualificata sia come un negozio che individua le modalità di composizione delle liti, sia come un negozio con effetti che si producono nel processo. Quale atto di autonomia privata processuale, essa incontra limiti costituzionali che la giurisprudenza della Corte consente di individuare in modo chiaro. I limiti individuati rispetto alla convenzione di arbitrato appaiono per lo più generalizzabili in materia di autonomia privata processuale, ma per gli atti di autonomia privata che incidono sull’attività processuale – la seconda species – non si può prescindere dall’analisi del singolo atto.

 

Constitutional limits of procedural private autonomy and arbitration agreement

The manifestations of procedural private autonomy can be reduced to two types: those affecting the process as a whole, because they condition or even exclude the commencement of a process; and those affecting the procedural activity, because they affect the discipline of the process and what the parties may do in it. Both manifestations are subject to constitutional limits. A concrete and valuable experience with respect to the arbitration agreement can be found in constitutional jurisprudence. The arbitration agreement can, according to the Author, be considered an example of both the first and the second type of procedural private autonomy. The arbitration agreement, in fact, is qualified both as a contract that identifies the modalities for settling disputes, and as a contract with effects that are produced in the proceedings. As an act of procedural private autonomy, it encounters constitutional limits that the Court’s case law clearly identifies. The limits identified with respect to the arbitration agreement appear for the most part to be generalizable in matters of procedural private autonomy, but for acts of private autonomy affecting procedural activity – the second type – one cannot depart from the analysis of the individual act.

Keywords: Procedural private autonomy, Limits of autonomy, Arbitration agreement, Voluntariness, Economic and social utility, Right of action, Due process.

SOMMARIO:

1. L’autonomia privata processuale: un genus e due species - 2. I limiti costituzionali della prima species di autonomia privata processuale - 3. Segue: I limiti costituzionali della seconda species - 4. Spunti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: la convenzione di arbitrato come atto di autonomia privata processuale ed esempio della prima species - 5. Segue: Il limite della volontarietà ricavabile dall’art. 24 Cost. - 6. Segue: Il limite dell’utilità economico-sociale posto dall’art. 41 Cost. (nonostante la disponibilità del diritto controverso) - 7. La convenzione di arbitrato come esempio anche della seconda species di autonomia privata processuale e i relativi limiti costituzionali - 8. Riflessioni conclusive - NOTE


1. L’autonomia privata processuale: un genus e due species

La locuzione “autonomia privata processuale” ha il pregio di sintetizzare, riconducendole ad un genus, tutte le manifestazioni dell’autonomia privata che investono il processo. Tali manifestazioni sono però ascrivibili a due species [1] che è opportuno tenere distinte nell’analisi. La prima comprende le manifestazioni di autonomia privata che investono il processo considerato nel suo insieme, quale attività qualificata che si svolge dinanzi all’autorità giudiziaria [2]. In concreto esse investono il diritto stesso di agire in giudizio. Le parti potrebbero infatti convenire, rispetto a diritti disponibili, che la possibilità di agire in giudizio sia condizionata al previo esperimento di un tentativo di mediazione, di conciliazione o di negoziazione (inserendo nel contratto una specifica clausola in tal senso) [3]; oppure potrebbero escludere la giurisdizione statale, pattuendo l’obbligo di devolvere le controversie ad arbitri (clausola compromissoria o compromesso); o, ancora, potrebbero combinare tali previsioni attraverso una clausola multi-tiered che preveda, ad esempio, prima l’obbligo di un tentativo di mediazione e poi, in caso di esito negativo, l’obbligo delle parti di rivolgersi ad arbitri [4]; inoltre, potrebbero escludere del tutto l’azionabilità della pretesa, attraverso un pactum de non petendo [5] o un pactum de non exequendo [6]. La seconda species, invece, comprende le manifestazioni di autonomia privata processuale che hanno ad oggetto la disciplina di singoli aspetti del processo, nella misura in cui essi possano essere oggetto dell’autonomia negoziale delle parti. Un tema delicato, perché la misura di questo intervento sul processo dipende anche dalla natura attribuita a quest’ultimo e dalla ricostruzione accolta del rapporto giuridico processuale [7]; nonché dall’individuazione, se lo si ammette, di ciò su cui la concorde volontà delle parti possa legittimamente incidere, al di là delle ipotesi in cui la legge riconosce espressamente uno spazio al loro accordo.


