Nel secondo semestre del 2020 la Suprema Corte ha ulteriormente rimarcato la distinzione tra indisponibilità del diritto controverso e inderogabilità delle norme, i rapporti tra validità della clausola compromissoria (anche in materia di concessione di pubblici servizi), questioni di giurisdizione ed eccezione di devoluzione agli arbitri oltre che fra convenzione arbitrale e potestas iudicandi degli arbitri, compresa la sua verifica in sede di impugnazione, di sindacato di legittimità e le conseguenze sulla fase rescissoria. Affrontata la tematica dei rapporti tra lodo, ordine pubblico ed inosservanza di regole di diritto sostanziale, sono stati altresì ulteriormente delimitati i confini dell’impugnazione delle deliberazioni di aumento del capitale sociale oltre che i rapporti tra “arbitrato societario” e fallimento. Il Giudice di legittimità ha rimarcato l’oggetto ed i limiti dell’impugnazione per nullità, argomentando dalla sua natura “processuale” conseguenze in tema di competenza, oltre che i rapporti tra principio del contraddittorio e interesse ad impugnare e fra contenuto del lodo parziale e sua impugnabilità immediata. È stata infine chiarita la relazione tra riconoscimento del lodo arbitrale estero e Convenzione di New York ed stata rimessa alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza inerente il dies a quo del termine c.d. “lungo” per impugnare.
In the second half of year 2020, the Supreme Court has pointed out the differences between non-disposability of the litigated right and mandatory nature of rules and the proper correlations between validity of the arbitration clause (also in the context of public services concessions), issues relating to jurisdiction, objections with respect to the deferral of claims to arbitrators and correlations between the arbitration agreement and the judicial powers of arbitrators, including the control of such powers in case of appeal or in case of review of legality and the relevant consequences on the following re-issued judgement (fase rescissoria). The Supreme Court has also addressed the issue of claims towards arbitration awards on the grounds of public policy and violation of substantive law. In addition, the Supreme Court has specified the terms and conditions for challenging companies’resolutions on corporate capital increase and it has clarified how “corporate arbitration” and insolvency proceedings can reciprocally interfere. Furthermore, the Court has highlighted the procedural nature of the action for annulment of an arbitration award. From the mentioned procedural nature, the Court has derived peculiar consequences in terms of matters of jurisdiction, adversarial principle and interest in action, partial awards and their direct appeal. Eventually, the Supreme Court has clarified the effects of the New York Convention on the recognition of foreign arbitration awards and has deferred to the Joined Chambers the decision on the principles to apply for determining the starting date for the calculation of the “long” term for lodging appeals.
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1. Premessa - 2. Clausola compromissoria: indisponibilità del diritto controverso e inderogabilità delle norme - 3. La Clausola compromissoria, lo statuto di società di persone e la potestas iudicandi - 4. Potestas iudicandi degli arbitri, verifica del Giudice dell’impugnazione e sindacato di legittimità - 5. L’impugnazione delle deliberazioni di aumento del capitale sociale e rapporti tra “arbitrato societario” e fallimento - 6. Lodo tra contrasto con l’ordine pubblico e inosservanza di regole di diritto sostanziale - 7. Impugnazione per nullità: oggetto e limiti - 8. L’impugnazione del lodo rituale, natura di impugnazione processuale e conseguenze (anche) in tema di competenza - 9. Principio del contraddittorio, violazione ed interesse ad impugnare. - 10. Impugnazione, difetto di potestas decidendi e fase rescissoria - 11. Il c.d. “termine lungo” e la questione di massima - 12. Lodo parziale ed impugnabilità immediata - 13. Concessione di pubblici servizi e arbitrato rituale, validità della clausola compromissoria, questioni di giurisdizione ed eccezione di devoluzione agli arbitri - 14. Riconoscimento del lodo arbitrale estero e Convenzione di New York
Nel secondo semestre del 2020 la Suprema Corte ha ulteriormente rimarcato la distinzione tra indisponibilità del diritto controverso e inderogabilità delle norme, i rapporti tra validità della clausola compromissoria (anche in materia di concessione di pubblici servizi), questioni di giurisdizione ed eccezione di devoluzione agli arbitri oltre che fra convenzione arbitrale e potestas iudicandi degli arbitri, compresa la sua verifica in sede di impugnazione, di sindacato di legittimità e le conseguenze sulla fase rescissoria. Affrontata la tematica dei rapporti tra lodo, ordine pubblico ed inosservanza di regole di diritto sostanziale, sono stati altresì ulteriormente delimitati i confini dell’impugnazione delle deliberazioni di aumento del capitale sociale oltre che i rapporti tra “arbitrato societario” e fallimento. Il Giudice di legittimità ha rimarcato l’oggetto ed i limiti dell’impugnazione per nullità, argomentando dalla sua natura “processuale” conseguenze in tema di competenza, oltre che i rapporti tra principio del contraddittorio e interesse ad impugnare e fra contenuto del lodo parziale e sua impugnabilità immediata. È stata infine chiarita la relazione tra riconoscimento del lodo arbitrale estero e Convenzione di New York ed stata rimessa alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza inerente il dies a quo del termine c.d. “lungo” per impugnare.
