Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Il concetto di investimento estero ai tempi della nuova via della seta. Brevi riflessioni sullo stato della giurisprudenza dei tribunali arbitrali icsid * (di Giovanni Maria Nori)


Mai come in questi ultimi anni si è discusso così spesso di investimenti esteri e dei connessi regimi normativi di incentivazione e disincentivazione. A partire dalla guerra commerciale dei Dazi ingaggiata tra Stati Uniti e Cina, fino agli accordi tra Italia e Cina sulla famigerata nuova via della seta, il tema degli investimenti esteri è tornato al centro dell’attenzione politica, mediatica, economica. È dunque imperativo tornare a parlarne anche sotto il profilo giuridico. Sulla scia di questo rinvigorito global interest per gli investimenti esteri, il presente lavoro si pone l’obiettivo di rintracciare, stando ai più recenti approdi dottrinali e arresti giurisprudenziali dei Tribunali arbitrali ICSID, una definizione economicamente e giuridicamente attuale del concetto di investimento estero.

The concept of foreign investment in the time of the new silk road. Reflections on the jurisprudence of icsid arbitral tribunals

Never so often as in recent years debates about foreign investments have kept proliferating in connection with the related institutional and regulatory framework. From the Trade War between The United States and China through the Memorandum of Understanding on a New Silk Road between Italy and China, the topic of foreign investments has come back as a political, economic, and media center of interest. It is not too much to say, then, that it is important to readdress the issue from a legal point of view also.

In the wake of such a revitalized global interest for foreign investments, and on the grounds of the most recent doctrinal conclusions and legal deadlock of the ICSID (International Centre for the Settlement of Investment Disputes) Arbitral Tribunals, the present essay attempts to trace a possible definition of the concept of foreign investment which would prove both economically updated and juridically current.

SOMMARIO:

1. Il concetto di investimento nel diritto internazionale dell’economia - 1.1. L’investimento nella teoria economica. Investimenti esteri diretti e indiretti - 2. L’investimento estero e il contributo allo sviluppo economico del Paese ospitante. Un “nuovo” capitalismo di Stato? - 3. La nozione di investimento estero nei BITs e MITs - 4. La nozione di investimento estero nella Convenzione di Washington del 1965. Note conclusive - NOTE


1. Il concetto di investimento nel diritto internazionale dell’economia

Il problema dell’assenza di una nozione di investimento estero si pone in quanto la principale Convenzione internazionale in materia di risoluzione delle controversie inerenti agli investimenti esteri, la Convenzione di Washington del 18 marzo 1965 (di seguito: Conv.) [1], con la quale si è istituito il noto arbitrato sugli investimenti esteri (di seguito: arbitrato ICSID) [2], non prevede alcuna definizione relativa al concetto di investimento [3]. Pur essendo l’oggetto di interesse di questo studio il concetto di investimento estero e non l’arbitrato ICSID in sé e per sé, è innegabile che la “giurisprudenza” arbitrale ICSID è da sempre stata una valida fonte da cui attingere acquisizioni in ordine al significato del concetto di investimento. Ad ogni modo, prima di esplorare l’insieme di tali pronunce arbitrali ICSID, si tenterà di mettere a fuoco il concetto di investimento estero nel diritto internazionale dell’economia [4], e, in dettaglio, nel diritto internazionale degli investimenti, nonostante certa dottrina ritenga che sia «impossibile individuare una nozione unitaria di investimento estero» [5]. A tal riguardo, infatti, prendere le mosse dalle acquisizioni del diritto internazionale dell’economia e degli investimenti pare essere, ad avviso di chi scrive, il giusto modus operandi con cui condurre l’attività di indagine de qua, e questo perché il significato giuridico del termine investimento è stato, e tuttora è, strettamente connesso allo «sviluppo complesso e contrastato delle relazioni internazionali nell’ambito del diritto internazionale dell’economia». Pertanto, la nozione di investimento è da sempre, naturalmente, «collegata al­l’evoluzione del diritto internazionale» [6]. In tal guisa, è utile rammemorare che per diritto internazionale degli investimenti, quale branca del diritto internazionale dell’economia (pur consci di quella parte della dottrina che al contrario non contempla tale categorizzazione [7]), si intende «l’insieme dei principi e delle regole che disciplinano sia la costituzione e la liquidazione sia il trattamento e la protezione degli investimenti effettuati dagli investitori di uno Stato sul territorio di un altro Stato» [8], nonché, come precisato da [continua ..]