2. I limiti costituzionali della prima species di autonomia privata processuale

Se entrambe le species appena individuate sono riconducibili al genus dell’autonomia privata processuale, tuttavia esse ne rappresentano manifestazioni significativamente differenti. Nella prima species l’autonomia privata incide sul processo restandone al di fuori, perché intende condizionare (ad es. clausola di mediazione obbligatoria) o persino escludere (convenzione di arbitrato) l’inizio di un processo. Nella seconda species, invece, l’autonomia privata incide direttamente sull’attività processuale, su ciò che le parti possono compiere nel processo. Di conseguenza, le due forme, che potrebbero senza dubbio coesistere rispetto ad una controversia, pongono differenti problemi e incontrano diversi limiti anche in una prospettiva costituzionale. Iniziando dalla prima species, si può osservare che l’autonomia privata, se si tratta di controversie relative a diritti disponibili, può di regola liberamente individuare filtri all’azione giudiziale o strumenti alternativi alla tutela giudiziale, così come escludere radicalmente l’azionabilità della pretesa in sede di accertamento o esecutiva (attraverso i due pacta già ricordati). In questi casi il tema dei limiti consiste, in primo luogo, nello stabilire se e quando questa forma di autonomia privata processuale – che incide sul diritto di azione e/o sulle modalità di composizione delle liti – possa essere limitata nonostante essa riguardi diritti sostanziali disponibili (infra § 6). In secondo luogo, il tema dei limiti riguarda – sempre nella specifica prospettiva costituzionale che qui si affronta – l’adeguatezza dello strumento scelto. A seconda dei casi, la valutazione di adeguatezza consiste nell’esaminare la ragionevolezza e la non gravosità del condizionamento dell’azione [8]; oppure nell’esaminare l’idoneità del procedimento equipollente a quello giurisdizionale ad offrire le garanzie essenziali di un “giusto processo”. Sotto quest’ulti­mo profilo, tuttavia, dal momento che gli strumenti alternativi sono di regola obbligatori per volontà delle parti e non sempre sono accompagnati da esplicite norme di legge che prescrivano garanzie procedimentali e forme di tutela, come invece per il giudizio arbitrale (anche irrituale [9]), il difetto di quelle garanzie per poter divenire [continua ..]


3. Segue: I limiti costituzionali della seconda species

La seconda species di autonomia privata processuale pone, innanzi tutto, il problema di individuare i profili della disciplina del processo che possano essere investiti dall’autonomia privata; vale a dire i profili del processo di cui le parti possano disporre con accordi realizzati prima, nel corso o persino dopo il processo (ad es. in relazione alle impugnazioni esperibili). Al fine di individuarli sono possibili due metodi, l’uno restrittivo e l’altro estensivo. In base al primo si potrebbe affermare che rispetto alla disciplina del processo l’intervento dell’autonomia privata rappresenti l’eccezione, vista la natura pubblicistica delle norme processuali e dell’attività stessa, nonché la riserva di legge posta dall’art. 111, comma 1, Cost. per la regolazione del processo. Seguendo questa impostazione, gli accordi dovrebbero essere ammessi soltanto quando la legge espressamente lo consenta [11]. Ciò è previsto, ad esempio, in tema di competenza per territorio derogabile (cfr. art. 28 c.p.c.); in tema di separazione delle cause, sia nell’ipotesi di litisconsorzio facoltativo (art. 103, comma 2, c.p.c.) che di cumulo oggettivo (art. 104, comma 2, c.p.c.); in tema di pronuncia secondo equità (art. 114 c.p.c.); ed ancora per la disciplina dell’onere della prova (art. 2698 c.c.) [12], per la pronuncia di ordinanze su accordo delle parti ai sensi dell’art. 177 c.p.c., ma anche per la disciplina delle impugnazioni (ad es. ricorso per cassazione per saltum, art. 360, comma 2, c.p.c.); ed ancora nell’esecuzione forzata, ai fini dell’asse­gnazione (art. 505, comma 2, c.p.c.) e, nell’udienza per l’autorizzazione della vendita o dell’assegnazione, rispetto alle opposizioni agli atti esecutivi sollevate (cfr. art. 530, comma 2, c.p.c.), senza dimenticare la distribuzione del ricavato (cfr. artt. 541 e 542 c.p.c.). Taluni accordi potrebbero maturare anche con condotte tacite tenute nel corso del processo, ad esempio in materia di competenza per territorio derogabile (id est: per mancata eccezione o attraverso il meccanismo del regolamento convenzionale di competenza di cui agli artt. 38 e 44 c.p.c. [13]). In alcuni dei casi appena indicati, tuttavia, è intuibile che parlare di negozio processuale potrebbe risultare eccessivo, perché la volontà delle parti sembra limitata alla volontà [continua ..]


