Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Il contumace (volontario) nel giudizio arbitrale (di Marina Spiotta)


Nell’ordinanza pubblicata la Suprema Corte ha affrontato, a quanto consta per la prima volta, il quesito se il mancato scambio tra le parti delle memorie depositate nel corso del procedimento arbitrale si sostanzi, di per sé sola, in una violazione del principio del contraddittorio c.d. dinamico, tale da comportare la nullità del lodo (art. 829, n. 9, c.p.c.) o se tale sanzione sia applicabile solo laddove espressamente prevista dalle parti (e quindi in base al n. 7 della citata norma).

Esclusa la prima opzione, la Cassazione si è soffermata sul diverso tema delle “cautele” da adottare qualora una parte sia rimasta contumace nel giudizio arbitrale, ritenendo sufficiente l’appli­cazione dell’art. 292 c.p.c.

Parole chiave: Arbitrato, Contumacia, Configurabilità, Tutele.

The (voluntary) defaulting defendant in the arbitration proceeding

In the ruling, the Supreme Court faced, as it is known for the first time, the doubt whether – in the arbitration proceeding – the fact that the reciprocal sending of the deposited statements did not take place would be the cause of a violation of the so-called dynamic adversarial principle so as to result in the voidness of the arbitration award (Article 829 no.9 of the Italian Civil Procedure Code) or, if this consequence is applicable only when it is expressly provided for by the parties (and therefore on the basis of no.7 of the aforementioned provision).

Excluding the first option, the Supreme Court has focused on the different issue of “precautions” to be taken if a party has remained in default in the arbitration proceedings, thus deeming it sufficient for the purposes of applying art. 292 c.p.c.

Keywords: Arbitration, Default (Absentia), Configurability, Protection.

MASSIME: In sede arbitrale il rispetto del principio del contraddittorio va garantito anche nei confronti della parte totalmente inattiva (sostanzialmente assimilabile alla parte contumace nell’ordi­nario processo di cognizione); tuttavia questa esigenza non impone l’adozione di cautele più estese rispetto a quelle contenute nell’art. 292 c.p.c. e dunque non vi è necessità di comunicare alla parte non attiva atti processuali ulteriori e diversi rispetto a quelli contemplati per il contumace nel processo innanzi al giudice. (1) Le parti possono definire preventivamente le forme del procedimento arbitrale e, nel fissare le regole processuali, possono altresì regolare il rilievo di queste nell’ambito del processo arbitrale rafforzandone l’effettività attraverso la sanzione della nullità dell’atto compiuto in difformità, che è idonea a costituire motivo di impugnazione del lodo. La nullità del lodo per violazione di norme processuali, ai sensi dell’art. 829, n. 7, c.p.c., è dunque configurabile soltanto alla duplice condizione che non siano state rispettate le forme di cui sia stata prevista l’osservanza e che le stesse forme siano prescritte a pena di nullità. (2) PROVVEDIMENTO (1-2): [omissis] 1. Il primo motivo del ricorso di Point Biz denuncia la nullità del lodo ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, e la violazione e falsa applicazione della stessa disposizione. Lamenta la ricorrente di non aver mai ricevuto, nel corso del procedimento arbitrale, le memorie depositate dalle controparti, nonostante nel verbale di costituzione del collegio fosse stato previsto lo scambio diretto dei predetti atti difensivi. Il secondo motivo di ricorso di Point Biz oppone la nullità del lodo per la violazione del principio del contraddittorio ex art. 829 c.p.c., n. 9 e la conseguente violazione e falsa applicazione, da parte della Corte di appello, della norma testé citata. La censura reitera quanto dedotto col primo motivo; viene osservato come in caso di mancata comunicazione degli atti del processo alla parte non costituita in arbitrato si determini un’ipotesi di nullità del lodo per violazione del contraddittorio c.d. dinamico. 1.1. Le predette censure investono la sentenza impugnata con riguardo alla decisione da essa resa su di un tema attinente allo svolgimento del procedimento arbitrale: tema fatto valere da Point Biz coi primi due motivi di impugnazione del lodo. Point Biz, che, secondo quanto precisato a pag. 10 del proprio ricorso per cassazione, non si era costituita nel procedimento arbitrale, ha lamentato la nullità del lodo per violazione del principio del contraddittorio assumendo che “la mancata trasmissione delle memorie durante il corso del giudizio e la violazione di norme procedurali (avesse) ingiustamente leso il suo diritto di difesa” (sentenza [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il caso di specie - 3. La questione giuridica - 4. Sintesi della motivazione - 5. Osservazioni - 6. Qualche spunto di riflessione - NOTE


