Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

O tempora, o mores: la distrazione delle spese arriva in arbitrato (di Paolo Comoglio)


In questo lodo l’arbitro unico si pronuncia su una questione molto interessante e finora rimasta a margine dell’arbitrato, ossia l’applicabilità della distrazione delle spese di lite a favore del difensore della parte vincitrice del procedimento arbitrale. Più specificamente, l’arbitro unico ritiene ammissibile la possibilità di condannare la parte soccombente a corrispondere le spese di lite direttamente al difensore della parte vincitrice.

tempora, o mores: even in arbitration the arbitrator should allow the counsel of the winning party to recover its fees directly from the losing party

In this award, the sole arbitrator decides upon an interesting issue, so far never analyzed in arbitration case law; in particular, the arbitrator ruled that, even in arbitration, the arbitration tribunal should allow the counsel of the winning party to recover its own fees directly from the losing party.

Keywords: Arbitration, Recovery of attorney fees

 

Lodo Torino, 9 luglio 2018 (Borca arbitro unico) – Gamma s.r.l. – Tizio Arbitrato – Distrazione delle spese – Ammissibilità La distrazione delle spese, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., è ammissibile anche nei procedimenti arbitrali. Il tribunale arbitrale, quindi, pronunciando sulle spese, può condannare la parte soccombentea rifondere direttamente le spese al difensore antistatario  Società – Azione di responsabilità – natura contrattuale della responsabilità – Onere della prova L’azione di responsabilità promossa dalla società nei confronti del proprio ex amministratore ha natura contrattuale. Conseguentemente, all’attore spetta allegare e provare l’inadempimento (ossia le violazioni commesse dall’amministratore), mentre al convenuto spetta dimostrare l’assenza di colpa   [Omissis]   Svolgimento del processo. 2.1. La domanda introduttiva e la clausola compromissoria. Il presente giudizio è stato attivato in applicazione della clausola compromissoria contenuta nell’art. 22 dello statuto della società Gamma s.r.l. [Omissis]. Detta clausola compromissoria così dispone: “Qualsiasi controversia che dovesse insorgere tra i soci, o tra i soci e la società, avente ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, oppure nei confronti di amministratori, sindaci, se nominati, e liquidatori o tra questi o da essi promossa, ivi comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari o aventi ad oggetto la qualità di socio, sarà devoluta ad arbitrato secondo il Regolamento della Camera Arbitrale del Piemonte nel rispetto della disciplina prevista dagli artt. 34, 35 e 36 del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5. L’arbitrato si svolgerà secondo la procedura di arbitrato ordinario o di arbitrato rapido, a seconda del valore, in conformità con il suddetto Regolamento. La controversia sarà devoluta ad un arbitro unico. In ogni caso l’arbitro sarà nominato dalla Camera Arbitrale. Sono fatte salve le controversie per cui non è ammesso il giudizio arbitrale e la cui competenza è riservata all’Autorità Giudiziaria”. La Gamma s.r.l. in liquidazione, in persona del Liquidatore, dott. Sempronio, ha depositato presso la Camera Arbitrale del Piemonte domanda di arbitrato 12 ottobre 2017, con richiesta di nomina di arbitro unico ai sensi dell’art. 10.5 del Regolamento della Camera Arbitrale. Con tale atto introduttivo, la società attrice ha esposto: –      che in data 30 marzo 2017 l’assemblea ordinaria dei soci della Gamma s.r.l. in liquidazione deliberava la promozione di azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. e di azione risarcitoria ex art. [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Le incerte origini della distrazione delle spese - 3. L’ambigua natura del provvedimento ex art. 93 c.p.c. - 4. Arbitrato e distrazione delle spese - NOTE


