Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

L'arbitrato societario (e l'arbitrato economico) nel Codice riformato (di Luca Boggio)


La recente riforma del diritto processuale civile ha incluso anche la disciplina dell’arbitrato societario. Sebbene poche siano le novità sul piano delle norme materiali, peraltro non irrilevanti anche in termini sistematici, le maggiori difficoltà interpretative emergono sul piano dell’inte­grazione tra il regime dell’arbitrato di diritto comune e quello dell’arbitrato societario, nonché su quello della portata dell’inclusione dell’arbitrato economico all’interno della legislazione processuale.

Company Arbitration (and Economic Arbitration) in the reformed Code

The recent Italian reform of the civil procedure rules extended to the company arbitration regime too. Few news concerns the material rules, even if they are relevant from the point of view of the “system”, the most significant interpretation issues involve the possibilities of integration between the general rules on arbitration and the special ones on company arbitration as well as the effect of the regulation of economic arbitration by the Procedural Code.

SOMMARIO:

1. L’arbitrato societario nei criteri di delegazione - 2. L’arbitrato societario nella trasposizione codicistica: prime considerazioni d’insieme - 3. Le “nuove” disposizioni codicistiche sull’arbitrato societario tra innovazioni e mere riproposizioni - 4. Un catalogo (neppure esaustivo) dei problemi posti dalla Ri­forma Cartabia nel campo dell’arbitrato endosocietario: prima visione d’insieme - 5. La misura (ed il limite) dell’integrazione della disciplina dell’ar­bitrato societario con il diritto comune dell’arbitrato (artt. 806-838 e 839-840 c.p.c.) - 6. È stato ampliato l’ambito di applicazione dell’arbitrato societario? - 7. Il pendolo della giurisdizionalizzazione e l’arbitrato irrituale endosocietario - 8. Un arbitrato economico più “processuale”? - NOTE


1. L’arbitrato societario nei criteri di delegazione

La c.d. “Riforma Cartabia”, in materia di arbitrato societario, prende le mosse dal comando esposto nell’art. 3 legge 26 novembre 2021, n. 206, ove – alla lettera f) del comma 15 – era stato fissato quale criterio di delegazione che si addivenisse, “nella prospettiva di riordino organico della materia e di semplificazione della normativa di riferimento”, all’“inserimento nel codice di procedura civile delle norme relative all’arbitrato societario e la conseguente abrogazione del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”, sancendo “la reclamabilità dell’ordinanza di cui all’articolo 35, comma 5, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, che decide sulla richiesta di sospensione della delibera”. In sostanza, si è chiesto al legislatore delegato di riformare la disciplina dell’arbitrato societario, essenzialmente, sotto due profili: da un lato, e con rilievo sul piano sistematico, riconducendo la regolamentazione dell’isti­tuto “speciale” [1] ad unità di collocazione con quella dell’arbitrato di diritto co­mune [2], posto che la prima era in precedenza confinata nelle poche norme rimaste in vigore del d.lgs. n. 5/2003; dall’altro, con effetti immediati sul piano della disciplina, imponendo l’introduzione di un doppio grado al procedimento cautelare di sospensione da parte degli arbitri delle deliberazioni assembleari. Le parole d’ordine sono, quanto all’intera disciplina, “riordino organico”, “semplificazione” e “inserimento nel codice di procedura civile” delle norme relative all’arbitrato societario; quanto alla regolamentazione della fase cautelare, “reclamabilità” della decisione sulla sospensione delle deliberazioni assembleari impugnate. Ne emerge un quadro di interventi, almeno in apparenza, minimale e connotato più dalla conservazione che dall’innovazione, anche se i comandi diretti a promuovere ordine, organicità, semplificazione ed unicità del contesto normativo tendono a far pendere l’ago della bilancia verso la seconda, limitando il carattere meramente conservativo delle modifiche normative. Dunque, per quanto l’assenza di specifiche indicazioni sul contenuto del diritto positivo – fatta eccezione per la previsione di reclamabilità – avrebbe [continua ..]