1. Premessa

L’ordinanza – nel momento in cui si redige questa breve nota, già pubblicata su una Rivista specializzata [1] e segnalata sui portali on line [2] – tocca un tema di grande interesse pratico che, come i fiumi carsici, riaffiora periodicamente al­l’at­tenzione degli studiosi ed operatori [3] a causa dello storico horror vacui legislativo sulla configurabilità della contumacia (volontaria) [4] nel giudizio arbitrale. Come colmare questo silenzio? Si tratta di un interrogativo che era già stato sollevato nella vigenza del codice di rito del 1865 [5], ma non risolto dalla riforma operata con il d.lgs. n. 40/2006 e che probabilmente continuerà a porsi in futuro a causa dell’assenza nella legge delega del 26 novembre 2021, n. 206 di un apposito criterio direttivo [6]. La Cassazione lo affronta per la prima volta e vedremo se con la pronuncia in commento sarà riuscita ad assolvere la propria funzione nomofilattica.


2. Il caso di specie

La controversia ricalca un diffuso cliché: in un procedimento arbitrale multiparti, una di esse, dopo essere rimasta assente nell’intero procedimento, ha impugnato il lodo prima davanti alla Corte d’appello di Milano e poi in Cassazione denunciandone la nullità per violazione dell’art. 829, comma 1, nn. 4 e 9 c.p.c. La ricorrente lamentava di non aver ricevuto, nel corso del procedimento arbitrale, le memorie depositate dalle controparti, nonostante ciò fosse stato espressamente previsto nel verbale di costituzione del collegio arbitrale. Da tale omissione deduceva una violazione: i) delle forme prescritte dalle parti, con conseguente nullità ex 829, comma 1, n. 7 c.p.c.; ii) del suo diritto di difesa, o contraddittorio in senso dinamico, comportante la nullità ex 829, comma 1, n. 9 c.p.c. Anche un’altra parte convenuta, pur essendosi “costituita” nel procedimento arbitrale, lamentava: (iii) un vizio concernente la motivazione del lodo, a suo dire solo apparente e (iv) la violazione del principio del contraddittorio discendente dalla mancata comunicazione alla “contumace” delle memorie difensive nel corso del giudizio. Tutti i motivi di impugnazione sin qui brevemente illustrati sono stati respinti dalla Corte di Cassazione: – i primi due (sui quali ci si soffermerà in questa sede) perché ritenuti infondati; – il terzo perché il vizio della nullità della sentenza (e mutatis mutandis del lodo) per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. è integrato solo in caso di totale carenza della motivazione o di suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi o fra di loro logicamente inconciliabili o comunque obiettivamente incomprensibili; –l’ultimo, strettamente connesso al profilo qui trattato, perché inammissibile stante il difetto di legittimazione attiva delle parti (diverse da quella asseritamente lesa) a eccepire l’inosservanza dell’obbligo di notificazione al contumace delle comparse contenenti domande nuove [7].


