Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Interpretazione e portata della convenzione d'arbitrato (questioni nuove e necessari chiarimenti) e l'intervento nomofilattico in tema di (di Fabio Antezza)


Nel primo semestre del 2019 la Suprema Corte ha dovuto affrontare, per la prima volta, gli effetti della scissione societaria sulla convenzione d’arbitrato, oltre che questioni inerenti l’in­terpretazione (c.d. “estensiva”) di quest’ultima, con riferimento alla relativa portata ed alla conseguente potestas iudicandi degli arbitri, oltre che per finalità di differenziazione dell’arbitrato rituale da quello irrituale, mostrandosi di proseguire nel solco già tracciato da precedenti pronunce, ampliandolo. È stata altresì vagliata la validità della clausola compromissoria con particolare riferimento al c.d. arbitrato societario, tanto nei suoi rapporti con il regime transitorio di cui al d.lgs. n. 40/2006 quanto con riferimento alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazio­ne della deliberazione di riduzione dal capitale sociale. Con particolare riferimento al detto regime transitorio, infine, sono intervenute la Sezioni Unite in merito agli effetti del precedente intervento nomofilattico del 2016 inerente l’art. 829, comma 3, c.p.c., circa l’operatività del “prospective overruling” ovvero dell’istituto della rimessione in termini.

Interpretation and scope of the arbitration clause (new issues and needed clarifications) and nomophylactic ruling on

In the first half of 2019 and for the first time, the Supreme Court was asked to rule on the consequences of a demerger over an arbitration clause and on the issues relating to the “extensive” interpretation of such clause, its scope and the related “potestas iudicandi” of the arbitrators, by also touching base upon the differences between arbitration (arbitrato rituale) and informal arbitration (arbitrato irrituale). In doing so, the Court has followed its previous rulings while at the same time widening their scope. In particular, it has also examined the validity of an arbitration clause in the context of a company arbitration both in relation to the transitional regime provided under Legislative Decree no 40 of 2006 and in relation to disputes concerning the challenge of the resolution on the decrease of the corporate capital. With specific regard to the aforementioned transitional regime, the United Sections have addressed their previous ruling (held on 2016) on art. 829, third paragraph, of the civil procedure code, relating to the functioning of the “prospective ovverulling” and its effect on the relief from procedural time limitations (rimessione in termini).

Keywords: Arbitration Clause; Prospective Overruling

Articoli Correlati: convenzione d - prospective overruling

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La convenzione d’arbitrato: interpretazione "estensiva", potestas iudicandi ed operatività anche circa controversie antecedenti alla stipulazione, l'accertamento del carattere simulato del contratto ed in materia di opposizione all'esecuzione - 3. Differenze tra arbitrato rituale ed arbitrato irrituale nell'interpretazione della convenzione - 4. La clausola arbitrale e la scissione societaria - 5. La nullità della convenzione d'arbitrato per indisponibilità del diritto e le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di riduzione dal capitale sociale - 6. Nullità del lodo per error in iudicando e questioni successive all'intervento nomofilattico del 2016 (premesse) - 7. (Segue). Arbitrato c.d. "societario", disciplina transitoria e controversie compromettibili ma non inerenti la validità di deliberazioni assembleari - 8. (Segue). Il "prospective overruling" ed il no delle Sezioni Unite anche alla rimessione in termini


1. Premessa

Nel primo semestre del 2019 la Suprema Corte ha dovuto affrontare, per la prima volta, gli effetti della scissione societaria sulla convenzione d’arbitrato, oltre che questioni inerenti l’interpretazione (c.d. “estensiva”) di quest’ultima, con riferimento alla relativa portata ed alla conseguente potestas iudicandi degli arbitri, oltre che per finalità di differenziazione dell’arbitrato rituale da quello irrituale, mostrandosi di proseguire nel solco già tracciato da precedenti pro­nunce, ampliandolo. È stata altresì vagliata la validità della clausola compromissoria con particolare riferimento al c.d. arbitrato societario, tanto nei suoi rapporti con il regime transitorio di cui al d.lgs. n. 40/2006 quanto con riferimento alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di riduzione dal capitale sociale. Con particolare riferimento al detto regime transitorio, infine, sono intervenute la Sezioni Unite in merito agli effetti del precedente intervento nomofilattico del 2016 inerente l’art. 829, comma 3, c.p.c., circa l’operatività del “prospective overruling” ovvero dell’istituto della rimessione in termini.