1.1. L’investimento nella teoria economica. Investimenti esteri diretti e indiretti

Precisate alcune delle impostazioni del diritto internazionale dell’economia inerenti al termine investimento, si può ora indagare il significato che tale concetto assume secondo la teoria economica, e questo perché «la nozione di “investimento” è economica prima che giuridica», anche se per «gli economisti è investimento tutto quanto non viene destinato dall’impresa ad attività di consumo» [22]. A partire da questa prima vaga definizione, è evidente che «dal punto di vista economico, il “concetto” di investimento non è rigidamente definito» [23], tantoché tale indeterminatezza nozionistica si è ripresentata altresì nel “settore” giuridico. Ciononostante, a tale primaria nozione si sono poi aggiunte altre classificazioni che gradualmente hanno ristretto l’ambito di tale concetto. A tal riguardo, infatti, altra dottrina ha sottolineato che si è soliti definire l’investimento anche come «l’attività economica, finalizzata al conseguimento di un profitto; la sua identificazione presuppone, in genere, la coesistenza di tre elementi: 1) un apporto che può assumere forme diverse dal contributo in moneta (ad esempio, un trasferimento di beni); 2) una durata medio-lunga; 3) una remunerazione in funzione dei rischi d’impresa» [24]. Invero, però, anche tale definizione risulta essere piuttosto imprecisa, sicché, al più, la stessa potrà essere impiegata quale primo, seppur metaforico, riquadro in cui delimitare la presente attività di studio, in quanto la stessa permette la sola esclusione – dall’alveo degli investimenti – di quelle operazioni meramente monetarie quali ad esempio un acquisto di valuta estera, oppure di quelle speculazioni finanziarie la cui durata è limitata alle poche ore. In quest’ottica, merita di essere riportata un’altra nota classificazione della letteratura “economica”, per la quale si distinguono gli investimenti esteri diretti da quelli esteri indiretti, meglio noti come portfolio investments. Afferiscono ai primi tutti «gli investimenti di qualsiasi tipo effettuati da persone fisiche, imprese commerciali, industriali o finanziarie aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti fra il finanziatore e [continua ..]


2. L’investimento estero e il contributo allo sviluppo economico del Paese ospitante. Un “nuovo” capitalismo di Stato?

Preme rilevare che l’investimento estero diretto è stato da sempre considerato, rispetto all’investimento indiretto, un rilevante fattore di crescita per i Paesi in via di sviluppo (di seguito PVS), con il quale conseguire uno sviluppo economico senza dover abusare di mezzi finanziari onerosi come i prestiti esteri. Quindi, una delle funzioni principali dell’investimento estero diretto è stata da sempre quella di attirare l’investitore e di farlo compartecipare al rischio dell’operazione [31] (ad esempio mediante la costituzione di una società locale che poi sarà titolare della concessione con cui realizzare l’investi­mento): il tutto senza generare un rilevante debito per gli stessi PVS [32], evitando così di incrementare ulteriormente la schiera dei c.d. paesi del “quarto mondo” [33]. Infatti, anche se non sarà possibile trattare la questione del debito “sovrabbondante” dei PVS con la dovizia ricostruttiva che essa richiederebbe, è comunque doveroso sottolineare che proprio la «crescita del debito estero resta una delle principali cause del mancato sviluppo di tali Stati [i PVS] che impegnano gran parte delle risorse finanziarie proprio per il pagamento del debito estero» [34]. Pertanto, l’investimento estero diretto, evitando proprio l’incremen­tarsi del debito dell’Host State, in parte limita l’accentuarsi del mancato sviluppo economico dei PVS per cause inerenti all’indebitamento estero, e contemporaneamente, dal lato dei Paesi esportatori dei capitali, non aggrava il già difficile e annoso problema del saldo di questi debiti [35]. In termini più incisivi, tale assunto, trova fondamento nel fatto che l’inve­stimento estero diretto spesso si traduce, per l’Host State, non solo in un flusso di capitali (non a debito) ma anche in un apporto di risorse multiforme [36]. In primo luogo, l’investimento diretto, per sua stessa natura, assicura anche una “traslazione” della competenza professionale dell’impresa estera, la quale, con grande probabilità, assumendo manodopera e professionisti locali finirà anche per formarli. In secondo luogo, la società straniera, in base agli accordi tra questa e lo Stato locale, potrebbe reinvestire parte dei profitti nel territorio, o in caso contrario [continua ..]