4. Spunti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: la convenzione di arbitrato come atto di autonomia privata processuale ed esempio della prima species

Le due prospettive di indagine appena delineate sono ampie e ciascuna meriterebbe completo approfondimento. Tuttavia, ferma la cornice di principio fin qui tracciata e i limiti costituzionali già individuati per le due species di autonomia privata processuale, ho ritenuto, per dare concretezza all’indagine, di esaminare se la Corte costituzionale si sia occupata del tema dell’autonomia privata processuale e, nel caso, sotto quale dei due profili che ho poco sopra individuato. Senza pretesa di esaustività, risulta che se ne sia occupata proprio in una materia che rappresenta un incontroverso esempio, come si direbbe in Germania, di Prozessvertrag: la convenzione di arbitrato [16]. Per tale motivo, mi concentrerò ora sulla convenzione di arbitrato quale manifestazione dell’autonomia privata processuale e sui limiti deducibili dalla Costituzione. È un punto di osservazione privilegiato sull’autonomia privata processuale, non soltanto perché del tema vi è traccia in più interventi della Corte costituzionale, ma anche perché la convenzione di arbitrato può essere considerata – per le ragioni che chiarirò – un esempio sia della prima che della seconda species di autonomia privata processuale qui individuate (supra §§ 1-3). Ma procediamo con ordine, iniziando dalle ragioni che consentono di qualificare la convenzione di arbitrato come un esempio della prima species e dai limiti costituzionali dell’autonomia privata processuale che essa, adottando tale prospettiva, consente di individuare. Tra le espressioni dell’autonomia privata processuale la convenzione di arbitrato rituale – nella forma della clausola compromissoria o del compromesso – si colloca tra i negozi che individuano le modalità di composizione delle liti. Essa, infatti, determina l’obbligo delle parti di rivolgersi – per la risoluzione delle controversie future (clausola), o già presenti (compromesso), che possano sorgere, o siano già sorte, da un rapporto (anche non contrattuale [17]) – ad arbitri e non a giudici statali. In questa accezione, pertanto, essa è senza dubbio collocabile tra le manifestazioni della prima species di autonomia privata processuale (supra § 1). Più innanzi affermerò che la convenzione di arbitrato è al contempo un contratto (o comunque un negozio) con [continua ..]