2. La convenzione d’arbitrato: interpretazione "estensiva", potestas iudicandi ed operatività anche circa controversie antecedenti alla stipulazione, l'accertamento del carattere simulato del contratto ed in materia di opposizione all'esecuzione

L’art. 808-quater c.p.c., in materia di interpretazione della convenzione d’ar­bitrato, dispone che, nel dubbio, essa debba essere interpretata nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce. La detta disposizione, inerente l’interpretazione estensiva della clausola compromissoria, introdotta dall’art. 20, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed appli­cabile alla convenzioni d’arbitrato stipulate dopo il 2 marzo 2006 (ex art. 27, comma 3, del medesimo d.lgs.), non ha carattere innovativo, essendosi limitata a recepire il diritto vivente scaturente da un orientamento di legittimità già diffuso al momento della sua emanazione, secondo il quale ogni possibile controversia che trovi la propria origine in pretese aventi causa in un determinato contratto cui abbia acceduto la clausola compromissoria, in mancanza di espressa volontà contraria, ricade nell’ambito di operatività della convenzione d’ar­bitrato. Per il detto diritto vivente si vedano, ex plurimis: Cass., Sez. I, n. 1496/2001; Cass., Sez. II, n. 1559/1997, nonché Cass., Sez. I, n. 28485/2005 (che aveva ritenuto rientrante nella clausola compromissoria la controversia re­lativa all’annullamento del contratto). Negli stessi termini, sostanzialmente, an­che la successiva Cass., Sez. I, n. 13531/2011, per la quale il Collegio Arbitrale, al quale con una clausola compromissoria siano state deferite le controversie in materia di interpretazione o di applicazione del contratto, è competente a decidere anche in materia di inadempimento o di risoluzione del contratto stesso, poiché detto patto, in assenza di espressa volontà contraria, deve essere interpretato in senso lato, con riferimento a tutte le controversie relative a pretese aventi causa nel contratto. Così argomentando Cass., Sez. I, n. 3795/2019, ha ribadito che la clausola compromissoria, in mancanza di espressa volontà contraria, deve essere interpretata nel senso di ascrivere agli arbitri tutte le controversie (civili o commerciali) attinenti a diritti disponibili nascenti dal contratto cui essa accede, quindi inerenti pretese aventi causa petendi in esso, sicché, anche [continua ..]


3. Differenze tra arbitrato rituale ed arbitrato irrituale nell'interpretazione della convenzione

Da quanto innanzi la conferma dell’importanza dell’esegesi della convenzione che, comunque, rileva anche al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale. A tal fine occorre interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall’art. 1362 c.c. e, dunque, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti ed al comportamento complessivo delle stesse, anche successivo alla conclusione del contratto (ex plurimis: Cass., Sez. II, n. 11313/2018; Cass., Sez. I, n. 26135/2013), quindi anche alla condotta complessiva tenuta dalle parti nelle trattative, nella formazione dei quesiti, nello stesso corso del procedimento arbitrale e successivamente alla pronuncia del lodo (Cass., Sez. I, n. 23629/2015). Per la detta qualificazione la Corte di Cassazione opera come giudice del fatto ed ha, dunque, il potere di accertare direttamente, attraverso l’esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria, in quanto la relativa qualificazione incide sul­l’ammissibilità dell’impugnazione della decisione arbitrale. Nell’esercizio di tale attività di accertamento, come confermato da Cass., Sez. I, n. 7198/2019, il criterio discretivo tra le due figure consiste nel fatto che nell’arbitrato rituale le parti vogliono la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con le regole del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro stessa volontà. Sicché, il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell’arbitrato rituale non depone univocamente nel senso dell’irritualità dell’arbitrato, né può essere invocato il criterio, residuale, della natura eccezionale dell’arbitrato rituale, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte da tale forma di arbitrato quanto all’efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni, alle possibilità per il giudice di concedere la sospensiva (in questi termini [continua ..]