2. L’arbitrato societario nella trasposizione codicistica: prime considerazioni d’insieme

Con il d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 in attuazione della delega il governo-legislatore è intervenuto per la quarta volta in poco meno di quarant’anni sulla disciplina generale dell’arbitrato e, in questa occasione, ha ritenuto di incidere anche sull’assetto normativo dell’arbitrato societario, in passato utilizzato come “palestra” per la riforma del diritto generale [7] e oggi invece ricondotto, nonostante qualche persistente elemento di specialità [8], nell’alveo del Codice di rito dalla sua eccentrica collocazione nelle ultime disposizioni ancora in vigore di una riforma che avrebbe dovuto dare impulso all’efficienza delle soluzioni delle controversie societarie e che, per contro, era naufragata tra le critiche prim’ancora di potere essere sottoposta ad un serio vaglio di efficacia dopo un adeguato periodo di assestamento e di sperimentazione. Ma tant’è. Il punto essenziale, interpretativo, ricostruttivo e quindi anche applicativo, è comprendere se la ricongiunzione della disciplina derogatoria dell’arbitrato societario con quella codicistica risulti neutrale o meno, nonostante i comandi della legge delega che potrebbero essere stati attuati solo in parte o in modo erroneo [9]. È noto, infatti, che la normativa regolatrice degli arbitrati fondati su clausola statutaria, per quanto caratterizzata da alcune disposizioni con soluzioni divergenti rispetto al diritto comune (ed, in quanto tale, certamente derogatoria e speciale), richiedeva già prima della novella in commento significative integrazioni – a completamento – ad opera di quel medesimo diritto comune dell’arbitrato contenuto nel Codice di procedura civile [10]. Chiaro che i comandi del legislatore delegante hanno un rilievo sul piano interpretativo [11], così come la trasposizione codicistica delle norme – prima “isolate” nel d.lgs. n. 5/2003 – pressocché senza modificazioni [12], la collocazione in un Capo VI-bis separato e successivo rispetto alla disciplina di diritto comune dell’arbi­tra­to (ma prima di quella relativa ai “lodi stranieri”), l’assenza di prese di posizione normative rispetto a divergenze interpretative emerse nei quasi vent’an­ni di applicazione della disciplina contenuta nel d.lgs. cit., la specificità del contesto applicativo [continua ..]


3. Le “nuove” disposizioni codicistiche sull’arbitrato societario tra innovazioni e mere riproposizioni

La riforma ha comportato l’inserimento di un Capo relativo all’arbitrato societario, dopo le ultime disposizioni regolatrici dell’arbitrato c.d. di diritto comune destinate alla disciplina del lodo e della sua impugnazione. Gli artt. 838-bis e seguenti riportano testi largamente coincidenti con quelli dei precedenti contenuti negli artt. 34-37 d.lgs. n. 5/2003, che, come noto, aveva introdotto anche il c.d. arbitrato economico diretto a risolvere i contrasti sulla gestione delle società di persone e delle società a responsabilità limitata [14]. Le vere novità – rispetto all’articolato contenuto nel d.lgs. n. 5/2003 – riguardano più le sottrazioni che le addizioni, perché, rispetto alla versione del 2003, anche la disciplina dell’arbitrato societario registra l’introduzione della revisione dell’esercizio dei poteri cautelari da parte degli arbitri, ma soprattutto la soppressione del riferimento all’arbitrato irrituale prima contenuto nel­l’art. 35 e di quelli all’arbitrato internazionale contenuti negli artt. 35 e 36; più marginale il rilievo della mancata trasposizione nel Codice della previsione dell’art. 35 comma 3, in ordine all’inapplicabilità del primo comma del­l’art. 819 c.p.c. Per il resto, fatta eccezione per la possibilità di attribuire agli arbitri poteri cautelari ulteriori rispetto alle sospensive delle deliberazioni assembleari [15], i “nuovi” testi normativi costituiscono la mera riproposizione all’interno del Codice dei testi degli artt. 34-37 d.lgs. cit. [16] con l’evi­dente particolarità dell’inclusione, “in coda” alla disciplina dell’arbitrato societario, dell’unica disposizione destinata a regolare l’arbitrato c.d. gestionale o economico, che, come noto, non costituisce un arbitrato in senso proprio [17]. Tralasciando per ora l’arbitrato economico, sul quale ritorno nell’ultimo paragrafo, è opportuno chiarire subito che dalla lettura della legge delega è evidente la ragione dell’introduzione del reclamo cautelare [18], così come, anche se non nella stessa misura, quella della soppressione della previsione di non applicazione del primo comma dell’art. 819 [19]. Non è, invece, dato comprendere la ratio della cancellazione dei [continua ..]