3. La nozione di investimento estero nei BITs e MITs

Preso atto delle varie declinazioni che il termine investimento può assumere in termini economici, nonché del contributo che quest’ultimo (quando diretto) apporta allo sviluppo economico di un paese, si ritiene ora necessario soffermarsi, prendendo le mosse dalla tesi dottrinale per la quale il significato giuridico del termine investimento varia «di volta in volta a seconda degli scopi specifici degli strumenti normativi che vi fanno riferimento» [63], sulle varie definizioni contenute in alcuni dei più rilevanti MITs e BITs attualmente vigenti. Anzitutto, preme precisare sia i BITs che i MITs apportano, tramite le definizioni di investimento che gli stessi offrono, un rilevante contributo alla determinazione del possibile significato del termine “investimento”. In punto di disciplina, tale rilevanza delle predette fonti internazionali è dovuta al fatto che la prima parte di tali trattati è dedicata alle definizioni terminologiche, tra le quali vi è appunto anche quella di “investimento”, precisando che tali definizioni «non hanno quindi carattere meramente descrittivo e costituiscono parte integrante del contenuto normativo degli strumenti in questione», pertanto «facilitano la comprensione di nozioni ancora incerte nel diritto internazionale consuetudinario e contribuiscono in tal modo al consolidamento di teorie che possono svilupparsi in quest’area» [64]. Ciononostante, parte della dottrina ritiene che i trattati de quibus, a volte, contengono definizioni molte ampie del termine “investimento” [65] e che gli stessi, anche quando si riscontrano tendenze uniformi, non sono comunque sufficienti «ad affermare l’esistenza di norme internazionali generali in quanto gli accordi in questione non rappresentano l’unica pratica rilevante in materia di investimenti» [66]. Tuttavia, mi sia consentito osservare che le criticità poc’anzi richiamate non devono indurre a considerare come irrilevanti tali fonti pattizie, per due ordini di motivi. In primo luogo, è vero che tali fonti contengono spesso definizioni del concetto di investimento generiche, ma è altrettanto vero che «sarebbe del tutto vano cercare di identificare una nozione di investimento estero ai sensi del diritto internazionale non scritto» [67]. In secondo luogo, tale [continua ..]


4. La nozione di investimento estero nella Convenzione di Washington del 1965. Note conclusive

Come già anticipato la Convenzione di Washington del 1965, con cui si è introdotta la procedura arbitrale sugli investimenti esteri, amministrata dal Centro internazionale per la risoluzione delle controversie [82] con sede presso la Banca Mondiale [83], non ha però disposto nulla relativamente alla definizione del termine “investimento”. A tal riguardo, nonostante, l’art. 25 della Conv., chiarisca semplicemente che gli arbitri ICSID possano pronunciarsi solamente in ordine a delle «controversie d’ordine giuridico […] in relazione diretta con un investimento […]», la dottrina e la “giurisprudenza” arbitrale hanno tentato di definire cosa debba intendersi per investimento [84]. Per quanto concerne la dottrina, quest’ultima ha manifestato diversi approcci relativamente al significato del termine investimento. Un primo orientamento specifica che non esisterebbe una nozione di investimento autonoma rispetto a quella che emerge dalla volontà delle parti e in particolare di quella adottata nei BITs vigenti tra le stesse [85]. Secondo un opposto orientamento, il cd. typical characteristics approach, si sostiene invece che esiste una nozione oggettiva di investimento contenuta nella Conv. la quale però è legata a dei fattori, non indefettibili, caratteristici della nozione di investimento stessa, la cui presenza è da verificare da parte degli arbitri ICSID stessi [86]. Più recente dottrina, ha invece sposato il cd. outer limit approach o double keyhole approach, per il quale, tramite il twofold test o double barrelled test, l’attività economica può essere considerata investimento solo se viene definita come tale nell’accordo tra le parti, e se, contemporaneamente, soddisfa i requisiti impliciti della Conv. [87]. Ciò posto, per quanto concerne le acquisizioni giurisprudenziali, limitando l’oggetto di indagine alle sole pronunce che in qualche modo hanno contributo alla costruzione di un concetto di investimento, va rilevato che sono stati considerati investimenti sia quelli esteri diretti che quelli di portafoglio, tantoché l’emissione di cambiali da parte dello Stato Venezuelano, nel noto caso Fedax v. Venezuela, fu considerata investimento in quanto, da un lato, l’operazione era finalizzata al perseguimento di interessi Statali e, dall’altro, [continua ..]


NOTE