Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

I motivi di impugnazione del lodo: il significato delle “disposizioni contraddittorie” e i dubbi di costituzionalità dell'art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. (di Martina Morfeo)


Il presente scritto, suggerito dalla sentenza emessa dalla Corte d’appello di Bologna in data 23 febbraio 2022, affronta il tema dei motivi di impugnazione dei lodi nazionali, sia con riferimento al motivo contenuto all’art. 829, comma 1, n.11, c.p.c., sia in relazione ai limiti di sindacabilità degli errores in iudicando in raffronto con i principi costituzionali del giusto processo.

Award appeal grounds: the meaning of “contradictory provisions” and art. 829, paragraphs 3 and 4, c.p.c. constitutionality doubts

This paper, based on the ruling issued by the Court of Appeal of Bologna on 23 February 2022, addresses the award appeal grounds, both with reference to reasons contained in art. 829, paragraph 1, n.11, c.p.c., and in relation about syndicability limits of “errores in iudicando” on the light of due process constitutional principles.

MASSIME: Il vizio riferito all’art. 829 n. 11 c.p.c. riguarda il contrasto tra le diverse parti del dispositivo, o tra i motivi ed il dispositivo, e non fra parti interne della motivazione. (1) L’art. 829, comma 3, c.p.c. non presenta nessuna contrarietà rispetto agli artt. 3, 24 e 111 Cost. La scelta tra procedimento ordinario e procedimento arbitrale è libera e consapevole, costituisce esercizio di un diritto disponibile; il che esclude che possa esservi lesione dei principi costituzionali di uguaglianza, del giusto processo, o del diritto di difesa. (2) PROVVEDIMENTO (1-2): [Omissis] La società (…) promuoveva il procedimento arbitrale concluso con il lodo qui impugnato formulando i quesiti indicati a pag. 3 del lodo, ossia chiedendo: – l’accertamento del rapporto giuridico intercorso con la spa (…) quale subfornitura, ai sensi e per gli effetti della Legge 192/98; – l’accertamento della fattispecie della dipendenza economica ex art. 9 Legge 192/98; – l’accertamento dell’abuso di dipendenza economica della società (…) in danno della spa (…), attraverso il recesso esercitato dalla committente; – la condanna della convenuta al pagamento della somma di €. 1.037.871,00 a titolo di risarcimento dei danni con riferimento al recesso unilateralmente e illegittimamente esercitato; – la condanna di spa … a contrarre con la società (…) per un arco temporale coerente con l’individuazione di una idonea alternativa nel mercato di riferimento; – la condanna della convenuta al pagamento delle spese di lite. Il Collegio Arbitrale rigettava le domande della società (…), compensando le spese di lite, sulla base delle seguenti motivazioni: – 1) Insussistenza e mancata prova della dipendenza economica. Premesso che “manca, nella specie, la prospettazione di un adeguato quadro probatorio in merito alla stessa situazione di dipendenza economica di parte attrice, sia in ordine alla oggettiva incidenza della attività dalla stessa svolta, nell’am­bito della propria dimensione organizzativa, a favore di parte convenuta, sia quanto alla impossibilità, da parte della medesima, di acquisire opportunità contrattuali con terzi partner”, si afferma che “durante l’intera vicenda contrattuale, parte attrice ha emesso, per una percentuale non trascurabile, fatture a carico di altri clienti…In merito ai dati di fatturato della società (…), che sono idonei a rivelare l’incidenza su di esso delle commesse della società (…) nel corso degli anni, essi – quali inizialmente indicati – sono stati riconosciuti come errati dallo stesso Consulente di parte attrice, Dott. (…), nella sua perizia dd. 21/01/2019 (cfr. pag. 3 di detta Consulenza; v. inoltre pag. 3 della Memoria conclusionale della [continua..]
SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il caso - 3. L’impugnazione del lodo contenente disposizioni con­traddittorie - 3.1. La compatibilità costituzionale dell’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. con i principi del giusto processo - 3.2. Uno spunto di riflessione sull’inammissibilità del c.d. ricorso straordinario in cassazione per il lodo arbitrale - 4. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