4. Un catalogo (neppure esaustivo) dei problemi posti dalla Ri­forma Cartabia nel campo dell’arbitrato endosocietario: prima visione d’insieme

Il catalogo dei problemi post-riforma Cartabia è tutt’altro che breve e di poco momento, perché molti dubbi toccano aspetti fondamentali dell’istituto arbitrale e delle sue possibilità di utilizzo nel contesto endosocietario. La rilevanza ormai acquisita dalle società e, più in generale, dalle organizzazioni collettive che svolgono attività d’impresa pone i relativi conflitti in una posizione di preminenza nell’ambito del contenzioso civile e sollecita soluzioni certe e rapide, onde, se non favorire, almeno accompagnare senza ostacolare quell’at­tività nella logica di “ripresa e resilienza” [25]. I problemi che si enunciano ed ai quali si cerca di offrire una soluzione nelle pagine seguenti vanno contestualizzati in siffatto quadro anche in considerazione del fatto che non solo le innovazioni apportate, ma l’intero complesso normativo che le ha accolte deve orientarsi verso la realizzazione degli obbiettivi fissati dall’Unione Europea per via di una normativa che prevale sul diritto nazionale e lo modella ai propri scopi secondo i principi sanciti dai Trattati [26]. Accantonando per un momento questa prospettiva di vertice, val la pena di segnalare i profili problematici che si seguito sono presi in considerazione non senza precisare l’intento non esaustivo della trattazione. Se ne sono scelti quattro per la rilevanza concreta e perché le considerazioni che rispetto ad essi sono svolte potranno ben orientare altri interpreti verso la soluzione di ulteriori dubbi qui non trattati. La novità più evidente non è soltanto l’avvenuta trasposizione nel Codice di rito delle norme sull’arbitrato societario, ma la loro collocazione nell’am­bi­to della disciplina dell’arbitrato, prima delle disposizioni relative ai lodi stranieri. Questo impone di valutare fin dove possa e debba spingersi l’inte­gra­zione della disciplina dell’arbitrato endosocietario con quella diritto comune e, quindi, se ed in quale misura la prima mantenga un’autonomia rispetto alla seconda nel senso che resti governata da principi propri e divergenti rispetto a quelli applicabili agli “altri” arbitrati [27]. Ben meno immediatamente percepibile è l’incidenza della riforma sul­l’am­bito soggettivo di applicazione dell’arbitrato societario, [continua ..]


5. La misura (ed il limite) dell’integrazione della disciplina dell’ar­bitrato societario con il diritto comune dell’arbitrato (artt. 806-838 e 839-840 c.p.c.)

