Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

La non arbitrabilità del pactum fiduciae (di Bianca Maria Scarabelli)


Il commento prende in considerazione i temi affrontati dall’ordinanza della Cass. Civ., 13 settembre 2019, n. 22903, con la quale la Corte ha stabilito che la clausola compromissoria contenuta in uno statuto non consente di estendere la deroga alla competenza del giudice ordinario e il deferimento agli arbitri a controversie relative ad un patto fiduciario tra i soci, dal momento che questo non trova la sua causa petendi nel contratto sociale. Il commento affronta le due questioni individuate e risolte dal Giudice di legittimità, ovvero quella attinente alla qualificazione giuridica dell’istituto del contratto fiduciario e quella relativa all’estensione della deroga alla competenza del giudice ordinario. Quanto alla prima questione, la Corte procedente accoglie la qualificazione romanistica della fattispecie, ritenendo che la figura dia luogo ad un’interposizione reale, mediante il quale l’interposto acquista effettivamente la titolarità delle azioni, ma, in virtù di un secondo rapporto interno con l’interponente di natura ob­bligatoria, è tenuto ad osservare un certo comportamento convenuto con il fiduciante e a retrocedere i titoli. Quanto invece all’arbitra­bilità, gli Ermellini, escludono che il pactum fiduciae possa essere ricompreso nella competenza arbitrale prevista dallo statuto, dal momento che il rapporto sociale si configura, nella ricostruzione della Corte, non come causa petendi ma come un mero presupposto del pactum interno tra fiduciante e fiduciario – rapporto sociale estraneo quindi alla materia del contendere e inidoneo a giustificare la riconduzione della controversia alla competenza degli arbitri.

The non-arbitrability of the pactum fiduciae

The paper considers the issues addressed by the judgment no. 22903 of the Italian Supreme Court, dated September 13, 2019, in which the Court ruled that the arbitration clause contained in company by-laws does not allow to extend the derogation of the jurisdiction of the national Court in favour of arbitrators for disputes relating to a fiduciary agreement between shareholders, as this agreement does not find its causa petendi in the company agreement. The paper deals with the two questions identified and resolved by the Court, namely the legal qualification of the fiduciary agreement and the applicability of the exclusion of the jurisdiction of the national Court. With regard to the first question, the Court has accepted the “Romanistic” interpretation of the nature of the agreement, considering that it gives rise to an “erga omnes binding interposition”, through which the “interposed” person effectively acquires ownership of the shares, but – by virtue of a second, inter partes, agreement with the interposing party – is actually required to observe a certain behavior agreed upon with the interposing party, and to relinquish the shares. As to the matter of the arbitrability, the Court excludes that the arbitrators’ jurisdiction – as mandated by the company by-laws – may extend to the pactum fiduciae, since the company agreement is not a causa petendi but as a mere premise of the pactum, having as its object only the internal relationship between the interposing and interposed party, and therefore the company agreement cannot justify the referral of the dispute to the arbitrators’ jurisdiction.