L’art. 829 c.p.c. contiene un elenco tassativo dei casi di nullità del lodo. Il giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale costituisce un giudizio a critica limitata, proponibile soltanto per determinati errores in procedendo specificamente previsti, nonché per inosservanza delle regole di diritto nei limiti indicati dall’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. [1]. La scelta legislativa di prevedere l’instaurazione di tale giudizio dinanzi alla Corte d’appello nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, è fondata sulla considerazione che il giudice di secondo grado sia “maggiormente autorevole” [2], escludendo l’equiparazione dell’impugnazione di lodo ad un giudizio di appello. L’interpretazione del motivo contenuto nell’art. 829, comma 1, n. 11, c.p.c., che prevede la possibilità di annullare il lodo nei casi in cui quest’ul­timo contenga disposizioni contraddittorie, risultava controversa anteriormente al d.l. 22 giugno 2012, n. 83. Allo stato dell’arte, la giurisprudenza è addivenuta ad una definizione unitaria di “disposizioni contraddittorie”, che non lascia spazio alle interpretazioni giustificate dalle previsioni normative previgenti. Le successive problematiche si innestano sulla valutazione degli errores in iudicando, che nel diritto vigente sono possibili solamente nei casi previsti dall’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c.


2. Il caso

La sentenza de qua è il frutto dell’impugnazione di un lodo nazionale ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 9 e 11, c.p.c., nonché per violazione di norme di legge con contestuale questione di incostituzionalità per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 Cost. dell’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. Durante il giudizio, la parte impugnante ha rilevato che all’interno della motivazione del lodo impugnato fossero presenti delle contraddizioni, soprattutto in ordine all’impianto probatorio stabilito dal collegio arbitrale. L’impugnante ha altresì sollevato questione di incostituzionalità dell’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. laddove preclude alla Corte d’appello la riforma del lodo per violazione di regole di diritto. Secondo parte attorea, risulta evidente il contrasto della norma del codice di procedura civile con l’art. 3 Cost., che sancisce il principio di eguaglianza sostanziale, con l’art. 24 Cost., postulato del diritto di difesa, e con l’art. 111 Cost., il quale sancisce i principi del giusto processo e consente sempre il ricorso in cassazione per violazione di legge. Sul contrasto con l’art. 111 Cost., nella parte in cui prevede il ricorso straordinario in cassazione, l’attore evidenzia che la fonte primaria del nostro ordinamento non pone alcun limite all’impugnazione per violazione di legge, pertanto l’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. vìola la disposizione costituzionale, limitando illegittimamente l’impugnazione del lodo arbitrale a mere disposizioni negoziali. In tal modo, la disposizione ad oggetto vìola contemporaneamente anche gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto non permette, a prescindere da un espressa disposizione delle parti o della legge, alle parti di adire l’autorità giudiziaria statale, privando le stesse del diritto costituzionale di richiedere la tutela giurisdizionale dei propri interessi. Inoltre, la disposizione risulta essere totalmente discriminatoria. La difesa dell’impugnante si chiede come sia possibile negare alle parti la possibilità di richiedere “giustizia” semplicemente in virtù di una mera previsione negoziale delle stesse, o, ancor peggio, di una mancata previsione. È evidente il carattere discriminatorio della norma, che tratta in maniera del tutto ingiustificate diverse situazioni giuridiche analoghe. Conseguente alla mancata [continua ..]