Proprio riprendendo le mosse dalla constatazione esposta nelle ultime righe del paragrafo precedente in ordine alla persistente distinzione di discipline tra arbitrato di diritto comune ed arbitrato societario, si deve affrontare la trasposizione della seconda nel Codice di rito, collocandola, seppur in un Capo proprio, comunque nell’ambito della disciplina dell’arbitrato e prima delle disposizioni relative ai lodi stranieri. Come anticipato, la domanda è se ed in quale grado – rispetto a quanto generalmente si era ritenuto nel vigore del d.lgs. n. 5/2003 – l’integrazione della disciplina dell’arbitrato endosocietario con quella diritto comune comporti una maggiore omologazione della prima alla seconda. Chiarito che, non essendo stata imposta la soppressione della speciale forma arbitrale da clausola statutaria, questa debba mantenere un suo grado di autonomia e che, di conseguenza, non possa darsi una lettura delle relative disposizioni in termini necessariamente restrittivi, il punto è comprendere se interpretazioni restrittive siano oggi più giustificate che in passato e, in tal caso, quale direttrice interpretativa possa trarsi dalla disciplina riformata. Il quadro è complesso, perché, attuando le direttive di “riordino organico” e “semplificazione”, il legislatore delegato ha scelto di creare un Capo a parte per l’arbitrato societario [35], ma non ha preso posizione rispetto alle divergenze interpretative emerse nei quasi vent’anni di applicazione della disciplina contenuta nel d.lgs. cit. [36], ad esempio, in materia di applicabilità della disciplina dell’arbitrato societario anche ai casi di indicazione dell’arbitrato irrituale quale strumento di soluzione delle liti endosocietarie [37]; non ha modificato la scelta originaria di escludere le società facenti ricorso al mercato del capitale di rischio dall’ambito applicativo dell’arbitrato societario, senza chiarire se nel caso di queste siano applicabili le regole di diritto comune [38]. Quindi, sicuramente, carenze di organicità si hanno per i silenzi sull’arbitrato irrituale e sulle società facenti ricorso al mercato del capitale di rischio ai sensi dell’art. 2325-bis c.c.; dunque, organicità non significa necessariamente esaustività della disciplina codicistica per quanto attiene alle liti [continua ..]


6. È stato ampliato l’ambito di applicazione dell’arbitrato societario?

La domanda sorge spontanea perché, nel vigore degli artt. 34-36, era prevalsa l’idea che la relativa disciplina si potesse applicare direttamente soltanto alle società “commerciali”. Questo perché l’arbitrato societario era stato introdotto in forza di una legge di delegazione che prevedeva “la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie” [64]. Di talché, le società semplici erano risultate escluse, potendo ipotizzarsi solo un’applicazione analogica di singole disposizioni relative all’arbitrato societario [65]. Si trattava, però, di un’esclu­sione che derivava dalla necessità di rispettare l’art. 76 Cost. quanto ai poteri normativi del legislatore delegato, intendendo l’esercizio della delega legislativa come limitato alle “società commerciali” [66]. La trasposizione delle medesime norme nel Codice di rito, seppure con le addizioni e le sottrazioni ricordate nel paragrafo 5, aliena dal precedente e limitante contesto normativo la previsione secondo la quale “gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie” che le riguardano. La legge delega del 2021 non fa menzione delle tipologie di società per le quali sarebbe previsto l’arbitrato societario. Il dubbio è che né il legislatore delegante né quello delegato si siano posti il problema. Tuttavia, alle norme deve essere attribuito il senso fatto proprio in virtù delle parole utilizzate e la connessione tra le stesse; cioè, primo criterio di interpretazione è il significato letterale e già rispetto alla disciplina del 2003 si era messa in luce la potenziale applicabilità della disciplina del­l’arbitrato societario alle società non commerciali, poi esclusa – come ricordato – soltanto per la specificazione contenuta nella legge delega [67]. Oggi, non essendoci più “a monte” della disposizione trasposta nel [continua ..]