Keywords: pactum fiduciae – fiduciary

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L’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie, pur prevedendo l’obbligo del fiduciario di trasferirle successivamente al fiduciante, non riguarda il rapporto sociale, originando un’ipotesi di interposizione reale di persona, in virtù della quale l’interposto acquista la titolarità delle azioni o delle quote e, sebbene sia tenuto ad osservare un determinato comportamento convenuto in precedenza con il fiduciante nei rapporti interni con lui, tale obbligo, pur potendo incidere sulle concrete modalità di esercizio dei diritti sociali e di adempimento dei correlati doveri, non comporta alcun effetto nei rapporti con la società o gli altri soci, nei confronti dei quali viene in considerazione esclusivamente la titolarità formale della partecipazione. (La S.C. ha espresso il principio in giudizio in cui risultava controversa l’applicabilità della clausola compromissoria, prevista per le controversie tra la società ed i soci o tra questi ultimi, e di cui ha escluso la vigenza nel caso di specie, poiché la lite atteneva al rapporto interno tra il fiduciario, intestatario delle partecipazioni, ed il fiduciante, in quanto una simile controversia non riguarda il rapporto sociale, mero presupposto, estraneo alla materia del contendere). (7) [Omissis] Q.F. ha convenuto in giudizio il coniuge G.A., per sentir accertare il suo diritto sul 50% delle quote della Alfa S.r.l., con la pronuncia del trasferimento ai sensi dell’art. 2932 c.c. o la condanna del convenuto alla restituzione di quelle in suo possesso, ed in subordine per sentir accertare l’ingiustificato arricchimento derivante dall’intestazione delle predette quote, con la condanna del convenuto all’in­dennizzo per la diminuzione patrimoniale da lei subita. A sostegno della domanda, ha esposto che nella predetta società sono confluiti tutti i beni familiari, dei quali essi coniugi hanno disposto sempre di comune accordo, in virtù del mandato da essa conferito al G., al quale è stata fiduciariamente intestata una parte delle sue quote azionarie. Ha riferito inoltre che, a seguito del manifestarsi di una crisi familiare, il coniuge, avvalendosi della propria partecipazione di maggioranza, l’ha estromessa da ogni decisione, relegandola ai margini della società. Si è costituito il G., ed ha eccepito preliminarmente l’incompetenza del Giudice adito, essendo competente la Sezione specializzata in materia d’impresa o il collegio arbitrale previsto dall’art. 34 dello statuto societario; nel merito, ha resistito alla domanda, chiedendone il rigetto. Con ordinanza del 20 giugno 2018, il Tribunale di Firenze, Sezione specializ­zata in materia d’impresa, ha dichiarato la propria incompetenza, osservando che, in quanto riguardante il trasferimento di quote di partecipazione ad una società di capitali, la domanda [continua..]
SOMMARIO:

1. I fatti di causa - 2. La nozione di negozio fiduciario - 3. Fiducia, simulazione e mandato - 4. Il negozio fiduciario tra concezione germanistica e romanistica: l’approccio germanistico - 5. (Segue) la tesi romanistica - 6. La ricostruzione del Giudice Supremo nel caso di specie e le conseguenze in termini di tutela - 7. L’arbitrabilità del pactum fiduciae - 8. Criticità della ricostruzione e rilievi conclusivi - NOTE


1. I fatti di causa

Con l’ordinanza n. 22903 in commento [1], la Suprema Corte ha escluso l’ar­bitrabilità di una lite in materia di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, cassando l’ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale competente. La corte, nel caso di specie, veniva adita, con regolamento di competenza, avverso un’ordinanza del Tribunale di Firenze, dalla ricorrente Q.F., contro G.A., quale resistente. Q.F. conveniva in giudizio il coniuge G.A., per sentir accertare il suo diritto di proprietà sul 50% delle quote della società Alfa S.r.l. (poi trasformatasi nel corso del giudizio in Alfa S.p.A.), società in cui erano confluiti, a detta della parte attrice tutti i beni familiari, dei quali i coniugi avevano in passato sempre disposto di comune accordo, in virtù del mandato dall’attrice conferito al coniuge G.A., al quale era stata fiduciariamente intestata una parte delle quote originariamente in proprietà di Q.F. Tuttavia, a mente della ricostruzione della parte attrice, a seguito del manifestarsi di una crisi familiare, Q.F. veniva di fatto estromessa da ogni decisione relativa alla società dal coniuge, avvalsosi della partecipazione di maggioranza. Il convenuto, per la parte che qui interessa, preliminarmente eccepiva l’incompetenza del Tribunale di Firenze adito, ritenendo competente il collegio arbitrale previsto dallo statuto della società Alfa. Accogliendo l’ec­cezione proposta dal convenuto, il Tribunale di Firenze, dichiarava la propria incompetenza, osservando che, in quanto riguardante il trasferimento di quote di partecipazione di una società di capitali, la competenza era stata attribuita al collegio arbitrale dallo statuto della società Alfa. Il testo dello statuto (rimasto invariato nella clausola in analisi, nonostante la trasformazione della società da società a responsabilità limitata a società per azioni) infatti prevedeva che tutte le controversie insorgenti tra la società e i soci o tra questi ultimi relativa­mente al contratto sociale, fossero devolute alla competenza del collegio arbitrale, purché avessero ad oggetto diritti disponibili e purché non fosse previsto l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero. Contro l’ordinanza del giudice fiorentino ricorreva Q.F., osservando come la [continua ..]