In tema di arbitrato, non può e non deve confondersi l’area della inderogabilità delle norme, che gli arbitri devono applicare per risolvere la controversia, con l’area dell’indisponibilità del diritto controverso. Sicché, per Cass. sez. VI-I, n. 20462 del 2020, la validità ed efficacia della clausola compromissoria non è esclusa dalla natura inderogabile delle norme che regolano il rapporto giuridico che ne integra l’oggetto, ove i diritti delle parti abbiano natura disponibile, determinandosi esclusivamente l’effetto di ampliare il sindacato giurisdizionale sul lodo anche all’error in iudicando (potendo, così, come statuito nella specie, costituire oggetto di clausola compromissoria il pagamento degli oneri consortili).
La clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società di persone, che preveda la nomina di un arbitro unico ad opera dei soci e, nel caso di disaccordo, ad opera del presidente del tribunale su ricorso della parte più diligente, è affetta, sin dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2003, da nullità sopravvenuta rilevabile d’ufficio – ove non fatta valere altra e diversa causa di illegittimità in via d’azione – con la conseguenza che la clausola non produce effetti e la controversia può essere introdotta solo davanti al giudice ordinario. Argomentando nei termini di cui innanzi Cass. sez. I, n. 16556 del 2020 ha escluso la rilevabilità d’ufficio della predetta nullità in quanto il ricorrente aveva infondatamente denunciato, nel giudizio impugnatorio, una diversa causa di inesistenza della potestas iudicandi degli arbitri, dunque di illegittimità o inoperatività della clausola, in relazione al profilo del difetto di legittimazione degli eredi ad avvalersene (in senso conforme la precedente Cass. sez. I, n. 3665 del 2014) [Per ulteriori approfondimenti in merito ai rapporti tra interpretazione della clausola compromissorie e potestas iudicandi, si veda, diffusamente, Fabio Antezza, Interpretazione e portata della convenzione d’arbitrato (questioni nuove e necessari chiarimenti) e l’intervento nomofilattico in tema di “prospective overruling” e di rimessione in termini, in questa Rivista, 2019, n. 1, p. 151 ss. ed in particolare p. 153 ss.].