7. Il pendolo della giurisdizionalizzazione e l’arbitrato irrituale endosocietario

Più sopra si è anticipato che, nonostante l’ammissibilità della concessione di poteri cautelari agli arbitri in materia di sequestri conservativi o giudiziari, inibitorie, ordini di consegna o rilascio ex art. 700 c.p.c., ecc., la trasposizione codicistica della disciplina dell’arbitrato societario è caratterizzata da un ulteriore incremento del grado di giurisdizionalizzazione della giustizia privata endosocietaria per effetto dell’introduzione della reclamabilità delle ordinanze cautelari che decidono sulla sospensione delle deliberazioni assembleari [78], così come in considerazione della chiara conferma del potere di giudicare anche le questioni non compromettibili seppur soltanto incidenter tantum [79]. Questo in un contesto normativo in cui non sono stati toccati aspetti già “giurisdizionalizzati” al tempo della scrittura originaria della disciplina dell’arbitrato societario (intervento dei soci e dei terzi nel procedimento arbitrale pendente, pubblicazione dei provvedimenti pronunciati in corso o in esito al procedimento stesso, ecc.) [80]. È evidente che il pendolo della giurisdizionalizzazione si è spostato ancor più dal lato dell’omologazione delle modalità di azione degli arbitri e degli effetti del lodo a quelli tipici dei giudici dello Stato e delle sentenze, in coerenza con analoga tendenza – anche se meno marcata negli effetti – che investe la disciplina dell’arbitrato di diritto comune [81]. Orbene, questo esclude l’ammissibilità di arbitrati irrituali da clausola statutaria? In caso di risposta negativa, tali arbitrati sarebbero soggetti alla disciplina contenuta negli artt. 838-bis e seguenti? L’arbitrato irrituale, altrimenti detto arbitrato “libero”, nasce proprio dal­l’autonomia negoziale come fenomeno “contrattuale” e, come tale, ontologicamente collocato su un piano diverso da quello giurisdizionale [82]. Già dopo la riforma societaria del 2003 erano fiorite le discussioni sull’assoggettamento dell’arbitrato irrituale alle regole imposte (inderogabilmente) agli arbitrati da clausola statutaria, perché forte era la percezione di conflitto tra la natura irrituale dell’arbitrato e i vincoli formali e procedimentali della “nuova species” arbitrale. Ciò aveva finito per [continua ..]


8. Un arbitrato economico più “processuale”?

Prima di concludere l’indagine sulla portata della trasposizione codicistica delle residue norme del d.lgs. n. 5/2003 qualche osservazione è opportuno che sia dedicata anche alla collocazione sistematica dello strumento destinato alla risoluzione dei contrasti sulla gestione delle società di persone e delle società a responsabilità limitata. Preso atto che il legislatore ha deciso di riservare al­l’istituto trasposizione analoga a quella operata per l’arbitrato societario, non ha senso discuterne l’opportunità, quanto piuttosto gli effetti ormai vincolanti. Al di là della nuova estensione dell’ambito di applicazione soggettivo che, per le medesime ragioni esposte nel precedente paragrafo 6, ora include anche le società semplici, ci si deve chiedere se la scelta colori l’arbitrato economico in termini maggiormente processuali con qualche conseguenza di rilievo sulla sua disciplina. Certamente, non mancano interrogativi, tutt’altro che di semplice risposta, sul piano ricostruttivo. Il primo è se l’arbitrato economico, a dispetto dei molti studiosi che ne hanno sottolineato la riconducibilità all’istituto dell’arbitraggio più che a quello dell’arbitrato, si caratterizzi principalmente come fenomeno processuale una volta collocato nel Codice di rito. Quindi, più uno strumento di soluzione della lite, altrimenti rimessa al giudice dello Stato (un ADR, insomma), che una modalità di assunzione delle decisioni interna alle società, quando l’organo amministrativo sperimenti situazioni di contrasto tali da esporre al rischio di veri e propri stalli decisionali. La nuova collocazione nel Codice è suggestiva e induce a chiedersi se non sarebbe stata più opportuna una trasposizione nel Codice Civile (nel Libro III o nel Libro V), ma non si possono trascurare due aspetti: a prescindere dalla quasi totale abrogazione realizzata già nel 2009 del d.lgs. n. 5/2003, quest’ultimo strumento normativo era già volto a regolare i profili processuali della riforma delle società in attuazione della legge n. 366/2001; il Codice di procedura civile contiene norme che istituiscono e regolano procedimenti di intervento suppletivo sì del giudice, ma nell’ambito dell’attività sostanziale dei privati. Pertanto, la commistione del piano processuale con [continua ..]


NOTE