4. La clausola arbitrale e la scissione societaria

Nel corso del 2019 la Suprema Corte è stata chiamata, per la prima volta, a risolvere la questione degli effetti della scissione societaria sulla clausola compromissoria per arbitrato rituale in origine pattuita dalla società scissa, con particolare riferimento all’efficacia della stessa con riferimento alla società nata dalla scissione. Per dare risposta affermativa al quesito di cui innanzi, Cass., Sez. VI-II, n. 13192/2019, ha argomentato alla stregua della giurisprudenza inerente il generale fenomeno degli effetti successori conseguenti alla scissione delle società, per la quale (ancorché nella disciplina dettata dall’art. 2504-septies c.c.) la scissione parziale di una società, consistente nel trasferimento di parte del suo patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l’assegnazione delle azioni o delle quote di queste ultime ai soci della società scissa, si traduce in una fattispecie effettivamente traslativa, con l’ulte­riore conseguenza di “un subingresso e di una successione a titolo particolare nel diritto controverso” della società risultante dalla scissione (ex plurimis: Cass., Sez. I, n. 5874/2012). Conferma di quanto innanzi è stata data da Cass., S.U., n. 15/2016 (ancorché con riferimento agli artt. 2506 ss. c.c., come modificati dal d.lgs. n. 6/2003 e con effetti dal 1° gennaio 2004), che ha ribadito e consolidato l’orientamento per cui la società nata dalla scissione si sostituisce, in virtù di “una successione a titolo particolare nel diritto controverso” al rapporto contrattuale sorto in origine dalla società scissa (si veda, sempre in termini di successione a titolo particolare nel diritto controverso e con riferimento agli artt. 2506 ss. c.c., come modificati dal d.lgs. n. 6/2003, anche la più recente Cass., Sez. II, n. 31313/2018). Sicché, ha quindi concluso l’ordinanza n. 13192/2019 in esame, quale con­seguenza del subentro della società nata dalla scissione nel preesistente rapporto contrattuale facente capo a quella scissa, in virtù di una successione a ti­tolo particolare nel diritto controverso, la clausola compromissoria per arbitrato rituale in origine pattuita (con la società scissa) rimane efficace.


5. La nullità della convenzione d'arbitrato per indisponibilità del diritto e le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di riduzione dal capitale sociale

Nella costante giurisprudenza di legittimità è acquisito il principio secondo cui non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’im­pugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società, le quali sono nulle in relazione all’oggetto (illecito o impossibile) per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, venendo in rilievo norme non solo imperative ma dettate a tutela, oltre che dell’interesse dei singoli soci, dell’in­teresse collettivo dei soci e di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, e quindi riguardanti diritti indisponibili (a tale riguardo, si vedano in particolare: Cass., Sez. VI-I, n. 27736/2018; Cass., Sez. VI-I, n. 20674/2016; Cass., Sez. VI-I, n. 13031/2014, e Cass., Sez. I, n. 18600/2011). Cass., Sez. I, n. 14665/2019, seguendo l’impostazione di cui innanzi, ha chiarito che non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale di cui all’art. 2447 c.c., per violazione delle norme sulla redazione della situazione patrimoniale ex art. 2446 c.c., vertendo tale controversia, al pari dell’impugnativa della delibera di approvazione del bilancio per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, su diritti indisponibili, essendo le regole dettate dagli artt. 2446 e 2447 c.c. strumentali alla tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche dei terzi. Nella specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza con la quale la Corte di Appello aveva ritenuto che la finalità perseguita dall’art. 2446 c.c. fosse differente rispetto a quella sottesa alle norme sulla redazione del bilancio, mirando unicamente a consentire ai soci di conoscere la situazione finanziaria della società, al fine di deliberare consapevolmente. Per converso, sempre la citata sentenza del 2019, come pacifico nella giurisprudenza di legittimità, l’assunto per il quale la relazione patrimoniale è da considerare alla stregua di un vero e proprio bilancio straordinario e deve essere redatta secondo i criteri legali dettati per il bilancio d’esercizio, in termini [continua ..]