3. L’impugnazione del lodo contenente disposizioni con­traddittorie

Il primo motivo di impugnazione sollevato nella controversia in esame fa riferimento ai casi di nullità del lodo contenente disposizioni contraddittorie. L’interpretazione dell’art. 829, comma 1 n. 11, c.p.c. ad oggi è pressoché univoca, ma in passato non sempre è stato così. Il contrasto interpretativo era sollecitato, dapprima, dall’equiparazione degli effetti del lodo alla sentenza, ai sensi dell’art. 824-bis c.p.c. [6], e, successivamente dalla previsione normativa dell’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c. anteriore alla riforma del d.l. 83/2012. La prima questione aveva ad oggetto il contenuto motivazionale del lodo arbitrale in relazione al proprio quantum. Una parte della dottrina [7] riteneva che la motivazione del lodo potesse essere meno esaustiva rispetto a quella della sentenza, essendo sufficiente individuare l’iter logico-giuridico posto alla base della pronuncia arbitrale. Secondo la dottrina prevalente [8], invero, il lodo doveva essere equiparato alla sentenza, escludendosi qualsiasi differenza fra la motivazione arbitrale e quella statale. Tale orientamento si fondava sulla disposizione dell’art. 111, comma 6, Cost., il quale prevede che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Il contrasto poi emergeva sulla corretta interpretazione del testo normativo dell’art. 829, comma 1, n. 11, c.p.c. anche in rapporto al vecchio art. 360, primo comma n. 5, c.p.c. La modifica legislativa dell’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c. [9], ha ridotto notevolmente la portata applicativa del vizio motivazionale, che ad oggi può essere rilevato solo in forza dell’art. 360, primo comma n. 4, c.p.c. per nullità della sentenza o del procedimento: la mancanza della motivazione consegue la nullità del provvedimento. Nella sua originale previsione, il dettato normativo dell’articolo menzionato, prevedeva che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado, fossero ricorribili per cassazione per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” [10]. La norma, sancendo il campo di operatività del vizio in sede di giurisdizione ordinaria, diveniva termine di paragone in sede arbitrale. La riforma intervenuta nel 2012, se da un lato ha rafforzato la tesi per cui non vi debbano essere distinzioni fra [continua ..]


3.1. La compatibilità costituzionale dell’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. con i principi del giusto processo

L’impugnante ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. laddove preclude alla Corte d’appello la riforma del lodo per violazione di regole di diritto. L’incostituzionalità obiettata è in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. La Corte d’appello di Bologna ha rigettato la questione in quanto manifestamente infondata, senza esperire il rinvio pregiudiziale alla Corte costituzionale. Le motivazioni addotte dalla Corte si fondano sulla natura negoziale del­l’arbitrato e sulla volontarietà delle parti, sia nella scelta del sistema alternativo di giustizia privata, sia nella scelta di non prevedere la sindacabilità sulle regole di diritto in sede di impugnazione [14]. Difatti, la norma in esame sancisce la possibilità di impugnare il lodo per gli errores in iudicando nei casi di espressa previsione delle parti o della legge. Sul punto l’attore ravvisa l’illegittimità della norma, sia per il suo carattere discriminatorio, che per la contraddittorietà con l’art. 111, comma 7, Cost [15]. Tale ricostruzione non sembra, tuttavia, pienamente soddisfacente: il principio ut supra fa riferimento al ricorso straordinario in cassazione e non al giudizio in appello, in relazione al quale non vi è alcuna disposizione al­l’in­terno del testo costituzionale [16]. Nonostante la Corte d’appello non abbia rilevato nulla sul punto, a parere di chi scrive, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, la questione proposta sarebbe stata maggiormente fondata se l’attore avesse sollevato l’inco­stituzionalità dell’art. 827, comma 1, c.p.c. nella parte in cui non prevede la possibilità di agire mediante ricorso straordinario in cassazione [17]. Per quanto attiene, invece, all’impugnazione in forma vincolata, non esiste alcun vincolo costituzionale in capo al legislatore di prevedere l’arbitrato nelle medesime forme del giudizio statale, anche perché in tal modo si perderebbe il carattere alternativo all’autorità giudiziaria. Tale previsione risulta del tutto coerente con la logica dell’arbitrato, rispetto alla quale l’impugnazione davanti all’autorità statale va intesa quale invasione dell’autonomia delle parti [18]. Il legislatore non esclude completamente la [continua ..]


