L’Autore prende in esame la pronuncia delle Sezioni Unite condividendo la prima massima con la quale si conferma il principio della improcedibilità di un giudizio, anche arbitrale, avente ad oggetto un credito verso un debitore entrato in procedura concorsuale. Il commento prosegue prendendo in esame la seconda massima che, a composizione di un contrasto giurisprudenziale, dichiara che in caso di fallimento il contratto di appalto si scioglie per effetto della pronuncia dichiarativa dell’insolvenza, retroagendo a tale data lo scioglimento che si verifica per il decorso del termine di 60 giorni per l’esercizio della facoltà di scelta che l’art. 81 legge fall. riconosce alla procedura e che, di conseguenza, è invalido il lodo eventualmente pronunciato all’interno di tale spatium deliberandi. Lo scritto si conclude con alcuni rilievi critici sulla applicabilità di tale principio alla regola generale dettata dall’art. 72 legge fall. per tutti i contratti e offre una diversa interpretazione.
The Author examines the decision of the United Sections, agreeing with the first ruling by which the principle of the unfeasibility of a judgment, even arbitration, concerning a claim against a debtor who has entered bankruptcy proceedings is confirmed. The commentary continues by examining the second ruling which, in settlement of a jurisprudential contrast, declares that, in the event of bankruptcy, the contract (“appalto”) is terminated as a result of the pronouncement declaring insolvency, backdating to that date the termination that occurs due to the expiration of the 60-day period for the exercise of the right of choice that Article 81 of the bankruptcy law recognizes to the procedure and that, consequently, any award pronounced within that “spatium deliberandi” is invalid. The paper concludes with some critical remarks on the applicability of this principle to the general rule dictated by Art. 72 of the bankruptcy law for all contracts and offers a different interpretation.
1. Premessa: la pronuncia delle Sezioni Unite - 2. La prima massima: l’improcedibilità del giudizio arbitrale avente ad oggetto una pretesa creditoria nei confronti di un debitore entrato in procedura concorsuale - 3. La seconda massima: gli effetti retroattivi dello scioglimento del contratto di appalto ex art. 81 legge fall. e la sorte del lodo pronunciato pendente lo spatium deliberandi concesso alla procedura - 4. Considerazioni sulla prima massima - 5. Considerazioni, rilievi critici e una diversa proposta interpretativa sulla seconda massima - NOTE
La pronuncia in commento si compone di due parti; la prima prende in esame la sorte del giudizio arbitrale che abbia ad oggetto pretese creditorie di una parte nei confronti di quella entrata in procedura concorsuale (nel caso, liquidazione coatta amministrativa); tuttavia, la Corte stessa sottolinea che quanto da essa osservato per il caso specifico ha valore anche nelle più frequenti ipotesi di dichiarazione di fallimento, oggi liquidazione giudiziale. Sul punto le Sezioni unite, con ampia e articolata motivazione, riaffermano il principio secondo il quale il procedimento di accertamento del passivo ha natura esclusiva, che impedisce l’accertamento di un credito, che debba fare parte della massa passiva, in qualsivoglia altra sede. La seconda parte affronta il tema che ha dato origine alla rimessione alle Sezioni unite: quale sia il momento, nel quale si verifica lo scioglimento del contratto di appalto per effetto dell’apertura della procedura concorsuale e, conseguentemente, quale sia la sorte del giudizio arbitrale a quel momento pendente. Nel caso specifico, l’arbitrato, sulle contrapposte pretese tra committente e appaltatore, era in corso e giunto ormai “quasi” a conclusione; gli arbitri, infatti, nel periodo di sessanta giorni fissato dall’art. 81-bis legge fall. per l’esercizio della facoltà di scelta da parte del curatore, ignari dell’intervenuta apertura della procedura concorsuale, hanno pronunciato il lodo. Sicché la risposta al quesito su quale sia il momento di scioglimento del contratto incide sulla validità del lodo pronunciato, stante il disposto dell’art. 83-bis legge fall. All’esame della decisone delle Sezioni unite su questo secondo profilo sono utili alcune premesse: il rapporto tra arbitrato e fallimento di una delle parti era regolato dall’art. 83-bis legge fall.; la sorte dei contratti pendenti in caso di apertura della procedura fallimentare era regolata dall’art. 72 legge fall. e l’art. 81 dettava le regole specifiche per il contratto di appalto. Il Codice della crisi e dell’insolvenza ha recepito quelle norme senza alcuna modifica; sicché oggi il rapporto tra arbitrato e fallimento è regolato dall’art. 192 [1], la sorte dei contratti pendenti dall’art. 172 e l’art. 186 detta le regole specifiche per il contratto di appalto. In assenza di alcuna diversità diviene [continua ..]