2. La nozione di negozio fiduciario

La soluzione prospettata al ricorso verte sulla natura giuridica e sulla conseguente arbitrabilità della fattispecie di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali [3]. In termini generali, come ricostruito anche dal provvedimento in commento, l’intestazione fiduciaria si configura come un negozio di trasferimento della titolarità di un bene da un soggetto fiduciante ad un altro fiduciario, al quale sono, di norma, fornite apposite istruzioni da parte del fiduciante relativamente alla gestione e all’amministrazione del bene oggetto del pactum [4]. Inoltre, il rapporto prevede il diritto per il fiduciante di ottenere la restituzione del bene, con una nuova intestazione a nome proprio o eventualmente a favore di terzi beneficiari: l’intestazione fiduciaria è per questo descritta come “la situazione in cui il trasferimento del bene in favore del fiduciario viene limitato dall’obbligo inter partes al ritrasferimento, in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae, laddove manca […] qualsiasi intento liberale, e la posizione di titolarità creata si palesa soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante” [5]. La figura, che comporta la nascita di veri e propri obblighi giuridici – non meramente morali – a carico del fiduciario [6], rientra “nella categoria dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, in quanto il negozio, che è realmente voluto dalle parti, viene posto in essere in vista di un fine pratico diverso da quello suo tipico” [7], ovvero il mero trasferimento di proprietà. Da ciò deriva la considerazione dell’eccedenza del mezzo scelto dalle parti (ovvero il trasferimento della proprietà) rispetto al fine voluto o dell’eccedenza della causa del contratto rispetto allo scopo determinato dalle parti [8]. Le funzioni pratiche del negozio sono le più varie, seppur, giova ricordarlo, non sempre lecite: permettere al fiduciante di raggiungere una data quota all’interno di una società; consentire al fiduciante di non effettuare le comunicazioni alla Consob nel caso di raggiungimento di determinate soglie nelle società quotate; garantire un debito del fiduciante verso il fiduciario [9]; [continua ..]


3. Fiducia, simulazione e mandato

Il negozio in discorso si distingue dalle altre figure giuridiche affini per numerosi aspetti: [15] in primo luogo, si differenzia dalla simulazione assoluta: il discrimen tra le due figure è rappresentato dall’esistenza o meno tra le parti di un’effettiva volontà del trasferimento [16]: mentre nel negozio fiduciario esso è voluto ed effettivo tra i contraenti, nel caso della simulazione assoluta, il contratto è del tutto improduttivo di effetti giuridici, a causa della divergenza tra volontà e manifestazione della stessa, che si sostanzia in un accordo destinato a non produrre i suoi effetti tipici. Più sottile appare invece il raffronto tra l’i­stituto in commento e quello della simulazione relativa, dal momento che l’ef­fetto reale accomuna entrambe le fattispecie. Tuttavia, l’elemento di divergenza è, anche in questo caso, da ricercarsi nella volontà: se nella simulazione relativa esistono due negozi, uno apparente e uno reale, nel patto fiduciario man­ca elemento della finzione, in quanto l’unico atto posto in essere è vero, ma destinato a produrre effetti successivi differenti rispetto a quello tipico [17]. Da ultimo, sul piano della componente soggettiva del contratto, il negozio fiduciario è da tenere distinto dall’ipotesi di simulazione relativa soggettiva dell’in­terposizione fittizia di persona, in quanto il primo integra – come verrà meglio dettagliato nel prosieguo – una forma di interposizione reale di persona, dove il fiduciario agisce come effettivo contraente, mentre, nell’interposi­zione fittizia di persona l’interposto finge di volere in proprio ma in realtà si sostituisce ad un altro, con l’accordo del terzo [18]. Il negozio fiduciario può essere altresì accostato al mandato e in particolare a quello senza rappresentanza, in cui il mandatario acquista beni e diritti in nome proprio ma nell’interesse del mandante, essendo tenuto a trasferirglieli, con un atto successivo. In favore della qualificazione dell’istituto in commento come mandato senza rappresentanza si è espressa la giurisprudenza maggioritaria [19], riconoscendo la comunanza dei tratti caratterizzanti delle due figure, dal momento che “il fiduciario [..] agisce, nell’esercizio dei diritti connessi alla [continua ..]


