Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Questioni attuali e prospettiche sull´alternative dispute resolution nei settori regolamentati (tra «giustizia» e «vigilanza») (di Federico Riganti)


Il contributo analizza i meccanismi di alternative dispute resolution nei settori vigilati, focalizzandosi sull’interconnessione in essere con l’attività di Vigilanza e ponendo attenzione, altresì, ad alcune selezionate questioni prospettiche relative al rapporto tra adr ed (i) evoluzione tecnologica, (ii) diritto assicurativo e (iii) sostenibilità (anche non finanziaria).

Parole chiave: ADR, ACF, ABF, AAS, Vigilanza.

Current and prospective issues for dispute resolution in regulated sectors (between «justice» and «supervision»)

The paper analyzes the alternative dispute resolution mechanisms in the supervised sectors, focusing on the interconnection with the Supervisory activities and paying attention, as well, to the following selected issues: technological developments, insurance law, and non-financial sustainability.

Keywords: ADR, ACF, ABF, AAS, Supervisory activities.

SOMMARIO:

1. Premessa: una questione culturale - 2. Lo stato dell’arte - 3. Inquadramento storico e «ontologico» - 3.1. «Litigiosità» [16] e settore creditizio - 3.2. «Intermezzo»: il settore finanziario - 4. L’Arbitro Bancario Finanziario - 4.1. La previsione di cui all’art. 128-bis del Testo Unico Bancario - 4.2. La natura dell’Arbitro Bancario Finanziario - 5. L’Arbitro Bancario Finanziario quale figura a cavallo tra accertamento tecnico preventivo e strumento di vigilanza bancaria - 6. Questioni prospettiche: tech, diritto assicurativo e (un po’ di) sostenibilità. Note conclusive - NOTE


1. Premessa: una questione culturale

Il periodo storico che si vive, pur ricco di cambiamenti, registra alcune costanti ormai «storiche» dell’ordinamento italiano. Tra queste, come risaputo, va senza dubbio alcuno rammentato il tema dei ritardi della giustizia e, conseguentemente, della progressivamente scarsa fiducia che in questa viene riposta dai distinti players del sistema. La questione, si noti, è di massima rilevanza ed assume centralità ancora maggiore se rapportata a quell’esigenza di celerità e di tutela che – laddove calata negli ambiti settoriali e nella relativa ampia e complessa regolamentazione [1] – diviene ancora più difficile da accontentare. In un tale contesto, gli sforzi, anche culturali, indirizzati a trovare la via verso un «cambiamento sistemico che tarda a concludersi» [2] e, dunque, la «soluzione», ad esempio, al problema della conflittualità nell’ambito bancario e finanziario [3], sono infatti molteplici e si sostanziano, inter alia, nella predisposizione di adeguati meccanismi, atti ad (i) «alleggerire» le corti dal peso del­l’arretrato, (ii) offrire agli operatori strumenti efficienti e capaci di azzerare il «rischio di stallo» – oggi fisiologicamente connaturato alla risoluzione giudiziale delle controversie – e (iii) affermare, caso per caso e per il tramite di un controllo sull’andamento del contenzioso, anche quei principi di trasparenza e correttezza, «indispensabili a garantire uno sviluppo in senso liberamente concorrenziale del (...) mercato» [4]. Le finalità sopra indicate sono perseguite tenendo a mente le caratteristiche peculiari dei settori regolamentati in parola, talvolta connotati da intenti speculativi, moral hazards [5] e asimmetrie informative [6] capaci di condurre il mercato a pericolosi fallimenti ed esternalità negative di vario genere. A valle di tali premesse, l’Arbitro per le Controversie Assicurative (ACF) e l’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF) [7] rappresentano un prezioso esempio di studio. Esempio che conferma quanto già messo in luce dalla dottrina più attenta in relazione alla particolare «adattabilità» delle adr [8] ai settori qui in commento [9]; e che ben potrebbe venire arricchito, tra l’altro, dall’utilizzo di nuove tecnologie e [continua ..]


