Nel commento alla sentenza della Corte di appello di Firenze, che aveva rigettato l’impugnazione di un lodo, si affrontano due questioni: la contraddizione di parti della motivazione non incide sulla validità del lodo; non si può impugnare il lodo per controllare le risultanze istruttorie (in particolare: la consulenza tecnica) e contestare la qualificazione e ricostruzione dei fatti, a meno che non siano violate norme processuali con conseguente nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, n. 7 o n. 9 c.p.c.
In the commentary on the judgment of the Court of appeal of Florence, which rejected the challenge of an arbitral award, two issues are addressed: the contradiction of parts of the motivation does not affect the validity of the award; the award cannot be challenged to check the evidentiary findings (in particular: the technical expertise) and to contest the qualification and reconstruction of the facts, unless procedural rules are violated with consequent nullity of the award pursuant to art. 829, n. 7 or n. 9 c.p.c.
1. Contraddittorietà tra parti di motivazione del lodo - 2. Impugnazione del lodo e controllo delle risultanze istruttorie - 3. Norme processuali sull’istruttoria e nullità del lodo - NOTE
La sentenza che si annota decide su una impugnazione per nullità di un lodo arbitrale affidata a due motivi: innanzitutto la decisione sarebbe invalida in quanto contraddittoria, nel percorso logico ed argomentativo della motivazione, con riferimento alle conclusioni raggiunte dagli arbitri ed ai criteri interpretativi applicati al contratto di appalto e ai successivi atti aggiuntivi ed integrativi; in secondo luogo, l’invalidità sarebbe integrata dall’illegittimo operato del CTU, che non acquisendo e non valutando un documento avrebbe determinato una violazione del principio del contraddittorio e del mandato conferito con la clausola compromissoria. Quanto al primo punto, la Corte di appello di Firenze, nel rigettare l’impugnazione del lodo, si allinea alla granitica giurisprudenza che ritiene rilevante, per la validità o nullità del lodo, un vizio della motivazione soltanto se e nella misura in cui integri una totale mancanza, una insufficienza tale da impedire la ricostruzione dell’iter logico della decisione; la contraddittorietà della motivazione o di sue parti non rileva in quanto tale, ma solo se rende impossibile individuare la ratio decidendi, o rendendola incomprensibile, o denotando un percorso argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, così da tradursi in una omessa motivazione [1]. Il motivo di impugnazione concernente la motivazione può infatti essere solo quello dell’art. 829, n. 5 c.p.c., il quale sancisce la nullità del lodo che manchi di uno dei suoi elementi essenziali di cui all’art. 823 c.p.c., tra i quali, in forza del n. 5, rientra la «sommaria esposizione dei motivi» [2]. Si ricordi in proposito che a suo tempo si era tentato di allargare le maglie della rete di controllo della motivazione richiamando l’art. 360, n. 5 c.p.c., per non discriminare situazioni analoghe, consentendo una censura del lodo anche qualora la motivazione fosse insufficiente o contraddittoria (oltre che del tutto omessa) [3]. Ma, dopo la novella/2012 [4], oggi il n. 5 dell’art. 360 sancisce l’omesso esame di un fatto, senza lasciare più spazio alla verifica del contenuto della motivazione in punto di illogicità, incoerenza, insufficienza, contraddittorietà, risultando così equiparato il difetto di motivazione del lodo a quello della sentenza del giudice [continua ..]