4. Il negozio fiduciario tra concezione germanistica e romanistica: l’approccio germanistico

La questione principale dell’ordinanza in commento verte sull’inquadra­mento dell’istituto nella categoria romanistica ovvero in quella germanistica della fiducia. Secondo la lettura germanistica, il negozio fiduciario comporta un trasferimento della mera legittimazione alla gestione del bene e, con riferimento alla partecipazione sociale, all’esercizio dei diritti incorporati nell’a­zione, senza un effettivo trasferimento della proprietà [25]. Pertanto, al fiduciario non viene trasferita la proprietà delle partecipazioni, ma la sola legittimazione all’esercizio dei diritti incorporati nelle azioni trasferite, con il mantenimento della titolarità sostanziale delle stesse in capo al fiduciante. Il patto fiduciario ha quindi efficacia esterna verso i terzi, ivi inclusa la società emittente, rispetto ai quali il fiduciario resta il titolare della partecipazione. Questa ricostruzione ha trovato il favore di parte della giurisprudenza, la quale ha ritenuto che la configurazione germanistica dell’istituto sia possibile per i titoli di credito a condizione che il pactum fiduciae preveda espressamente, al posto della trasmissione in proprietà dei beni, la sola attribuzione al fiduciario della mera legittimazione all’esercizio dei diritti trasferiti fiduciariamente [26]. In particolare, la giurisprudenza favorevole alla tesi [27] ha configurato l’isti­tuto della fiducia come mera legittimazione alla gestione della partecipazione, nei casi in cui l’intestazione fiduciaria sia caratterizzata da staticità e qualora abbia ad oggetto partecipazioni a favore delle società fiduciarie, qualificate come intermediari autorizzati ai sensi dell’art. 1, comma 1, l. 23 novembre 1939, n. 1966 [28]. La ricostruzione si basa sulla considerazione che la fiducia statica si fonda sullo schema germanistico, ovvero sulla pattuizione che la proprietà dei titoli rimane in capo al fiduciante con l’obbligo da parte della società fiduciaria di gestire, secondo le indicazioni ricevute i titoli, i quali non si confondono mai con il suo patrimonio mobiliare. Al contrario, a mente di questa lettura, la fiducia dinamica, basata sul modello romanistico, conferisce alla società fiduciaria la titolarità e i poteri gestori (incluso quello di alienazione). In questo tipo di contratto dinamico, i titoli [continua ..]