Il difetto di potestas iudicandi del collegio decidente, comportando un vizio insanabile del lodo, può essere rilevato di ufficio nel giudizio di impugnazione, anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato, indipendentemente dalla sua precedente deduzione nella fase arbitrale (soltanto) qualora derivi dalla nullità del compromesso o della clausola compromissoria. Cass. sez. I, n. 16556 del 2020, in particolare, dopo aver fatto riferimento alla rilevabilità d’ufficio del difetto della detta potestas in fase di impugnazione (ex plurimis: Cass. sez. I, n. 21215 del 2014; Cass. sez. I, n. 10729 del 2013 e Cass. sez. I, n. 9604 del 1991) ed anche in sede di legittimità (Cass. sez. I, n. 21100 del 2014), ha ulteriormente chiarito che è comunque precluso al giudice dell’impugnazione di rilevare d’ufficio la nullità negoziale, la cui validità sia stata, anche implicitamente, statuita nel processo con efficacia di giudicato (in senso conforme Cass. sez. I, n. 10132 del 2006) [Per ulteriori approfondimenti in merito a potestas iudicandi degli arbitri, verifica del Giudice dell’impugnazione e sindacato di legittimità, si vedano: Fabio Antezza, L’arbitrato a cinque anni dal revirement circa la sua natura: approdi giurisprudenziali, occasioni mancate e spunti di riflessione (Seconda parte), in questa Rivista, 2018, n. 2, p. 283 ss., in particolare p. 294; Fabio Antezza, Impugnazione del lodo, sindacabilità della convenzione e verifica della potestà arbitrale, in Ilprocessocivile.com, 4 ottobre 2016, e Claudio Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, III ed., Padova, 2012]. Sempre in tema di rapporti tra impugnazione del lodo e giudizio di legittimità, Cass. sez. VI, n. 15820 del 2020 ha chiarito che, il ricorrente, ove censuri la statuizione di inammissibilità dell’impugnazione del lodo arbitrale per difetto di specificità, ha l’onere di precisare nel ricorso per cassazione le ragioni dell’assunta erroneità della statuizione e della specificità, invece, del motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di gravame ma dovendo piuttosto riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità. L’impostazione di cui innanzi è peraltro quella sostanzialmente assunta dalla [continua ..]
La controversia avente ad oggetto l’esecuzione della delibera di aumento del capitale sociale di una società è compromettibile in arbitri, ai sensi dell’art. 34, comma 1, d.lgs. n. 5/2003, poiché, come ribadito da Cass. sez. VI-I, n. 4956 del 2020, relativa a diritti inerenti al rapporto sociale inscindibilmente correlati alla partecipazione del socio. Sicché, nel caso di fallimento della società, la clausola compromissoria statutaria resta opponibile al curatore fallimentare che agisca per l’esecuzione dell’aumento deliberato. In senso conforme si è espressa la precedente Cass. sez. I, n. 24444 del 2019, riconoscendo la competenza arbitrale nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso su richiesta del curatore dal giudice delegato, ex art. 150 legge fall., nei confronti di un socio della fallita per i versamenti ancora dovuti. In tema di c.d. “arbitrato societario”, quindi, la citata statuizione del 2020 si pone nel solco interpretativo della precedente giurisprudenza di legittimità per la quale le controversie aventi ad oggetto la validità delle delibere assembleari, tipicamente riguardanti i soci e la società in relazione ai rapporti sociali, sono compromettibili in arbitri ai sensi dell’art. 34, comma 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili (ex plurimis, Cass. sez. VI-I, n. 17283 del 2015, che, nella specie, aveva riconosciuto la competenza arbitrale in relazione ad una controversia avente ad oggetto l’impugnativa di una delibera assembleare di aumento di capitale e la conseguente domanda di risarcimento del danno). In senso sostanzialmente conforme ha peraltro statuito Cass. sez. VI-I, n. 16265 del 2013, ritenendo afferenti a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 c.p.c., soltanto le controversie relative all’impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabile anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell’art. 2479-ter c.c., quelle prese in assoluta mancanza di informazione. Sicché, la controversia che abbia ad oggetto l’interpretazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea di una società a responsabilità limitata, in cui si discuta esclusivamente se concerna le dimissioni [continua ..]