Sul primo profilo le Sezioni Un. affermano un principio che a me pare (e pareva) ovvio [7]: l’apertura di una procedura concorsuale (liquidazione giudiziale o liquidazione coatta amministrativa) rende improcedibile un giudizio arbitrale che abbia ad oggetto una domanda di condanna nei confronti della parte, a carico della quale si è aperta la procedura concorsuale. Per vero, il problema è più ampio, poiché in caso di arbitrato (e non di giudizio innanzi al giudice) la sopravvenuta perdita di capacità processuale della parte per effetto del fallimento non comporta l’interruzione del processo, che consegue, invece, proprio all’esclusività della fase di accertamento del passivo [8]; inoltre, si pone qui il tema della possibile proseguibilità dell’arbitrato per finalità extra o post fallimentari, seguendo il principio a suo tempo individuato da autorevole dottrina [9], ma ancora di recente messo in dubbio [10]; e quello della possibile proseguibilità di giudizi aventi ad oggetto diritti di natura non concorsuale [11]. Profili ai quali non è possibile dedicare, in questa sede, il necessario spazio. Come noto, l’art. 806 c.p.c., dopo la riforma del 2006, prevede l’arbitrabilità per tutte le controversie che abbiano ad oggetto diritti disponibili; tuttavia, in caso di fallimento sussiste anche un altro limite, che può essere individuato nel modello processuale, al quale quella controversia sarebbe soggetta ove esercitata secondo le regole processuali dettate dalla legge fallimentare. In questi casi il diritto oggetto di giudizio è, e rimane, compromettibile; il divieto non deriva dal rapporto sostanziale, bensì dal procedimento, al quale quel diritto è soggetto per il fatto che una parte è stata dichiarata fallita [12]. In caso di fallimento, infatti, occorre declinare il concetto di indisponibilità anche sotto il profilo processuale, poiché esiste un limite che deriva dalla disponibilità del processo, al quale quel diritto sarebbe soggetto proprio per l’esistenza della procedura fallimentare. Non tutte le controversie che vedono la procedura fallimentare parte del processo possono essere devolute in arbitrato; pur in mancanza di una incompatibilità “concettuale” [13], l’arbitrato in ambito fallimentare ha uno spazio meno [continua ..]
Di maggior interesse è la seconda massima; le Sezioni Un., con la pronuncia in commento, hanno preso posizione su una questione specifica, di settore, ma senza dubbio di grande rilievo anche dal punto di vista pratico: la sorte della clausola arbitrale (e del procedimento arbitrale pendente), accessoria ad un contratto di appalto, in presenza della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, con riferimento al periodo di 60 giorni previsto per consentire alla procedura di decidere se subentrare o meno nel contratto. Nel caso specifico, in realtà, come già ricordato, la questione riguardava il provvedimento di apertura di una liquidazione coatta amministrativa; ma, stante l’identità di effetti e di normativa, il ragionamento della Corte è volto a regolare, in via generale, il problema nei confronti delle procedure di liquidazione giudiziale, alle quali la l.c.a. è equiparata. La questione decisa dalla Corte è sorta per il fatto che, nelle more della decorrenza del termine di 60 giorni, gli arbitri, giunti ormai al termine del procedimento arbitrale e non informati del provvedimento di apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, hanno pronunciato il lodo; in sintesi, la Corte ha deciso che, in assenza della dichiarazione di subentro del curatore ai sensi dell’art. 81 legge fall. (e oggi, dell’art. 186 c.c.i.), il lodo eventualmente pronunciato è nullo, con conseguente inettitudine a produrre effetti nei confronti della procedura concorsuale, in quanto lo scioglimento dell’appalto in conseguenza dell’apertura del concorso realizza un effetto legale ex nunc, solo risolutivamente condizionato alla decisione di subentro del commissario (e/o del curatore); gli arbitri, già durante la decorrenza del termine, difettano di potestas judicandi. È peraltro evidente la differente disciplina dettata per l’appalto rispetto a quella generale prevista, dall’art. 72 legge fall. (e oggi 172 c.c.i.), per tutti i contratti pendenti al momento della dichiarazione di fallimento; la norma generale, infatti, prevede soltanto che il contratto entri in uno stato di quiescenza sino a quando il curatore non espliciti la sua determinazione, alla quale può essere sollecitato dalla controparte; la norma in tema di appalto (art. 81 e oggi 186 c.c.i.), invece, detta il principio di scioglimento del contratto, salva la diversa e [continua ..]