1. Il caso

La controversia decisa dal lodo qui annotato ha ad oggetto l’azione di responsabilità promossa da una società immobiliare nei confronti del proprio ex amministratore, accusato da aver tenuto condotte distrattive, in violazione dei propri doveri, e, quindi, di aver creato un danno alla società stessa. L’arbitro unico, dopo aver precisamente inquadrato la natura giuridica (contrattuale) dell’azione di responsabilità, compie una dettagliata analisi degli elementi di prova raccolti nel corso del procedimento e, sulla base di essi, accoglie, benché non integralmente, la domanda proposta dalla società attrice. Al di là dei profili relativi al merito (pur interessanti), il lodo si segnala soprattutto nella parte relativa alla regolamentazione delle spese di lite. L’arbitro unico, infatti, oltre a condannare la parte soccombente al pagamento delle spese di lite (pur operando una compensazione parziale delle stesse in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda), dispone il pagamento di tali spese direttamente a favore del difensore della parte attrice, dichiaratosi antistatario. Proprio quest’ultimo aspetto appare particolarmente innovativo e di indubbio interesse. E ciò sia da un punto di vista giuridico (stante la novità della questione affrontata nel lodo) sia per così dire sociologico. In effetti, finora l’arbitrato è stato sempre considerato come un contenzioso per parti ricche, in cui i compensi (di arbitri e di difensori) sono alti e, soprattutto, sono anticipati tempestivamente da ciascuna parte. Il fatto che si parli di distrazione di spese anche in arbitrato rappresenta un chiaro e significativo indice di come la situazione economica attuale si ripercuota anche su un settore del mercato legale, quale appunto quello degli arbitrati, tradizionalmente ritenuto esente da congiunture economiche. Al di là di questo, il problema affrontato nel lodo solleva interessanti questioni giuridiche, stante le peculiarità che contraddistinguono il procedimento arbitrale rispetto ai procedimenti giurisdizionali ordinari. Non a caso, l’arbitro unico, nell’ammettere la distrazione delle spese, nega che la richiesta del difensore antistatario possa considerarsi vera e propria domanda e, conseguentemente, ritiene che il provvedimento applicativo della richiesta di distrazione abbia una natura meramente [continua ..]


2. Le incerte origini della distrazione delle spese

L’origine della distrazione delle spese non è chiara[3]. Certamente l’idea che le anticipazioni del difensore potessero essere soddisfatte direttamente dal debitore soccombente è risalente e risiede in ragioni non solo di economia processuale, ma anche di semplice buon senso. Meno risalente è, invece, l’idea che ciò potesse avvenire senza il consenso del cliente e, addirittura, ad opera del giudice[4]. L’origine dell’odierna figura della distrazione delle spese viene fatta risalire alla legislazione francese, in cui la stessa veniva configurata come cessione coattiva del credito operata dal giudice su richiesta del difensore; e da ciò appunto il nome distrazione[5]. Progressivamente, però, per evitare che le vicende relative al rapporto tra la parte vittoriosa e quella soccombente (come, ad esempio, in caso di compensazione con rapporti creditori) paralizzasse la distrazione, quest’ultima è stata progressivamente concepita come una fictio giuridica, in base alla quale si doveva ritenere che il credito fosse passato direttamente al procuratore[6]. L’applicazione del codice napoleonico ai territori italiani ha determinato l’introduzione anche in Italia di tale istituto, con conseguente estensione dei dubbi teorici e interpretativi sollevati in Francia[7]. In realtà, va rilevato che il codice di procedura civile del Regno del Piemonte del 20 novembre 1859 (all’art. 218), poi ripreso pressoché letteralmente dal successivo codice di procedura civile del 25 giugno 1865, ossia il primo codice di rito italiano (all’art. 373), non riprendeva completamente il modello francese. Invero, non si parlava neppure di distrazione, ma si prevedeva unicamente che i difensori potessero chiedere che la condanna in punto spese fosse emessa a loro favore. Invero, il mancato richiamo alla terminologia francese era giustificato proprio al fine di evitare i dubbi interpretativi emersi oltralpe. Tuttavia, anche tale formulazione non servì a chiarire l’in­quadramento dell’istituto[8]. In effetti, come è stato giustamente osservato, nonostante la differente terminologia, dottrina e giurisprudenza continuarono a parlare di distrazione, senza alcuna sostanziale differenza rispetto al modello francese[9]. Si riteneva pacificamente, inoltre, che l’istanza non richiedesse particolari formalismi (non essendo richiesta [continua ..]