5. (Segue) la tesi romanistica

In contrapposizione con la testi germanistica si pone la concezione romanistica dell’istituto, accolta dalla giurisprudenza maggioritaria [38] e – come meglio dettagliato infra – dal provvedimento in commento. Secondo questa lettura, la fiducia societaria, cioè avente ad oggetto titoli di società, è idonea a rendere estraneo il soggetto fiduciante rispetto ai soci e alla società, dal momento che il fiduciario acquista effettivamente i diritti trasferiti in virtù del negozio traslativo, essendo l’interposizione di persona reale. Egli diviene quindi effettivo titolare dei diritti trasferiti nei confronti dei terzi, il cui esercizio è però realizzato nell’interesse del fiduciante, gravando sul fiduciario, in virtù del pactum, l’obbligo – destinato a produrre effetti interni solamente tra le parti – di osservare un certo comportamento convenuto con il fiduciante e di ritrasferire i diritti secondo le indicazioni del fiduciante in seguito ad una situazione determinante il venir meno della c.d. causa fiduciae [39]. Tuttavia, l’obbligo in capo al fiduciario non ha rilevanza esterna, dal momento che l’intestazione non comporta alcun effetto nei rapporti con la società o gli altri soci, nei confronti dei quali viene in considerazione esclusivamente la titolarità formale della partecipazione iscritta nei libri sociali in capo al fiduciario. La tesi della mancanza di rilevanza verso i terzi dell’istituto, tra l’altro, si giustifica sulla base del fatto che il legislatore, quando ha inteso dare risalto ed efficacia verso i terzi al rapporto fiduciario, lo ha esplicitamente indicato in una norma, come avviene nel caso dell’art. 2504-ter, comma 2, c.c., che include espressamente nel proprio divieto l’utilizzo di società fiduciarie o di interposte persone. Similmente anche l’art. 2357 c.c., relativo all’acquisto di azioni proprie, l’art. 2358 c.c., in tema di operazioni sulle proprie azioni, e l’art. 2359 c.c., in merito al controllo societario, contemplano nel loro ambito di applicazione l’inte­stazione fiduciaria [40]. La qualificazione dell’istituto ha come conseguenza che i giudici, nel vagliare la posizione del fiduciante verso la società per l’esercizio dei diritti sociali, hanno sancito l’irrilevanza [continua ..]


6. La ricostruzione del Giudice Supremo nel caso di specie e le conseguenze in termini di tutela

Con l’ordinanza in commento, il Giudice Supremo fa propria la prospettata ricostruzione romanistica della fattispecie, statuendo che l’intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali comporta un trasferimento della titolarità del bene tra fiduciante e fiduciario, con obbligo a carico dell’intestatario-fidu­ciario di ritrasferire la proprietà dei titoli o di restituirli all’originario titolare. La fattispecie in commento, anche ove i beni oggetto del negozio siano delle partecipazioni societarie, dà quindi luogo, nella ricostruzione operata dal giudice procedente, ad un’ipotesi di interposizione reale di persona, in virtù della quale l’interposto acquista la titolarità delle azioni o delle quote, apparendone all’esterno come unico e solo proprietario, pur essendo tenuto in virtù dell’ac­cordo fiduciario ad osservare un determinato comportamento convenuto in precedenza con il fiduciante. Il Giudice Supremo, con l’ordinanza in commento, accoglie la ricostruzione prospettata, dalla quale deriva poi la concezione in chiave romanistica dell’istituto, statuendo che la fiducia si configura “come una combinazione di due fattispecie negoziali collegate, l’una costituita da un negozio traslativo a carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia nei confronti dei terzi, e l’altra (il c.d. pactum fiduciae) avente carattere interno ed effetti meramente obbligatori, diretta a modificare il risultato finale del negozio esterno mediante l’obbligo assunto dal fiduciario di trasferire al fiduciante il bene o il diritto che ha costituito oggetto dell’acquisto” [50]. La ricostruzione in chiave romanistica della fattispecie porta, tuttavia, ad una relativa mancanza di tutela del fiduciante in caso di abusi da parte del fiduciario. Infatti, il fiduciario, essendo titolare di un diritto pieno e illimitato verso i terzi, può abusare del potere attribuitogli, agendo in modo difforme rispetto alle indicazioni ricevute dal fiduciante, come nel caso oggetto del provvedimento citato: il fiduciario può altresì rifiutarsi di procedere al ritrasferimento dei beni fiduciari o ancora può alienarli validamente – secondo le regole del diritto civile – a terzi. Il fiduciante potrà fondare le sue pretese solamente sul patto fiduciario, con un’azione per il [continua ..]