5. Segue: Il limite della volontarietà ricavabile dall’art. 24 Cost.

L’art. 24, comma 1, Cost. non soltanto legittima il potere delle parti di disporre dell’azione in senso negativo, scegliendo di deferire le controversie ad arbitri nell’esercizio della loro autonomia, ma pone anche un implicito e perentorio limite: la scelta deve essere volontaria. L’esclusione pattizia del diritto di azione giudiziale, uno dei diritti inviolabili, può infatti avvenire soltanto su base volontaria. È un’affermazione quasi superflua quando si parla di autonomia privata, visti i ben noti effetti dei vizi della volontà sulla validità degli atti negoziali. Tuttavia, proprio in tema di arbitrato la Corte ha dovuto ribadirlo, anche di recente [24], di fronte a fattispecie di arbitrato obbligatorio per legge e non per volontà delle parti [25]. Al riguardo la giurisprudenza è ormai granitica nell’affermare l’illegittimità delle norme che lo prevedono, con l’effetto che il ricorso all’arbitrato non deve essere ritenuto obbligatorio ma rimesso alla volontà delle parti, che possono, anche unilateralmente, derogare alla competenza arbitrale [26]. Mentre è chiaro che la volontarietà non sussiste di fronte ad un arbitrato obbligatorio per legge, si è discusso se essa non sussista anche in caso di posizioni monopolistiche di fronte alle quali la controparte non ha altra alternativa che accettare la clausola compromissoria. Il tema, reso noto in Germania dal caso Pechstein [27] e divenuto noto anche in Italia dopo l’intervento della Corte EDU sullo stesso caso (ed un altro connesso) [28], attiene alla validità di una convenzione di arbitrato in cui una delle parti sia in una posizione di soggezione tale da non poter essere ritenuta libera. L’ipotesi tipica è quella del­l’atleta che per partecipare ad una competizione sportiva sia di fatto obbligato, al momento dell’iscrizione, a sottoscrivere una clausola compromissoria che devolve ad arbitri – ad esempio al CAS di Losanna – le eventuali controversie; o sia obbligato, ancora prima, ad accettare una clausola compromissoria per poter essere ammesso alla federazione sportiva di categoria, condizione necessaria per poter esercitare l’attività sportiva come professionista. È chiaro che le ipotesi appena descritte non rappresentano esempi di arbitrato obbligatorio per legge; non vi [continua ..]


6. Segue: Il limite dell’utilità economico-sociale posto dall’art. 41 Cost. (nonostante la disponibilità del diritto controverso)

Fermo quanto esposto sull’art. 24 Cost. e sulla volontarietà quale limite, anche costituzionale, di ogni forma di disposizione in senso negativo del diritto di azione – e non soltanto limite ricavabile dai requisiti del contratto ex art. 1325 c.c., norma a cui è sottoposta, in modo specifico, la convenzione di arbitrato –, un ulteriore possibile limite discende dall’art. 41 della Costituzione, che tutela la libertà di iniziativa economica privata ed è correntemente individuato tra i fondamenti costituzionali dell’autonomia privata [30]. Per questa ragione esso è di solito descritto come l’altro “fondamento” costituzionale del­l’arbitrato [31], che è appunto un’espressione dell’autonomia privata. Più precisamente, il collegamento tra l’art. 24, comma 1, Cost. e l’art. 41 Cost. quali fondamenti costituzionali dell’arbitrato deve essere letto nel senso che sull’art. 24, comma 1, si fonda il potere del singolo di disporre dell’azione anche in senso negativo, quale manifestazione dell’autonomia privata [32], o «autonomia dei soggetti» come disse la Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 2 del 1963 [33]; sull’art. 41 Cost., invece, si può fondare sia l’autonomia privata, di cui l’arbitrato in virtù della sua fonte convenzionale è espressione, sia la tutela dell’arbitrato in quanto forma di autonomia attraverso cui si può realizzare la libertà di iniziativa economica privata. Il rapporto così posto con l’art. 41 Cost. deve essere ben inteso, perché l’art. 41 non soltanto fonda, nei termini che sto per descrivere, l’autonomia privata, ma pone anche un limite alla stessa che si può tradurre in un limite alla convenzione di arbitrato su diritti disponibili. L’art. 41, infatti, dopo aver sancito che «l’iniziativa economica privata è libera», afferma che essa «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» [34]. In questa sede, in cui si tratta di individuare eventuali limiti costituzionali della convenzione di arbitrato quale atto di autonomia privata processuale, il limite che rileva è quello [continua ..]