Non costituisce causa di nullità del lodo per contrasto con l’ordine pubblico la circostanza che l’arbitro abbia statuito circa il risarcimento del danno derivante da un contratto di mediazione concluso con un soggetto non iscritto al ruolo dei mediatori; la nozione di ordine pubblico cui rinvia l’art. 829, comma 3, c.p.c., precisa Cass. sez. II, n. 21850 del 2020, coincide con le norme fondamentali dell’ordinamento, tra cui non rientra la regola organizzativa posta dall’art. 6 della legge n. 39/1989. Parimenti, è preclusa, ai sensi dell’art. 829, comma 2, ultima parte, c.p.c., l’impugnazione per nullità del lodo di equità per violazione delle norme diritto sostanziale, o, in generale, per errores in iudicando, che non si traducano nell’inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti, né suscettibili di formare oggetto di compromesso (Cass. sez. I, n. 16553 del 2020). Gli arbitri autorizzati a pronunciare secondo equità sono difatti svincolati, nella formazione del loro convincimento, dalla rigorosa osservanza delle regole del diritto oggettivo, avendo facoltà di utilizzare criteri, principi e valutazioni di prudenza e opportunità che appaiano i più adatti ed equi, secondo la loro coscienza, per la risoluzione del caso concreto (Cass. sez. I, n. 16755 del 2013). Si veda in tal senso anche, ex plurimis, Cass. sez. I, n. 1183 del 2006, in fattispecie nella quale era stato impugnato per nullità un lodo di equità che aveva ridotto l’entità delle penali applicate da una P.A. non statuale appaltante, in relazione alle quali l’impresa appaltatrice non aveva formulato tempestive riserve ai sensi del r.d. n. 350/1895, richiamato dal capitolato generale di appalto per le opere pubbliche, approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, cui le parti avevano fatto riferimento per regolare il rapporto di appalto fra loro negozialmente costituito. La Corte d’appello aveva accolto l’impugnativa, sul rilievo che il rinvio effettuato in contratto al capitolato generale di appalto per le opere pubbliche aveva prodotto l’effetto di rendere comunque cogenti e inderogabili le norme richiamate, comportando non solo l’obbligo del loro rispetto nella decisione della controversia ma [continua ..]
Il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale ha ad oggetto unicamente la verifica della legittimità della decisione resa dagli arbitri, non il riesame delle questioni di merito ad essi sottoposte, sicché, ribadisce Cass. sez. I, n. 19602 del 2020, l’accertamento in fatto compiuto dagli arbitri, qual è quello concernente l’interpretazione del contratto oggetto del contendere, non è censurabile nel giudizio di impugnazione del lodo, salvo che la motivazione sul punto sia completamente mancate od assolutamente carente (in senso conforme la precedente Cass. sez. I, n. 13511 del 2007). Parimenti, la valutazione dei fatti dedotti dalle parti nel giudizio arbitrale e delle prove acquisite nel corso del procedimento non può essere contestata per mezzo della detta impugnazione, in quanto rimessa alla competenza istituzionale degli arbitri. In questo ultimi termini si è espressa Cass. sez. I, n. 16553 del 2020 che, sul punto, è conforme anche alle precedenti Cass. sez. I, n. 13968 del 2011 e Cass. sez. I, n. 17097 del 2013. Per quest’ultima, peraltro, non è preclusa l’impugnazione del lodo per nullità con riguardo all’errore di diritto (nella specie, circa la qualificazione di un disciplinare come contratto c.d. quadro) concernente l’esistenza e gli effetti di un contratto per prestazioni professionali per le quali si nega il pagamento. Per la stessa ratio è stata altresì ritenuta non contestabile a mezzo dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale la mancata ammissione, da parte degli arbitri, di determinati mezzi di prova per la ritenuta inidoneità probatoria o superfluità di particolari fatti e circostanze per come articolati dal deducente, trattandosi di una valutazione negozialmente rimessa alla competenza istituzionale degli arbitri medesimi (Cass. sez. I, n. 23597 del 2006).