2. Lo stato dell’arte

L’ACF e l’ABF, in quanto strumenti di adr particolarmente adatti al contesto di riferimento – ove oltre a precise richieste regolamentari [10], la costituzione di tali meccanismi è «parte integrante di un processo tendente a favorire il mantenimento di buone relazioni con la clientela, di talché certe procedure possono risultare more friendly rispetto ad alte» [11]-[12] – sono caratterizzati da alcuni profili meritevoli di attenzione e approfondimento. Prima di esaminare tali questioni, tuttavia, si ritiene opportuno inquadrare il tema innanzitutto attraverso un’analisi di quei dati empirici che, di norma, ispirano e orientano lo studio del diritto dell’economia. Con riferimento preliminare all’ACF, le seguenti informazioni paiono meritevoli di attenzione [13]: (i) il numero dei procedimenti conclusi nel 2021 si è attestato a 2.119, con un incremento del 40,3% rispetto ai 1.510 del 2020 (ciò ha consentito di abbattere di circa il 40% l’arretrato accumulato nei primi anni di attività); (ii) il numero delle decisioni adottate è salito a 1.650, a fronte delle 1.060 assunte nel 2020. Tale numero, se si sommano le decisioni di irricevibilità/inammissibilità, assunte direttamente dal Presidente, e le decisioni di estinzione per intervenuto accordo tra le parti, raggiunge quota 2.119; (iii) il totale dei risarcimenti riconosciuti ai risparmiatori, pari a oltre 39 milioni di euro, porta i risarcimenti complessivamente riconosciuti dall’avvio dell’opera­tività dell’Arbitro a 123,6 milioni di euro, con una media pro capite di oltre 37.000,00 euro; (iv) l’incremento del tasso di accoglimento dei ricorsi risulta cresciuto di quattro punti percentuali rispetto al 2020, quando era stato accolto il 65% dei ricorsi esaminati. Come precisato nella Relazione 2021 (da cui sono tratti i dati qui riportati e discussi), quanto all’oggetto, si segnala che le lamentele hanno prevalentemente riguardato le dinamiche relazionali tra clienti e intermediari ed i flussi informativi che precedono la scelta di investimento, nonché le situazioni di illiquidità di titoli diffusamente collocati tra investitori retail, che hanno reso di fatto impossibile dismettere le partecipazioni detenute, oltretutto spesso caratterizzate da un notevole decremento di valore rispetto all’investimento iniziale (cfr. [continua ..]


3. Inquadramento storico e «ontologico»

Tracciato, come precede, il quadro operativo di riferimento, è possibile interrogarsi su alcune questioni chiave della materia in analisi, innanzitutto evidenziando i passaggi di un’evoluzione storica che trova compimento nella predisposizione degli strumenti di adr ora in esame. In particolare, è necessario ricordare che l’ordinamento italiano, in gran parte influenzato dalle concomitanti esperienze straniere[15], si sia sforzato di tipizzare alcuni meccanismi alternativi, volti, da un lato, (i) a limitare il ricorso alla giurisdizione statale per le questioni aventi ad oggetto le materie selezionate e indirizzati, dall’al­tro lato, (ii) a creare un canale ad hoc, che proprio nell’accostamento tra professionalità dei soggetti coinvolti e fluidità del giudizio, avrebbe offerto al consumatore il raggiungimento del massimo risultato al minimo costo (legale ed economico). Una terza direttrice è, poi, quella che legge negli strumenti adr in analisi uno strumento indiretto di vigilanza, come esposto infra ai paragrafi 4 e seguenti. Nell’ottica di realizzare i fini di cui sopra, sono dunque stati elaborati, nel tempo, diversi meccanismi di tutela, alcuni di «categoria», altri di «portata generale», volti a riequilibrare la posizione del cliente che, in caso di «anomalie» del sistema, ha avuto nel tempo (e oggi ha) la possibilità di adire quei determinati organismi, specificamente predisposti per le materie in oggetto, identificabili – in ordine cronologico – nell’(i) Ombudsman Bancario, nel (ii) Conciliatore Bancario e Finanziario, nell’(iii) ABF e, infine, e sebbene per altre materie, nella (iv) Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob e, poi, nell’(v) ACF. Un’analisi sintetica e «descrittiva» di tali mezzi di risoluzione delle controversie risulta, in questa sede, opportuna, e ciò per almeno due motivi: per un verso, poiché tutti i meccanismi sopra menzionati – seppur con le differenze di cui si dirà a breve – sono infatti parte della più «grande famiglia» delle alternative dispute resolution; per l’altro verso, poiché è innegabile che soprattutto un esame degli istituti in oggetto possa essere d’ausilio al fine di identificare la natura e circoscrivere i confini della questione, anche con riferimento al [continua ..]