7. La convenzione di arbitrato come esempio anche della seconda species di autonomia privata processuale e i relativi limiti costituzionali

Le riflessioni fin qui compiute consentono di affermare: i) che la convenzione di arbitrato è un’espressione di autonomia privata processuale riconducibile, in quanto contratto che individua la modalità di composizione delle liti, alla prima species di autonomia privata processuale qui individuata (supra §§ 1, 2), perché incide sulla possibilità stessa di instaurare un processo; ii) che in tale veste la convenzione di arbitrato incontra, sulla base della giurisprudenza costituzionale, un limite fondato sull’art. 24, comma 1, Cost. – la volontarietà –, un connesso limite fondato sull’art. 25, comma 1, Cost. – la volontaria rinuncia al giudice naturale precostituito per legge – ed un limite fondato sull’art. 41 Cost. – l’utilità economico-sociale –, limiti che potrebbero essere estesi a manifestazioni simili di autonomia privata processuale. A ben vedere, tuttavia, la convenzione di arbitrato è al contempo un contratto (o comunque un negozio) con effetti processuali, cioè con effetti che si producono nel processo, dal momento che: a) fonda un’eccezione di incompetenza (art. 819-ter, comma 1, c.p.c.); b) determina, secondo la lettura offerta dalla Corte costituzionale [56], la soggezione del lodo ad uno speciale mezzo di impugnazione (art. 828 c.p.c.) [57]; c) può incidere sui motivi di impugnazione del lodo ai sensi dell’art. 829, comma 3, c.p.c. In virtù di tali effetti, la convenzione di arbitrato può essere collocata anche tra le manifestazioni dell’autonomia privata processuale ascrivibili alla seconda species qui individuata (supra §§ 1, 3), che comprende gli atti di autonomia che incidono su singoli aspetti della disciplina processuale; e sono identificabili, anche da questa diversa prospettiva, alcuni limiti costituzionali dell’auto­nomia privata processuale, in gran parte coincidenti con quelli già affermati rispetto alla prima prospettiva (supra §§ 5, 6). Più in dettaglio, per quanto attiene all’effetto sub a), la possibilità di qualificare la convenzione di arbitrato come un contratto (o negozio) con effetti processuali risulta chiara se si ricorda che essa – nella forma della clausola compromissoria o del compromesso – determina l’obbligo delle parti di rivolgersi, per la risoluzione delle [continua ..]


8. Riflessioni conclusive

Il tema affrontato è ampio e si avverte, anche attraverso l’esempio della convenzione di arbitrato di cui vi è esperienza nella giurisprudenza costituzionale, una sorta di tensione tra l’autonomia privata processuale, l’inviolabilità del diritto di azione e il carattere pubblicistico del processo civile [71]. Questa tensione non indica affatto incompatibilità tra i valori in gioco, ma è indubbio che l’autonomia privata processuale, nelle due species in cui si manifesta (supra § 1), incontra alcuni limiti costituzionali. Essi sono stati qui descritti in via generale (supra §§ 2-3) e poi in modo specifico rispetto alla convenzione di arbitrato (supra §§ 4-7), quale esempio di entrambe le species e concreta esperienza rinvenibile nella giurisprudenza costituzionale. I limiti individuati rispetto alla convenzione di arbitrato appaiono, in gran parte, generalizzabili in materia di autonomia privata processuale. All’esito delle riflessioni qui compiute si può affermare che i limiti costituzionali dell’autonomia privata processuale sono ben chiari, e delineati da una ricca esperienza giurisprudenziale, quando la volontà delle parti sia volta, in conformità alla prima species individuata (supra §§ 1, 2), a condizionare o ad escludere l’accesso stesso al processo [cfr. art. 24, comma 1; art. 25, comma 1 (ed eventualmente art. 102, comma 2); art. 41; art. 111 Cost.]. La seconda species, invece, che riguarda gli atti di autonomia privata che incidono sull’attività processuale – dal luogo in cui deve essere svolta, agli strumenti processuali utilizzabili, ai poteri nel corso del processo di cognizione e di esecuzione (supra §§ 1, 3) –, onera, proprio per la varietà degli atti, di una ricerca più analitica, quasi caso per caso, volta a definire i legittimi spazi dell’autonomia privata. Quest’ultima, infatti, quando voglia intervenire sulla disciplina processuale deve tener conto dell’interesse anche pubblico perseguito dal processo e dell’esistenza di una riserva di legge per la disciplina del «giusto processo» (art. 111, comma 1, Cost.). Pertanto, quando si ritenga di essere realmente in presenza di negozi giuridici processuali – e non di meri atti giuridici in senso stretto compiuti all’interno del processo per realizzare gli accordi [continua ..]


NOTE