3. La questione giuridica

Il rispetto del contraddittorio [8] è un principio garantito a livello costituzionale (cristallizzato dall’art. 111 Cost.) e sovranazionale (art. 6 CEDU) [9] e consacrato dal codice di rito (art. 101 c.p.c.). Detta regola – riassumibile con il brocardo latino audiatur et altera pars [10] o con l’espressione eloquente “parità delle armi” o con il sintagma, diffuso nel gergo popolare “sentita l’altra campana” – serve ad assicurare quella bilateralità (o pluralità) che deriva dall’azionare un diritto nei confronti di un altro (o altri) soggetto/i (c.d. scopo-mezzo) e a consentire così al giudicante una visione più completa e una decisione “più giusta” (c.d. scopo-fine), correggendo la naturale inclinazione della parte ad evidenziare solo i fatti e le argomentazioni giuridiche a sé favorevoli [11] ed evitando le c.d. sentenze (o lodi) della “terza via”, ossia “a sorpresa” [12]. Tale modus procedendi è applicabile non solo al processo ordinario di cognizione, ma anche in tema di arbitrato e costituisce un limite inderogabile, nel senso che si sovrappone alla volontà delle parti, libere di stabilire le regole cui dovrà uniformarsi il procedimento arbitrale (art. 816-bis, comma 1, c.p.c.), ma non di derogare alla regola (considerata di ordine pubblico processuale e, come tale, cogente) del contraddittorio [13], il cui rispetto esige che siano concesse loro «ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa» [14]. La “prova del nove” dell’assunto che precede è data dal fatto che la violazione di detta regola costituisce uno specifico motivo d’invalidità tanto nel lodo rituale (dove comporta la nullità ex art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c.), quanto in quello irrituale (v. sanzione dell’annullabilità comminata dall’art. 808-ter, comma 2, n. 5, c.p.c.) [15]. Fin qui nulla quaestio. Il punto dolente è capire se – in assenza di una disciplina ad hoc e nonostante l’indubbia possibilità per una parte di restare (totalmente o parzialmente [16]) inattiva – sia tecnicamente corretto parlare di “arbitrato contumaciale” e quali siano le cautele da adottare affinché possa dirsi rispettato il contraddittorio. E se il primo quesito [continua ..]


4. Sintesi della motivazione

La Prima Sezione della Cassazione civile – accogliendo in parte i rilievi di autorevole dottrina [24], ma senza contravvenire al divieto di citazione di autori giuridici sancito dall’art. 118, comma 3, disp. attuaz. c.p.c. [25] – ha applicato per analogia l’art. 292 c.p.c. e quindi ha escluso la necessità di rispettare più cautele di quelle previste dal codice di rito per il processo ordinario di cognizione. «Non pare difatti ragionevole supporre che nel giudizio arbitrale il principio del contraddittorio postuli, nei confronti della parte che abbia deciso di non partecipare attivamente al giudizio, la comunicazione di atti processuali diversi e ulteriori rispetto a quelli contemplati per chi resti contumace nel processo ordinario di cognizione, quasi che la pronuncia del lodo esiga maggiori garanzie, sul fronte del contraddittorio, di quelle che presidiano la spendita dell’attività giurisdizionale da parte del giudice» (così la motivazione). Muovendo da tale premessa la Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Il ragionamento è sillogistico e, prima facie, inconfutabile: a) la parte inattiva nel giudizio arbitrale è equiparabile al contumace ed è l’unica legittimata a dolersi della violazione del proprio diritto di difesa; b) in assenza di una norma ad hoc, deve ritenersi applicabile per analogia l’art. 292 c.p.c. che impone la notificazione al contumace delle sole ordinanze che ammettono l’interrogatorio o il giuramento (stante le conseguenze particolarmente gravi derivanti dalla loro omessa conoscenza) e delle comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte (in quanto ampliano il thema decidendum); c) ergo, poiché nel caso di specie la ricorrente non aveva dedotto che le memorie depositate dalle controparti e delle quali era stata tenuta all’oscuro avessero il suddetto contenuto, il ricorso va rigettato.