3.1. «Litigiosità» [16] e settore creditizio

Tra i primi tentativi volti ad affermare la realtà delle adr in Italia, gli interventi di categoria rivestono certamente rilevanza cruciale. In via preliminare, va infatti ricordata l’importanza della figura dell’Om­budsman Bancario, che nasce nel 1993 e trova la propria origine in un’inizia-tiva autodisciplinare, essendone stata infatti incentivata la costituzione da parte dell’Associazione Bancaria Italiana che, con la Circolare ABI 1° febbraio 1993, n. 3, ha promosso l’«Accordo interbancario per la costituzione dell’uf­ficio reclami e dell’Ombudsman bancario» [17]. Più in particolare, questo prototipo di adr per il settore bancario si sviluppa in un contesto particolarmente propizio all’attivazione di vie alternative alla risoluzione delle controversie, venendo di fatto formulato a poca distanza di tempo (i) dal recepimento della seconda direttiva di coordinamento in materia bancaria (89/646/CEE) e dalla prima direttiva in materia di credito al consumo (87/102/CEE), (ii) dall’entrata in vigore della legge 154 del 17 febbraio 1992 in tema di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e, soprattutto, (iii) alla vigilia dell’approvazione del Testo Unico Bancario e dell’avvio del Mercato Unico Europeo dei servizi bancari. Nello specifico, con il sopra citato Accordo del 1993 – cui aderirono gran parte degli operatori bancari e finanziari del nostro Paese (già solo per motivi reputazionali?) – si prevedeva (i) l’obbligo delle banche aderenti di costituire, all’interno della propria compagine, un «ufficio reclami»; (ii) l’obbligo di sottoporsi alla potestà decisoria dell’Ombudsman nel caso in cui il cliente consumatore, entro un valore di causa limitato a 5.000.000 di Lire, non fosse rimasto soddisfatto dalla risposta fornita dall’ufficio sopra menzionato; (iii) la facoltà, per il cliente, di adire la AGO in ogni momento. La decisione dell’Ombudsman, tuttavia, non era dotata di alcuna «velleità giurisdizionale» né, conseguentemente, di nessuna attitudine a divenire «cosa giudicata» e/o «titolo esecutivo» tra le parti; la stessa, quindi, non sarebbe stata in alcun modo azionabile dal cliente che, nella peggiore delle ipotesi – e cioè nel caso in cui l’istituto di credito non vi si [continua ..]