7. L’arbitrabilità del pactum fiduciae

L’accoglimento della ricostruzione romanistica dell’istituto, operato dal giudice di legittimità, ha conseguenze anche con riferimento all’arbitrabilità, nel caso concreto, del patto, ai sensi della clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale. Infatti, il giudice supremo, in virtù del fatto che il patto fiduciario resta esterno rispetto al rapporto sociale e ai rapporti tra i soci, esclude che la controversia, pur essendo insorta tra due soci, riguardi il rapporto sociale e sia conseguentemente ricomprendibile nella competenza arbitrale. La Cassazione, infatti, nota come “anche a voler attribuire alla [..] clausola [compromissoria, contenuta nello statuto, n.d.r.] il significato più ampio possibile [..] dovrebbe comunque escludersi la possibilità di ritenere devoluta alla competenza degli arbitri la domanda [..], la quale, pur avendo ad oggetto l’accertame­nto della titolarità effettiva della partecipazione sociale, fatta valere da un socio nei confronti di un altro socio, non trova la sua causa petendi nel contratto sociale” [53]. Il rapporto sociale si configura, nella ricostruzione della Corte, non come causa petendi ma come un mero presupposto del pactum, estraneo alla materia del contendere (ovvero il solo rapporto interno tra fiduciante e fiduciario) e quindi inidoneo a giustificare la riconduzione della controversia alla competenza degli arbitri [54]. Infatti, a mente dei Giudici di Piazza Cavour, gli effetti della pronuncia sono destinati ad esaurirsi nel rapporto interno, senza riguardare invece quello sociale, che resta esterno ed estraneo al negozio fiduciario [55]. Pertanto, la controversia sottoposta all’attenzione dei giudici non è qualificabile come una lite su “diritti relativi al rapporto sociale”, devolvibile in arbitrato societario ai sensi dell’art. 34, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. La pronuncia in commento si inserisce nel dibattito riguardante la portata della clausola compromissoria, richiamando espressamente quello che la Corte stessa definisce come “il consolidato orientamento [..], secondo cui la clausola compromissoria contenuta in un contratto non consente di estendere la deroga alla competenza del giudice ordinario ed il deferimento agli arbitri a controversie relative ad altri contratti, ancorché gli stessi risultino collegati a [continua ..]


8. Criticità della ricostruzione e rilievi conclusivi

Il Giudice di legittimità con l’ordinanza che si commenta ha aderito a due orientamenti consolidati rispettivamente in relazione alla configurazione romanistica dell’istituto della fiducia e alla non inclusione nel patto derogatorio della competenza del giudice statale delle controversie che non trovano nel contratto contenente la deroga la propria causa petendi. Se l’adesione pare correttamente motivata con riferimento alla natura del pactum, altrettanto non si può ritenere con riferimento all’esclusione della fiducia dall’ambito del­l’ar­bitrabilità della clausola statutaria. Infatti, in primo luogo, tale interpretazione è apertamente in contrasto con il citato principio del favor legis per l’arbitrato in virtù del quale “in caso di dubbio nascente dall’interpretazione letterale, la clausola arbitrale inserita in uno statuto di società va interpretata in senso estensivo” [75]. Inoltre, siffatta lettura contrasta altresì con il disposto del terzo comma del citato art. 34, secondo il quale la clausola compromissoria è vincolante per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto di controversia, come, nel caso in commento, il fiduciario. Una diversa interpretazione del caso, da ultimo, avrebbe avuto il vantaggio di convogliare la risoluzione di tutte le controversie relative alla stessa vicenda in una medesima sede, evitando pericolosi contrasti di giudicato. Paiono porsi in linea con quanto sostenuto alcune isolate pronunce: tra queste, il Tribunale meneghino che ha ritenuto che in relazione all’impugnazione di una delibera assembleare che comporta la perdita della qualità di soci, la clausola arbitrale, approvata dai soci superstiti a seguito della delibera, è efficace anche nei confronti degli ex-soci impugnanti e prima che sia decorso il termine per l’impugnazione della delibera [76]. Similmente è stato ritenuto che la convenzione arbitrale contenuta in uno statuto sia idonea a comprendere anche le liti inerenti ai patti parasociali [77] e le controversie relative alla gestione imprenditoriale di una società ancorché gli effetti pregiudizievoli lamentati da una delle parti incidano su elementi patrimoniali di alcuni soci [78]. In conclusione, la Corte Suprema, dopo aver ribadito il principio per [continua ..]


NOTE