L’impugnazione per nullità del lodo non introduce un giudizio di primo grado sul rapporto, bensì un giudizio di impugnazione avverso un provvedimento avente natura giurisdizionale, sicché la competenza, stante il disposto di cui all’art. 828, comma 1, c.p.c., spetta al giudice entro il cui ambito territoriale opera l’arbitro che abbia emesso la decisione di primo grado, restando irrilevante la materia oggetto del contendere devoluta all’organo arbitrale. In applicazione del principio, Cass. sez. VI-I, n. 19993 del 2020 ha respinto la tesi per la quale la Corte d’appello competente avrebbe dovuto essere individuata in quella ove aveva sede la sezione specializzata in materia di imprese, avendo la controversia ad oggetto una materia devoluta alla sua cognizione, affermando invece la competenza della Corte territoriale nel cui distretto aveva sede il collegio arbitrale. Il percorso logico-giuridico muove dall’art. 828, comma 1, c.p.c. ai sensi del quale «L’impugnazione per nullità si propone davanti alla Code d’appello nel cui distretto è la sede dell’arbitrato». La ratio di questa previsione risiede in ciò, che l’impugnazione per nullità non introduce un giudizio di primo grado sul rapporto, bensì un giudizio di impugnazione avverso un provvedimento avente natura giurisdizionale (v. art. 824-bis c.p.c.), di guisa che la competenza al riguardo non può che spettare – secondo una logica ed un conseguente congegno sovrapponibili a quelli dettati dall’art. 341 c.p.c. per l’appello – al giudice entro il cui ambito territoriale opera l’organo della giurisdizione, l’arbitro o il collegio arbitrale, che abbia emesso la decisione di primo grado: senza che tale criterio di radicamento della competenza, attesa l’univocità del dato normativo, possa rimanere influenzato, tra l’altro, dalla materia oggetto del contendere. La citata statuizione ha evidenziato altresì che la dottrina prevalente e la giurisprudenza concordano ormai da tempo nel ritenere che il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale dia luogo ad un secondo grado di giudizio, rispetto a quello svoltosi dinanzi agli arbitri: e l’equiparazione del lodo rituale alla sentenza emessa dal giudice togato, secondo il vigente art. 824-bis c.p.c., conferma l’esattezza dell’inquadramento [continua ..]
La giurisprudenza di legittimità a più riprese ha chiarito il diverso modo di atteggiarsi del contraddittorio nel procedimento arbitrale rispetto al giudizio innanzi al giudice ordinario. Il limite del rispetto del principio del contraddittorio difatti va opportunamente adattato al giudizio arbitrale, dovendo essere offerta alle parti, al fine di consentire loro un’adeguata attività difensiva, la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di esaminare e analizzare le prove e le risultanze del processo, di presentare memorie e repliche e conoscere in tempo utile istanze e richieste avverse. In applicazione del principio Cass. sez. I, n. 8331 del 2018, ha confermato la sentenza con la quale la Corte di Appello, preso atto della nullità della notifica dell’originario atto introduttivo del giudizio arbitrale in quanto eseguita nei confronti degli organi sociali invece che del commissario liquidatore dopo l’apertura della liquidazione coatta amministrativa, aveva considerato regolarmente introdotto il procedimento arbitrale nei confronti del commissario attraverso la notifica della domanda unitamente alla copia dell’ordinanza arbitrale di rinvio della prima udienza ancorché priva di sottoscrizione e di certificazione di conformità all’originale. L’adattamento del principio del contraddittorio di cui innanzi deve altresì coordinarsi con il principio in forza del quale, qualora le parti con il compromesso o con la clausola compromissoria non abbiano determinato le regole processuali da adottare, gli arbitri sono liberi di regolare l’articolazione del procedimento nel modo ritenuto più opportuno, anche discostandosi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito. Tale libertà, difatti, come ha confermato Cass. sez. I, n. 5243 del 2019, è limitata dal rispetto del principio del contraddittorio, posto dall’art. 101 c.p.c., che, comunque, necessita di essere opportunamente adattato alle peculiarità del giudizio arbitrale. Deve essere quindi offerta alle parti, al fine di consentire loro un’adeguata attività difensiva, la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di esaminare ed analizzare le prove e le risultanze del processo, anche dopo il compimento dell’istruttoria e fino al momento della chiusura della trattazione, nonché di presentare memorie e repliche e conoscere in tempo utile le [continua ..]