3.2. «Intermezzo»: il settore finanziario

La procedura arbitrale presso la Commissione Nazionale per la Società e la Borsa, prima, e l’ACF poi, sono strumenti cruciali della dispute resolution settoriale. Procedendo con ordine, quello innanzi alla Camera conciliativa/arbitrale Consob era, innanzitutto, un procedimento arbitrale speciale, introdotto dal d.lgs. n. 179 dell’8 ottobre 2007 – adottato in attuazione della c.d. legge sulla tutela del risparmio, n. 262 del 28 settembre 2005 – e dal regolamento Consob emanato con delibera n. 16763 del 29 dicembre 2008 [20]. Tale procedimento – che voleva colmare le lacune emerse nella disciplina nostrana relativa alla tutela del risparmio – era utilizzata, fatta salva la libertà degli investitori di adire direttamente la giustizia ordinaria, al fine di dirimere le controversie insorte fra questi e gli intermediari finanziari per la violazione degli obblighi di informazione, trasparenza e correttezza propri del rapporto intercorrente con gli stessi, e ciò con l’intento di armonizzare e potenziare i mezzi di tutela predisposti a favore della parte debole, così come richiesto, altresì, in sede comunitaria. Tra le varie peculiarità dell’arbitrato amministrato Consob – consistenti, tra le altre, nella previsione di due procedimenti paralleli ed alternativi (sebbene entrambi di natura rituale) di risoluzione delle controversie, individuabili nell’arbitrato ordinario ed in quello semplificato – ciò che emerge con forza del «vecchio meccanismo» è l’introduzione di una «curiosa» previsione, volta a richiedere, in taluni casi, la necessità di un visto di regolarità formale dell’Autorità di vigilanza. Tale verifica, prevista dall’art. 3, comma 4, d.lgs. n. 179/2007 [21], senza dubbio rispondeva alla ratio di anticipare il controllo di regolarità formale in sede di concessione dell’exequatur ex art. 825 c.p.c. [22], ma traduceva, altresì, un embrione di quell’invasione di campo e di quella amministrativizzazione e pubblicizzazione delle procedure e dei ruoli poi maggiormente attuata, mutatis mutandis, dalla Banca d’Italia con l’introduzione del­l’Arbitro Bancario Finanziario. In chiave di analisi comparata, sebbene entrambe «bocca» delle Autorità indipendenti, in dottrina era stato rilevato che la [continua ..]


4. L’Arbitro Bancario Finanziario

Atteso il relativo carattere maggiormente conformativo e conciliativo, rispetto all’ACF, dei diversi interessi in gioco [30], l’Arbitro Bancario Finanziario è una figura particolare [31] che, per quanto atipica – per alcuni mostruosa [32] – nel mondo dell’alternative dispute resolution, continua a riscuotere interesse tra gli operatori e gli accademici, i primi attratti dalla velocità e dalla fluidità dell’istituto, i secondi, invece, interessati a circoscriverne la natura ed a individuarne il corretto posizionamento nell’ordinamento. Infatti, se da un punto di vista pratico, l’importanza del fenomeno sembra ormai indiscutibile, ed anzi ha condotto, insieme ad altri fattori, ad un’ulte­riore rivisitazione dell’istituto nel corso del 2020 [33], tutt’altro che chiara e pacifica è, di contro, la chiave di lettura con cui questo viene letto in un ambito dottrinale che risulta o interessato ad approfondirne i caratteri di mezzo alternativo di risoluzione delle controversie, o indirizzato ad individuare, in tale istituto, un «cavallo di Troia» con cui l’Autorità indipendente – nello specifico la Banca d’Italia – implementa la propria funzione di vigilanza e controllo del settore bancario e finanziario. In particolare, gli studiosi della materia, trovatisi innanzi alla necessità di delimitare i confini e la natura dell’Arbitro Bancario Finanziario, hanno riscontrato talune difficoltà e deciso di adottare, in conseguenza e nella maggioranza dei casi, un procedimento logico «in sottrazione», basato cioè sull’indi­viduazione a monte – e al solo fine di escluderle dall’ambito di studio – di quelle figure cui l’istituto in oggetto non sarebbe assimilabile.


4.1. La previsione di cui all’art. 128-bis del Testo Unico Bancario

Prima di dedicarsi all’analisi della natura dell’Arbitro Bancario Finanziario, è necessario fornire un breve esame della normativa di riferimento, nello specifico dell’art. 128-bis T.U.B., onde poter meglio comprendere le vicende che, a partire dalla sua costituzione, hanno interessato l’istituto ora in oggetto [34]. Come noto, la norma in commento, introdotta dall’art. 29 della legge n. 262 del 28 dicembre 2005, ha una struttura tendenzialmente (e, forse, fin troppo) semplice, che si limita a chiedere (rectius imporre) ai soggetti di cui al­l’art. 115 T.U.B., e cioè alle banche e agli intermediari finanziari, di aderire – fatto salvo il diritto del cliente di ricorrere a ogni altro mezzo di tutela previsto dall’ordinamento – a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, senza però determinare i criteri di svolgimento e di composizione dell’ente deputato a gestire le procedure menzionate, i quali sarebbero stati specificati «con deliberazione del CICR, su proposta della Banca d’Italia (..) in modo che risult(asse) assicurata l’imparzialità dello stesso (organo giudicante) e la rappresentatività dei soggetti interessati. (..)». A tale ultima previsione, come noto, è stato dato seguito per il tramite della deliberazione n. 275 del 29 luglio 2008 in materia di «Disciplina dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela ai sensi dell’ar­ticolo 128-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni» con cui il CICR ha affidato alla Banca d’Italia quegli ulteriori compiti «logistici» (nomina dei membri dell’organo deliberante, svolgimento dell’attività di supporto tecnico e emanazione delle relative previsioni applicative), presi poi in considerazione dalla Banca centrale (nazionale) il 18 giugno 2009 con le disposizioni in tema di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, successivamente ancora modificate fino al 13 novembre 2012 [35]. Proprio da queste ultime disposizioni emerge chiaramente, a detta di chi scrive, la volontà della normativa secondaria di attuazione dell’articolo di dar vita ad un sistema ADR determinative finalizzato a ricalcare quello creato dall’autodisciplina e istituire, al suo [continua ..]