Il profilo più interessante che la sentenza della corte fiorentina affronta è quello del controllo del lodo in ordine al rilievo, alla interpretazione ed all’utilizzazione delle risultanze istruttorie, con particolare riguardo all’espletamento, in arbitrato, di una consulenza tecnica d’ufficio. Si pone la questione di come si possa contestare tale mezzo istruttorio nel processo arbitrale e nella impugnazione del lodo che lo recepisce, ne fa proprie le conclusioni e, sulla base di queste, decide. La corte d’appello afferma che non è ammissibile, per cui l’impugnazione deve essere rigettata, una contestazione dell’operato del consulente tecnico d’ufficio per ragioni che attengano al merito delle sue scelte, in relazione a documenti non acquisiti o alla mancata effettuazione di particolari prove tecniche (ad esempio acustiche, nel caso di specie), poiché si tratterebbe di scendere all’esame della ricostruzione del fatto. Tendenzialmente la soluzione è corretta: l’art. 829 non consente in alcun modo in sede di impugnazione del lodo, di controllare la qualificazione e ricostruzione dei fatti, essendo esclusa la rilevanza degli errores in iudicando de facto (ed anche di quelli in iudicando de iure, se le parti non lo hanno espressamente previsto: art. 829, comma 3 c.p.c.). La massima tralatizia che la Corte fiorentina fa propria è quella per cui «la valutazione dei fatti dedotti e delle prove acquisite nel corso del procedimento arbitrale non può essere contestata a mezzo dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, in quanto tale valutazione è negozialmente rimessa alla competenza istituzionale degli arbitri» [8]. Ma tale argomento, con il riferimento alla rimessione negoziale della valutazione delle prove agli arbitri, significa poco o nulla: il fondamento dell’arbitrato è sempre negoziale per cui qualsiasi potere trova la sua ragion d’essere nell’accordo compromissorio (contratto, negozio); e la competenza arbitrale, una volta conferita dalle parti, è esclusiva in funzione della cognizione e decisione della controversia con tutte le relative facoltà degli arbitri. Elemento decisivo è allora quello, cui si è accennato sopra, della incensurabilità della ricostruzione dei fatti in sede di impugnazione del lodo: le prove ed i mezzi [continua ..]
Certamente però occorre trovare strade che consentano di verificare le modalità con le quali i mezzi istruttori sono stati assunti, in punto di rispetto delle forme e delle norme processuali. Come si è già accennato, i vizi dell’art. 829 sono tutti profili di invalidità del lodo, difetti di attività, errores in procedendo, tra i quali non può rientrare la erronea ricostruzione dei fatti sulla base della interpretazione e qualificazione dei mezzi istruttori; ma se questi ultimi di per se stessi, quanto alla loro assunzione nel processo arbitrale, integrano uno di tali vizi, il lodo può essere impugnato per nullità. Pertanto, con l’impugnazione del lodo, si possono contestare le risultanze delle attività istruttorie, ed in particolare della consulenza tecnica d’ufficio, esclusivamente se si riverberano su uno dei motivi di cui all’art. 829, e quindi se si è integrato un vizio di attività, un error in procedendo, nella loro acquisizione. In particolare si può far riferimento al n. 7 e al n. 9 dell’art. 829. Quanto al primo, è il vizio conseguente alla violazione delle forme processuali fissate dalle parti [10]: è senz’altro ipotizzabile, anche se di rara verificazione, che i compromettenti, nella convenzione d’arbitrato o in atto successivo, abbiano previsto particolari meccanismi di assunzione di mezzi di prova, con espressa sanzione di nullità in caso di violazione, e che gli arbitri li abbiano poi ignorati o disapplicati. Più probabile è, invece, la violazione del contraddittorio, che nel n. 9 dell’art. 829 è previsione generica ed ampia, idonea a contenere ogni pregiudizio al diritto di difesa delle parti nel procedimento di assunzione dei mezzi istruttori [11]. E soprattutto questo difetto può riguardare proprio la consulenza tecnica d’ufficio, se il perito, nello svolgimento delle operazioni e nel procedimento di redazione della sua relazione, non rispetta il contradditorio con (e tra) le parti. Si pensi, in proposito, ai casi di mancato avviso ad una parte o ad un consulente tecnico di parte dell’inizio delle operazioni o di una nuova data di sopralluogo o di riunione, o della privazione della possibilità di partecipare, con conseguente nullità della consulenza [12]. Si deve segnalare che, da quanto emerge [continua ..]