In tema di arbitrato, in caso di inesistenza del lodo arbitrale, per mancanza del compromesso o della clausola compromissoria, ovvero perché la materia affidata alla decisione degli arbitri è estranea a quelle suscettibili di formare oggetto di compromesso, alla Corte d’appello è precluso il passaggio alla fase rescissoria, mancando in radice la potestas decidendi degli arbitri, mentre le eventuali difformità dai requisiti e dalle forme del giudizio arbitrale possono provocare la dichiarazione di nullità del lodo, con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione è tenuto a pronunciare nel merito, senza possibilità di distinguere tra le varie ipotesi che abbiano dato luogo alla rilevata censura. Così statuendo Cass. sez. I, n. 19604 del 2020 ha sostanzialmente confermato l’orientamento consolidato in materia (ex plurimis, Cass. sez. I, n. 22083 del 2009), anche per il caso di nullità del lodo per violazione di norme inderogabili sulla composizione del collegio arbitrale, non potendo seguire a quella rescissoria la fase rescindente presupponendo la competenza in merito un lodo emesso da arbitri investiti effettivamente di potestas iudicandi (ex plurimis, Cass. sez. I, n. 21355 del 2018 e Cass. sez. I, n. 20128 del 2013). Ove detto presupposto manchi, come nel caso di avvenuta declinatoria della competenza arbitrale, all’esito della dichiarazione di illegittimità costituzionale (nella specie dell’art. 16 della legge n. 741/1981 ad opera di Corte cost. n. 152 del 1996), il lodo deve difatti considerarsi privo di qualsiasi efficacia ed alla dichiarazione di nullità di siffatta pronuncia non può far seguito la fase rescissoria (Cass. sez. I, n. 16977 del 2006). Parimenti, la clausola compromissoria che stabilisca un modo di nomina degli arbitri di impossibile attuazione pratica, nulla ai sensi dell’art. 809, commi 2 e 3, c.p.c., non comporta l’inesistenza del lodo arbitrale con la conseguente sussistenza della detta potestas decidendi ed esclusione di ipotesi di usurpazione di potere (Cass. sez. I, n. 19994 del 2004). In presenza di una volontà compromissoria validamente espressa, peraltro, salva diversa volontà contraria di tutte le parti, ex art. 830 c.p.c. la Corte d’appello, dichiarata la nullità del lodo, è tenuta a pronunciare sul merito (Cass. sez. I, n. 19025 del 2003).
Su sollecitazione di Cass. sez. I, n. 20104 del 2020 è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza con la quale ci si chiede, in tema di impugnazione per nullità del lodo, se il termine c.d. “lungo” di un anno, di cui all’art. 828, comma 2, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (successivo alla riforma del 1994 ma le considerazioni non cambierebbero con riferimento a quello successivo alla novella del 2006) debba decorrere non dall’ultima sottoscrizione dell’atto bensì dalla comunicazione alle parti della sua intervenuta sottoscrizione. Per la citata ordinanza interlocutoria la questione in oggetto sembrerebbe suscettibile di una pluralità di soluzioni, dall’incostituzionalità della norma, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. (non sussistendo un dies a quo facilmente conoscibile dalle parti), alla possibile lettura costituzionalmente orientata (intendendo il termine come decorrente dalla comunicazione del lodo alle parti) ovvero ad una tesi intermedia tra l’incompatibilità costituzionale e la perfetta aderenza ai dettami della Costituzione, decurtando dal termine annuale decorrente dall’ultima sottoscrizione arbitrale i dieci giorni concessi dalla legge – art. 825 c.p.c. ante riforme del 2006 e art, 824 post riforma del 2006 – agli arbitri per la comunicazione del lodo alle parti. Sul punto si attende la statuizione delle Sezioni Unite che, verosimilmente, dovranno vagliare la questione alla luce della natura giurisdizionale del lodo rituale e dell’effettività del diritto di difesa ma anche in forza degli attuali differenti termini lunghi previsti per l’impugnazione del lodo (un anno) e delle sentenze (sei mesi, art. 327 c.p.c.) ed in considerazione dell’assenza di una fase di vera a propria formale pubblicazione del lodo (differentemente da quanto è previsto per le sentenze) oltre che in ragione dello sforzo di diligenza esigibile dalla parti. In merito si può però evidenziare che anteriormente alla novella del 1994, allorché l’art. 828, ultimo comma, c.p.c. faceva decorrere il termine ultimo per l’impugnazione dalla data del provvedimento giudiziale di exequatur, la Suprema Corte aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della predetta norma, nella parte in cui individuava il [continua ..]
