Partendo dalla sentenza annotata, l’articolo intende offrire alcune riflessioni su taluni principi di ermeneutica contrattuale in rapporto alla interpretazione della clausola compromissoria. L’autore conclude sostenendo che, in caso di dubbio di qualificazione tra arbitrato rituale e irrituale, la scelta dovrebbe avvenire solo a seguito di una minuziosa interpretazione dell’intero contesto contrattuale.
Starting by the decision here annotated, the Article would offer some considerations on some principles of hermeneutics of contract law in relation to the interpretation of the arbitration clause. The author concludes by arguing that in the case of uncertainty between ritual and informal arbitration, the choice must be made only after an in-depth interpretation of the whole context of the agreement.
Keywords: Arbitration, Informal Arbitration, Arbitration clause, Interpretation, Systematic Interpretation, Contractual analysis
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La sentenza annotata potrebbe apparire come l’ennesimo contributo all’annoso dibattito, su cui sono stati scritti fiumi di inchiostro [1], sulla qualificazione tra arbitrato rituale e irrituale operata dalla convenzione arbitrale. In realtà, partendo da questa sentenza, si tenterà di tracciare una riflessione sui criteri di qualificazione della clausola compromissoria indagando il tema con riguardo alle disposizioni sull’interpretazione del contratto, non sempre tenute adeguatamente presenti. Nel caso di specie la Cassazione, con una motivazione abbastanza discutibile, perché non pare applicare i classici principi di ermeneutica contrattuale, rileva che la clausola compromissoria oggetto del giudizio non faccia sorgere alcun dubbio sulla qualificazione dell’arbitrato come rituale, alla luce della circostanza che espressioni come “giudizio arbitrale”, “giudizio inappellabile”, “senza formalità di rito e secondo equità” non consentirebbero di qualificare l’arbitrato come “irrituale”, ritenendo, tra l’altro, che l’arbitrato rituale, comunque, offrirebbe maggiori garanzie sia con riguardo all’efficacia esecutiva del lodo che a quello del regime delle impugnazioni. Prima di entrare nel vivo delle tematiche oggetto della pronuncia, giova richiamare, sia pur brevemente, i fatti di causa. Trattasi, a dire il vero, di una situazione che, sempre più frequentemente, si presenta di fronte al giurista che è tenuto ad applicare i principi basilari di ermeneutica contrattuale, più in particolare, della clausola compromissoria [2] che le parti [3], sempre più spesso, sono tentate ad inserire nell’atto di autonomia privata proprio per la rapidità ed efficienza del procedimento arbitrale [4]. Ad ogni modo, dalla mera lettura della sentenza annotata, è evidente il richiamo a quell’orientamento, oramai consolidato, secondo cui l’interpretazione della volontà delle parti e del contenuto del contratto è, di regola, incensurabile in sede di legittimità risolvendosi nella decisione di una quaestio voluntatis riservata esclusivamente al giudice di merito. Eccezione a tale principio giurisprudenziale si ha quando il giudice di merito non abbia osservato le comuni regole di ermeneutica contrattuale e, quindi, non abbia proceduto alla [continua ..]
La Suprema Corte nella sentenza in commento dedica una parte del suo ragionamento al problema della interpretazione della clausola compromissoria, limitandosi a sostenere – ad avviso di chi scrive in maniera troppo sintetica – che alcune espressioni non farebbero presumere per l’applicazione dell’arbitrato irrituale, in particolare «giudizio arbitrale», «giudizio inappellabile», «senza formalità di rito e secondo equità». Inoltre, in caso di dubbio comunque troverebbe applicazione la disciplina dell’arbitrato rituale in quanto offrirebbe maggiori garanzie alle parti [25]. Preso atto di ciò, il presupposto di partenza non è soffermarsi sulla differenza tra arbitrato rituale ed irrituale, e sulla restrizione del secondo sul primo così come decretato nell’art. 808-ter c.p.c. [26], quanto sulla compatibilità dei ragionamenti sottesi a tale consolidato orientamento giurisprudenziale [27], con alcuni basilari principi di ermeneutica contrattuale. Difatti, per un miglior inquadramento dell’intera questione preme preliminarmente rilevare che, in ottemperanza ad una oramai consolidata elaborazione dottrinale della materia, l’“interpretazione”, intesa come indagine sul piano conoscitivo della portata dell’accordo tra le parti, deve essere tenuta distinta dalla “qualificazione” che, invece, attiene propriamente alla determinazione delle conseguenze giuridiche – nel caso di specie preferenza della disciplina dell’arbitrato rituale o di quello irrituale – di quella clausola o di quel termine rispetto all’intenzione delle parti [28]. D’altro canto la qualificazione viene configurata dalla Suprema Corte come la fase finale del processo di interpretazione [29], sebbene mantenga una diversa funzione. In tale contesto, ovvero in quello della interpretazione della clausola compromissoria che indirettamente faccia riferimento a fattispecie tipiche dell’arbitrato irrituale ma che non rinvia espressamente a questo, entrambi i predetti istituti trovano diretta applicazione. Difatti, se da un lato l’arbitro è tenuto ad interpretare il contratto al fine di indagare sulla reale intenzione delle parti e sul contesto nel quale la clausola compromissoria è stata inserita, dall’altro questi è comunque tenuto a qualificare [continua ..]
Parimenti, ulteriore considerazione è quella relativa all’internazionalità dell’arbitrato anche alla luce della circostanza che, a tutt’oggi, così come confermato anche dal Rapporto della Camera Arbitrale di Milano [40], gli arbitrati con profili internazionali aumentano in maniera considerevole, ovvero quelli caratterizzanti per elementi esterni all’arbitrato stesso ma propri del contratto (residenza o sede effettiva di una delle parti o il luogo di esecuzione del rapporto controverso). Invero, quanto illustrato nei precedenti paragrafi, ad avviso di chi scrive, ha maggior peso in un contesto di arbitrato internazionale. Difatti il presupposto di partenza è che, specialmente con riferimento al commercio internazionale, la volontà delle parti è quella di avere un contratto che possa risolvere eventuali controversie con un istituto flessibile ed adattabile alla specialità del rapporto internazionale. In tale contesto, sarebbe auspicabile che l’arbitro, ai fini della interpretazione della clausola compromissoria [41], si muova con una certa autonomia interpretativa e compia l’operazione intellettuale di qualificazione dell’arbitrato [42] ponendosi in una prospettiva “internazionalistica” [43], tenendo conto non solo del carattere internazionale dell’operazione ma altresì degli ordinamenti statali presumibilmente collegati al contratto ed alla controversia e, quindi, alle regole ermeneutiche applicabili [44]. Difatti, specialmente in assenza della individuazione di una lex contractus [45], e data l’impossibilità di ricorrere alla lex fori per la postulata mancanza di una sede specifica dell’arbitrato internazionale [46], l’arbitro sarebbe tenuto a prendere in considerazione, altresì, le regole di ermeneutica contrattuale dello Stato la cui legge egli ritiene applicabile e, quindi, partendo da tali regole, qualificare quel tipo di arbitrato [47]. In effetti, l’internazionalità dell’arbitrato non può prescindere dalla circostanza che, essendo la clausola compromissoria un contratto, potrebbe una delle parti (quella straniera) aver implicitamente fatto rinvio alle norme sui contratti o alla interpretazione degli stessi così come disciplinate dall’ordinamento di appartenenza [48]. In tale contesto, un indizio in favore [continua ..]