La Corte premette che la soluzione prescinde dall’interpretazione dell’art. 72 legge fall. (oggi 172 c.c.i.); la regola generale della sospensione dei contratti pendenti fissata da questa norma è derogata, in caso di contratto di appalto, dalla specifica norma contenuta nell’art. 81 legge fall. (oggi 186 c.c.i.), che ne prevede lo scioglimento quale effetto del fallimento di una delle parti, a meno che il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all’altra parte entro 60 giorni dall’apertura della procedura [32]. Le Sezioni unite, innanzitutto, rilevano un contraddizione [33] nelle prime due soluzioni sopra ricordate (che entrambe ritengono che il fallimento “in sé” non produca lo scioglimento ex art. 72 legge fall. e che tale effetto si produrrebbe soltanto allo scadere del termine fissato per l’eventuale subentro del curatore), poiché non sarebbe chiarito il principio, in forza del quale si dovrebbe accordare efficacia ad una clausola, nella specie quella arbitrale, inserita in un contratto entrato in fase di quiescenza per effetto della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento, tenendo altresì conto che la norma specifica per il contratto di appalto, in difformità rispetto alla regola generale prevista dall’art. 72 per i contratti pendenti, ne prevede lo scioglimento, poiché solo l’espressa dichiarazione di subentro del curatore vale a mantenere efficace il contratto, mentre il mancato subentro o l’inerzia (i.e., il silenzio) del curatore non impedisce l’efficacia risolutiva del rapporto conseguente alla dichiarazione di apertura del fallimento (oggi liquidazione giudiziale). Le Sezioni Un. giungono alla decisione attraverso un articolato percorso argomentativo: – evidenziano che l’accessorietà della clausola compromissoria rispetto al contratto comporta la non sopravvivenza del procedimento arbitrale una volta che il contratto sia sciolto, trattandosi di mero riflesso esterno di una scelta dell’organo concorsuale, volontaria e consapevole, e che non sarebbe dunque consentito qualificare la clausola compromissoria come rapporto pendente in rapporto alla biunivocità del legame contratto-clausola, poiché, a contrario, se il curatore subentra nel contratto non può sciogliersi dalla sola [continua ..]
La decisione in commento, nella sua seconda parte, merita adesione per la soluzione individuata in riferimento alla disciplina applicabile in caso di appalto; qualche perplessità, invece, desta l’affermazione che analoga soluzione sia valevole anche per l’ipotesi generale disciplinata dall’art. 72 legge fall. (e oggi 172 c.c.i.), predicata nell’ultima parte della decisione (punto 32 della sentenza), peraltro in modo meno motivato. Procediamo con ordine. Tra i vari argomenti esplicitati dalla Corte e sopra ricordati, a me pare che uno sia decisivo: la positiva previsione contenuta all’art. 81 legge fall. Questa norma (e l’art. 186 c.c.i.) detta una disciplina, in base alla quale il contratto di appalto viene meno per effetto dell’apertura della procedura concorsuale a carico di una delle parti contraenti; lo scioglimento è la regola, che, infatti si applica sia se il curatore dichiari di non subentrare nel contratto sia se taccia, non prendendo posizione. L’ipotesi della prosecuzione del contratto costituisce, dunque, un’eccezione alla regola e per tale ragione è necessaria la chiara presa di posizione della procedura; solo se il curatore esercita il diritto di subentrare nel contratto, quest’ultimo, nella sua interezza, mantiene efficacia. Di conseguenza, il procedimento arbitrale pendente diviene improseguibile per regola generale, rimanendo circoscritta la sua proseguibilità all’eccezione costituita dalla espressa dichiarazione di subentro del curatore. Stando così le cose, allora, lo spatium deliberandi è concesso al curatore (anche) per valutare se “modificare” la regola generale e determinarsi al subentro nel contratto e nel procedimento arbitrale pendente; ma se ciò non avviene, vige la regola generale, secondo la quale il contratto si scioglie per effetto dell’apertura della procedura concorsuale e gli effetti di questo scioglimento non possono che essere coevi a tale pronuncia, in virtù della quale si verificano. Diversa, invece, è la regola dettata dall’art. 72 legge fall. (e dall’art. 172 c.c.i.), valida, in linea generale, per tutti i contratti pendenti per i quali non sia disposta una diversa regola specifica negli articoli successivi, come appunto avviene per il contratto di appalto; ai sensi di questa norma, che costituisce, lo si ripete, la regola generale, la pronuncia di [continua ..]