Al fine di stabilire se si versi o meno in ipotesi di lodo che decide parzialmente il merito della controversia, occorre avere riguardo alla verifica dell’esaurimento della funzione giurisdizionale dinanzi agli arbitri, di guisa che, con riguardo all’immediata impugnabilità, deve essere considerato un lodo parziale, nonostante la formulazione della norma di cui all’art. 827, comma 3, c.p.c., anche quello che, pur senza pervenire allo scrutinio del merito del giudizio, abbia comunque in parte esaurito la funzione decisoria devoluta al collegio arbitrale. In applicazione del principio di cui innanzi, Cass. sez. VI-I, n. 18507 del 2020, in linea con quanto statuito da Cass. Sez. U., n. 23463 del 2016, ha confermato la decisione d’inammissibilità dell’impugnazione del lodo in quanto, con esso, gli arbitri si erano limitati a pronunziare sulle questioni pregiudiziali e preliminari, senza definire neppure in parte la controversia. Le citate Sezioni Unite, difatti, avevano già chiarito che alla stregua dell’art. 827, comma 3, c.p.c., è immediatamente impugnabile, perché parzialmente decisorio del merito della controversia, il lodo recante una condanna generica, ex art. 278 c.p.c., o che decida una o alcune domande proposte senza definire l’intero giudizio, ma non quello che decida questioni pregiudiziali (nella specie la validità della convenzione arbitrale) o preliminari.
In tema di concessioni di pubblici servizi, per Cass. Sez. Un., n. 33691 del 2019, le controversie relative alla fase esecutiva del rapporto successiva all’aggiudicazione, ivi comprese le questioni inerenti agli adempimenti ed alle relative conseguenze indennitarie (nella specie, le domande aventi ad oggetto il pagamento delle indennità e dei corrispettivi per la gestione del servizio e la risoluzione per eccessiva onerosità della convenzione), sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, venendo in discussione il profilo paritario e meramente patrimoniale del rapporto concessorio e non già l’esercizio di poteri autoritativi della pubblica amministrazione, sicché possono essere compromesse in arbitrato rituale con conseguente validità della relativa clausola compromissoria [Per approfondimenti in merito si veda, diffusamente, Fabio Antezza, L’interpretazione della clausola compromissoria, i rapporti tra P.A., G.A. ed arbitrato ed i poteri della Suprema Corte, in questa Rivista, 2020, n. 1, in particolare par. 7]. Sulla scorta della citata decisione del 2019, Cass. Sez. U., n. 23418 del 2020 ha statuito che, in tema di concessioni per l’esercizio di scommesse ippiche, la controversia introdotta per ottenere la condanna della P.A. concedente al risarcimento del danno derivato ai concessionari dal sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche poste a base della convenzione (per il venir meno di fatto della riserva esclusiva pubblica della relativa gestione a seguito dell’ingresso illegale nel mercato di operatori esteri), nonché dalla mancata attivazione di sistemi di accettazione di scommesse a quota fissa e per via telefonica e telematica, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario. In tale ipotesi, difatti, ci controverte in merito alla fase di attuazione del rapporto concessorio e vengono in considerazione profili che attengono, non già all’esercizio di poteri autoritativi incidenti sul momento funzionale dello stesso rapporto, ma all’accertamento dell’inadempimento, da parte della P.A. concedente, alle obbligazioni sostanzianti il rapporto giuridico convenzionale a carattere paritetico, con la conseguente compromettibilità in arbitrato rituale. Cass. Sez. U., n. 23418 in esame ha altresì ribadito che l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile [continua ..]