4.2. La natura dell’Arbitro Bancario Finanziario

Sebbene con le disposizioni citate, Banca d’Italia nomen imposuit di arbitro, è condivisa in dottrina la convinzione che l’ABF non solo vero e proprio arbitrato non sia, ma che, a monte, non sia dotato di natura giurisdizionale [36], venendo piuttosto lo stesso adoperato, tanto più a fronte del suo affidamento agli organi istituzionali di vigilanza e controllo e della conseguente pubblicizzazione delle procedure e dei ruoli degli arbitri [37], anche per «fini altri e diversi» da quelli direttamente collegabili alla esigenza di giustizia [38]. Ciò detto, è bene ricordare come in relazione alla domanda, sorta a seguito dell’istituzione dell’Arbitro Bancario Finanziario, volta banalmente ad interrogarsi circa la natura di questa nuova struttura, siano state prospettate diverse risposte, indirizzate ad assimilare l’istituto in questione o all’arbitrato (rituale o irrituale) o all’arbitraggio o, infine, alla conciliazione [39]. Tesi, queste esposte, che non hanno goduto di buona fortuna, pur contribuendo ad inquadrare l’ABF con uno sforzo logico razionale tanto arduo quanto – a volte – superfluo, in una delle categorie già note al nostro ordinamento. In particolare, quanto alle diverse opzioni prospettate, è opportuno segnalare, innanzitutto, come senza alcun dubbio possa essere esclusa la riconducibilità dell’Arbitro Bancario Finanziario alla conciliazione, da un lato, e all’ar­bitraggio, dall’altro [40]. Se infatti, (i) con riferimento al primo dei suddetti istituti, è da ravvisare un netto scostamento della disciplina dell’ABF, che vede nella natura adjucative della propria decisione e nell’impossibilità di «andare oltre» il principio processual-civilistico di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., i due elementi distintivi dalla soluzione conciliativa, (ii) con riferimento all’arbitraggio non può certo passare inosservato che l’organo decidente dell’Arbitro bancario – che dovrà statuire sulla controversia – non possa in alcun modo essere assimilato ad un arbitratore il quale, di contro e come è noto, ha il ruolo di «integrare e/o completare il regolamento negoziale intercorrente tra le parti» [41]. Quanto precede trova conferma tenendo a mente [continua ..]


5. L’Arbitro Bancario Finanziario quale figura a cavallo tra accertamento tecnico preventivo e strumento di vigilanza bancaria