3.2. Uno spunto di riflessione sull’inammissibilità del c.d. ricorso straordinario in cassazione per il lodo arbitrale

L’attore contesta l’incostituzionalità dell’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. con riferimento all’art. 111, comma 7, Cost. A differenza di quanto sollevato dall’attore, tale norma potrebbe porre problemi di compatibilità in relazione all’art. 827, comma 1, c.p.c., il quale esclude esplicitamente l’accesso al ricorso previsto dall’art. 111, comma 7, Cost [28]. La giurisprudenza di legittimità ha ampliato il novero dei provvedimenti oggetto della disposizione costituzionale, coniando la nozione di sentenza “in senso sostanziale” ed il ricorso per cassazione è stato ammesso anche contro i provvedimenti formalmente diversi dalla sentenza, come decreti o ordinanze, ma ad essa corrispondenti per sostanza, che avessero il duplice requisito della decisorietà su diritti o status e della definitività [29]. Occorre, dunque, verificare se nella nozione di sentenza in senso sostanziale possa includersi anche il lodo rituale [30], ovvero se possa definito quale provvedimento pronunciato da un organo giurisdizionale, avente carattere decisorio e definitivo [31]. Volgendo lo sguardo al contesto dell’Unione europea, la Corte di Giustizia non conferisce all’arbitrato natura di organo giurisdizionale. La Corte di Lussemburgo nelle note sentenze Nordsee del 1982 e Denuit del 2005 [32], dà una definizione di organo giurisdizionale, enunciando la sussistenza di cinque requisiti affinché un organo possa essere definito tale [33]. L’arbitrato non rientra in questa descrizione in quanto non possiede il requisito dell’obbligatorietà della giurisdizione [34], con la conseguente preclusione di esperire il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi del­l’art. 267 TFUE. Invero, il nostro ordinamento è maggiormente aperto nel conferire natura giurisdizionale all’arbitrato, sia perché al lodo è attribuita la medesima efficacia della sentenza, ex art. 824-bis c.p.c. [35], sia per la definizione del rapporto fra giudice ordinario e arbitro in termini di competenza, ai sensi dell’art. 819-ter c.p.c. [36]. Già precedentemente all’intervento legislativo del 2006, la Corte costituzionale [37] si pronunciò in materia, riconoscendo la legittimazione degli arbitri a sollevare questione di legittimità [continua ..]


4. Conclusioni

Alla luce di quanto esposto, la Corte d’appello di Bologna ha aderito agli orientamenti maggioritari in tema di impugnazione di lodi nazionali. La pronuncia della Corte, pienamente condivisibile, risulta essere coerente anche con i principi fondanti l’istituto arbitrale. La Corte ribadisce che le disposizioni contraddittorie non possano far riferimento a parti interne della motivazione stessa, salvo i casi in cui sia impossibile ricostruire l’iter logico-giuridico posto alla base della decisione arbitrale. Stante la questione di legittimità costituzionale del contrasto dell’art. 829, commi 3 e 4, c.p.c. con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., la Corte ne esclude la validità, in quanto l’arbitrato non costituisce una lesione dei principi di uguaglianza, giusto processo e difesa. Le doglianze poste da parte attorea avrebbero potuto suscitare alcuni punti di riflessione sulla possibilità di prevedere una norma che andasse ad ampliare quel fenomeno di parificazione fra arbitrato e giustizia statale. Prevedere sempre la valutazione della corretta applicazione delle regole di diritto anche per l’arbitrato, significherebbe concedere a quest’ultimo un secondo grado di giudizio sulla violazione di legge. Tale fenomeno potrebbe essere visto anche positivamente dalle parti, che potrebbero scegliere con maggior favore il sistema di giustizia privata avendo la possibilità di riforma della pronuncia nei casi di errores in iudicando. Proprio per tale ragione il legislatore non ne ha escluso completamente l’accesso, dando alle parti la possibilità di impugnare il lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia quando è espressamente disposta dalle stesse. Se, da un lato, la scelta normativa poteva propendere verso la completa parificazione fra arbitrato e processo ordinario, dall’altro, si è dovuto fare i conti con la ratio dell’istituto, che consente di soddisfare quell’esigenza di celerità e di stabilità per cui viene adito dalle parti [44]. La scelta legislativa dunque sembra essere, oltre che costituzionalmente compatibile, anche il “giusto mezzo” fra le sopra esposte necessità. Infine, l’argomento posto all’attenzione della Corte d’appello da parte attorea mette in luce un’ulteriore considerazione: la possibilità di esperire per violazione di legge [continua ..]


NOTE