5. Osservazioni

Le argomentazioni sopra schematizzate paiono corrette e persuasive. Tuttavia, a modesto avviso di chi scrive, l’assunto sub b) non è inconfutabile e probabilmente frutto di un lapsus freudiano. In apparenza, la Corte supera la visione preconcetta dell’arbitrato come una “giustizia minore” rispetto alla giurisdizione statale; in realtà, equiparando in toto situazioni diverse e facendo un ragionamento del tipo in maiori stat minus, il diritto delle parti al rispetto del contraddittorio potrebbe subire un vulnus tanto più grave qualora fosse assegnato un peso al comportamento non contestativo della parte inattiva [26]. Il passaggio merita di essere chiarito. Nella motivazione si afferma che se nel processo davanti all’autorità giudiziaria statale il legislatore ha previsto che solo alcuni atti (quelli di cui al numerus clausus dell’art. 292 c.p.c., integrato dalla Consulta [27]) debbano essere indefettibilmente comunicati al contumace, non si comprende per quale ragione, nell’ambito del procedimento arbitrale, frutto della scelta delle parti di devolvere la decisione della controversia a privati, sia necessario un innalzamento del livello di garanzie partecipative della parte non attiva o contumace, con conseguente ampliamento del novero degli atti endopocedimentali che a questa devono essere comunicati. Prima facie, il passaggio è ineccepibile. Melius re perpensa, se sull’interpretazione testuale dell’art. 292 c.p.c. si fa prevalere quella teleologica (mettere la parte che abbia deciso di rimanere inerte al corrente di tutti quegli atti che potrebbero condizionarne il comportamento [28]) e ad un ossequio meramente formale al principio del contraddittorio si preferisce una visione sostanziale, non si può negare che il novero degli atti da comunicare non è necessariamente coincidente. Come si è autorevolmente osservato in sede di commento all’arresto qui pubblicato [29], si tratta, non di “alzare l’asticella” delle garanzie del contraddittorio rispetto a quelle che presidiano il giudizio ordinario di cognizione, ma di riconoscere che nel procedimento arbitrale vi sono degli atti (in primis, il verbale di costituzione del collegio arbitrale) che fissano le “regole del gioco” [30], tutti elementi che la parte assente ha diritto di conoscere [31] e che all’uopo dovrebbero [continua ..]


6. Qualche spunto di riflessione

Facendo leva sui due principi sintetizzati nelle massime, si potrebbe obiettare che, sebbene la mancata comunicazione degli atti del procedimento arbitrale alla parte contumace non possa costituire, di per sé, una causa di nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 9), c.p.c., nulla impedisce alle parti, nel loro potere di conformare il contraddittorio “a geometria variabile” [32], di stabilire tale sanzione, nel qual caso sarebbe integrata la diversa causa di nullità del lodo di cui all’art. 829, comma 1, n. 7), c.p.c. [33]. Resterebbe comunque il fatto che la regola convenzionale sullo scambio diretto inter partes degli atti difensivi, ove non fissata nella clausola compromissoria (ipotesi in cui, verosimilmente, non potrebbe essere modificata in corso di causa dalle sole parti presenti), ma (come nel caso di specie) concordata nel verbale di costituzione del collegio, dovrebbe essere resa nota alla parte assente. Il tema resta delicato: – da un lato, è lecito dubitare che il favor che l’ordinamento riconosce all’arbitrato debba tradursi in un favor validitatis del lodo a scapito del diritto di difesa di uno dei contendenti; – dall’altro lato, occorre non cadere nell’eccesso opposto, giacché l’arbi­trato è una forma di giustizia alternativa (né più garantista, né meno) di quella ordinaria. Una (invero discutibile e discussa) soluzione di compromesso potrebbe essere quella di distinguere tra arbitrato rituale e irrituale dove neppure è previsto lo scambio di memorie e nel quale la violazione del principio del contraddittorio (ante riforma del 2006) è stata talora derubricata come mero “abuso del mandato” e non come violazione del procedimento [34]. Parimenti, è lecito dubitare che si possa pretendere dagli arbitri o dall’ar­bitro unico un atteggiamento quasi “paternalistico” volto ad appurare che la scelta di rinunciare a una partecipazione attiva al procedimento sia stata assunta cum grano salis. Prudenzialmente il collegio degli arbitri/arbitro unico potrebbe: – a monte, nominare un Segretario [35] destinato a fare le veci del Cancelliere svolgendo tutti quei compiti che il codice di rito assegna a quest’ultimo in modo che l’accesso in cancelleria possa essere surrogato da un appuntamento concordato presso lo [continua ..]


NOTE