Le considerazioni finora svolte confermano, da un lato, l’impossibilità di inquadrare l’Arbitro Bancario Finanziario nelle categorie di conciliazione, arbitraggio e arbitrato, e tendono, dall’altro, ad esaltare quell’elemento «distintivo» dell’istituto in oggetto che lo posizionerebbe, sebbene nella sua atipicità, a cavallo tra le figure dell’accertamento tecnico preventivo e gli strumenti di vigilanza di Banca d’Italia. Nello specifico, con riferimento al primo profilo, e cioè all’a.t.p., è stato correttamente sostenuto da autorevole dottrina che il meccanismo funzionale dell’ABF sia ricollegabile ad un sub-procedimento tecnico relativo ai rapporti tra l’intermediario ed il cliente, che si inserirebbe nel procedimento amministrativo di vigilanza svolto dalla Banca d’Italia sull’attività degli intermediari finanziari [47]. Più in particolare, il ricorso del cliente sarebbe, in ultima analisi, una lamentela sull’agire dell’intermediario, che passerà conseguentemente al vaglio di Bankit per il tramite dell’Arbitro Bancario Finanziario. È in tal senso, dunque, che la decisione dall’ABF diverrebbe il tramite delle funzioni di vigilanza bancaria e l’organo giudicante lo strumento (materialmente) operativo di Banca d’Italia. Per ciò che riguarda, invece, l’«invasione di campo» e il conseguente raccordo tra risoluzione alternativa delle controversie e supervisione del mercato del credito, non si può non sottolineare in questa sede che diverse sono le circostanze che portano ad individuare la reale connessione funzionale tra ABF e l’Autorità di Vigilanza. In particolare, la struttura stessa dell’Arbitro Bancario Finanziario e, più nello specifico, i suoi meccanismi di nomina interna, nonché l’estrema rilevanza concessa dalla normativa di riferimento alla Segreteria tecnica, paiono, a parere di chi scrive, essere gli elementi chiave di quell’architettura volta ad individuare nell’Arbitro bancario l’«avamposto» delle funzioni di vigilanza e controllo esercitate dall’autorità centrale. Volendo infatti tralasciare – per esigenze di spazio – ogni ulteriore riflessione circa (i) la natura non cogente della decisione dell’ABF, (ii) i rimedi propri della shame [continua ..]


6. Questioni prospettiche: tech, diritto assicurativo e (un po’ di) sostenibilità. Note conclusive

Per quanto attiene ad un esame prospettico della questione, alcune osservazioni paiono necessarie in conclusione di scritto. In particolare, e al di là del probabile futuro aumento – dovuto innanzitutto ai recenti e attuali periodi di crisi – di casi devoluti alle adr sopra indicate, risulta interessante soffermarsi su tre questioni, consistenti: (i) nell’impatto, nella materia de qua, dell’evolu­zione tecnologica; (ii) nella previsioni di adeguati meccanismi di risoluzione delle controversie anche in ambito assicurativo; nonché, (iii) nel supposto legame tra gli strumenti di giustizia privata indicati e il tema, oggi molto in voga, della sostenibilità (non solo finanziaria). Procedendo con ordine, va evidenziato che la rivoluzione tecnologica [58] in atto avrà impatti notevoli anche sui profili analizzati in questo scritto. A titolo esemplificativo, infatti, il tema riguarderà non solo l’applicazione delle adr a procedure presumibilmente sempre più «algoritmizzate», ma anche l’opera­tività stessa degli arbitrati qui analizzati, così come dimostrato – nei perimetri dell’ABF – dal prospettato utilizzo di tecniche di intelligenza artificiale (ad es. machine learning e text mining) «per accrescere ulteriormente la funzionalità del sistema», in particolare, al fine di «agevolare l’attività istruttoria dei ricorsi, ferma restando l’autonomia dei Collegi nel decidere la controversia». In particolare, e come precisato dalla Relazione annuale 2021 dell’ABF, l’«AbefTech» permetterà (auspicabilmente) di: (i) coadiuvare le Segreterie tecniche nell’attività istruttoria dei ricorsi, agevolando la ricerca di decisioni su casi analoghi e l’individuazione dei riferimenti normativi utili per la soluzione della controversia da parte dei Collegi; (ii) individuare tempestivamente eventuali contrasti tra gli orientamenti dei Collegi su specifiche tematiche; e (iii) estrarre concetti ricorrenti dai documenti contenuti nei fascicoli dei ricorsi, anche per intercettare nuovi filoni di contenzioso. Quanto al secondo tema, è nota ai più l’attenzione rivolta in sede politica – e non solo – a quell’atteso Arbitro Assicurativo (c.d. AAS) i cui (presumibilmente molti) ricorsi, nei desiderata dell’IVASS, [continua ..]


NOTE