6. Nullità del lodo per error in iudicando e questioni successive all'intervento nomofilattico del 2016 (premesse)

In tema di nullità del lodo per errori di diritto inerenti il merito della controversia e conseguente sua impugnabilità, le Sezioni Unite (nel 2016) han­no risolto il contrasto interpretativo sorto in merito all’applicabilità dell’art. 829, comma 3, c.p.c., nel testo riformulato dall’art. 24, d.lgs. n. 40/2006, ai procedimenti arbitrali promossi successivamente alla sua entrata in vigore ma fondati su convenzioni arbitrali antecedenti a tale data. Per esse, il comma 3 del riscritto art. 829 c.p.c., laddove ammette l’impu­gnabilità del lodo per errores in iudicando se espressamente disposta dalle parti o dalla legge, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui al­l’art. 27, d.lgs. n. 40/2006, a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella. Per stabilire se sia ammissibile l’impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, però, la legge – cui l’art. 829, comma 3, c.p.c., rinvia – va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato. Argomentando nei termini di cui innanzi, Cass., S.U., n. 9284/2016 (al pari della successiva Cass., S.U. n. 9342/2016) ha precisato che in caso di convenzione di arbitrato c.d. di diritto comune, stipulata anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, nel silenzio delle parti, deve intendersi ammissi­bile l’impugnazione del lodo, così disponendo l’art. 829, comma 2, c.p.c., nel testo previgente, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile e senza che a differenti conclusioni possa condurre il revirement giurisprudenziale sulla natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale (attuato dalla citata Cass., S.U., n. 24153/2013). In caso di clausola compromissoria societaria, inserita nello statuto anteriormente alla novella del 2006, Cass., S.U., n. 9285/2016 ha invece chiarito che è ammissibile l’impugnazione del lodo per errores in iudicando ove gli arbitri, per decidere, abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quan­do l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità delle delibere assembleari, così [continua ..]


7. (Segue). Arbitrato c.d. "societario", disciplina transitoria e controversie compromettibili ma non inerenti la validità di deliberazioni assembleari

Cass., S.U. n. 9285/2016 ha però lasciato aperto il problema di cui innanzi, invece successivamente affrontato da Cass., Sez. I, n. 13842/2019, per il caso in cui l’oggetto della controversia arbitrale, con riferimento al c.d. arbitrato societario, implichi la cognizione di questione compromettibile ma non sia costituito dalla validità di deliberazioni assembleari (bensì, co­me nella specie, dalla validità delle sottoscrizioni conseguenti alle delibere assembleari di aumento di capitale). In un simile contesto, ha chiarito la Suprema Corte, la soluzione non può che replicare quanto statuito da Cass., S.U., n. 9284/2016 (essendo nella specie irrilevante la natura formale o materiale del rinvio all’art. 829 c.p.c. operato dall’art. 36, d.lgs. n. 5/2003). Il Legislatore, difatti, con la specifica disciplina di cui al citato art. 36 ha inteso escludere la possibilità delle parti di rinunciare all’impugnativa del lodo per errores in iudicando quando oggetto della controversia sia la validità di una delibera assembleare. Quanto innanzi, per le clausole compromissorie societarie anteriori al d.lgs. n. 40/2006, postulava (e postula) la portata inequivocabilmente derogatoria dell’art. 36 citato rispetto al testo pro tempore dell’art. 829, comma 2, c.p.c., mercé l’imposizione della pronuncia secondo diritto, e dunque della conseguente impugnabilità del lodo per errores in iudicando, anche contro l’originaria volontà delle parti, quando per decidere si fosse conosciuto di “questioni non compromettibili” ovvero quando l’oggetto del giudizio fosse stato costituito dalla “validità di delibere assembleari”. Quando invece la controversia avesse avuto un oggetto distinto – implicante la cognizione di questioni compromettibili ma non inerenti la validità di deliberazioni assem­bleari – la soluzione circa le condizioni di impugnabilità del lodo si sarebbe dovuta far discendere direttamente dall’art. 829, comma 2, c.p.c., in esatta sintonia con la disciplina arbitrale di diritto comune. Ciò in quanto l’art. 829, com­ma 3, c.p.c. riformulato dall’art. 24, d.lgs. n. 40/2006, applicandosi, ai sensi della disposizione di cui all’art. 27 del medesimo [continua ..]


8. (Segue). Il "prospective overruling" ed il no delle Sezioni Unite anche alla rimessione in termini