3. L’ambigua natura del provvedimento ex art. 93 c.p.c.

La situazione non è migliorata con l’attuale codice di rito. In effetti, il legislatore del 1942, contrariamente a quanto previsto nel codice previgente, nella disciplina delle spese processuali (collocata, non più, come in passato, tra le norme dedicate alle sentenze, ma nella nuova parte generale del codice), ha ripreso la terminologia del codice napoleonico, parlando nuovamente di “distrazione”, di fatto provocando espressamente la riproposizione di tutti i (mai sopiti) problemi teorici sollevati dalla stessa[11]. In effetti, sono pochi gli aspetti davvero chiari. Invero, sembra indiscutibile che la distrazione delle spese costituisca una deroga alla regola generale secondo cui il compenso dell’avvocato è sostenuto dalla parte rappresentata anche in caso di esito vittorioso della controversia (ferma restando, ovviamente, la possibilità di ripetere tali spese dalla parte soccombente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.). In sostanza, considerando l’assenza di qualsiasi diritto di ritenzione a favore dell’avvocato[12], con l’art. 93 c.p.c. il legislatore ha ritenuto opportuno assicurare al difensore una garanzia ulteriore rispetto al privilegio speciale previsto dall’art. 2751-bis, primo comma, n. 2), c.c. In caso di addebito delle spese di lite a carico della parte soccombente, il legislatore ha quindi ritenuto ragionevole consentire al difensore della parte vittoriosa di escutere il proprio credito direttamente nei confronti della parte soccombente. Ciò rappresenta la ratio e, al tempo stesso, il limite di applicazione della distrazione delle spese; si tratta, infatti, di una mera possibilità (rimessa alla scelta discrezionale dell’avvocato, non surrogabile dalla parte) riservata esclusivamente al difensore della parte vittoriosa ed ammessa unicamente in caso di applicazione della regola della soccombenza[13]. Al di là di questo, è del tutto incerta la qualificazione giuridica del difensore distrattario, essendo discusso, cioè, se quest’ultimo diventi titolare di un vero e proprio diritto soggettivo autonomo rispetto a quelli oggetto di controversia[14]. Si tratta di una questione certamente delicata e di non semplice risoluzione; tuttavia, posta l’indiscutibile autonomia della richiesta di distrazione (con tutti gli adempimenti di natura tributaria che eventualmente ne conseguono[15]), sembra potersi [continua ..]


4. Arbitrato e distrazione delle spese

Come già segnalato, contrariamente a quanto previsto nel codice di procedura civile del 1865, l’art. 93 c.p.c. riprende la terminologia del codice napoleonico, parlando espressamente di “distrazione”. La scelta, di fatto, ha determinato la riproposizione di tutti i problemi ermeneutici già emersi nella disciplina francese e trasportati (nonostante la differente formulazione normativa) nel codice del 1865. Tali dubbi si ripropongono e, per così dire, si aggravano in materia arbitrale. E ciò soprattutto in considerazione del fatto che, come già segnalato all’inizio, per ammettere l’applicabilità della distrazione delle spese in arbitrato è essenziale determinare la corretta qualificazione dell’istituto. Invero, se l’istanza del difensore distrattario venisse qualificata come vera e propria domanda, essa ben difficilmente potrebbe essere ricompresa fra le controversie incluse nell’oggetto della clausola compromissoria (o nel com­promesso). In secondo luogo, anche considerandola inclusa, sarebbe difficile ipotizzare la possibilità per gli arbitri di pronunciare una statuizione (benché favorevole) nei confronti di un soggetto (il difensore) non direttamente vincolato dalla clausola compromissoria. Per questa ragione, quindi, appare opportuno svolgere ancora alcune osservazioni a proposito della qualificazione giuridica della distrazione delle spese. Indubbiamente, come già detto, diversi elementi portano ad escludere che la richiesta di distrazione delle spese possa essere considerata come una vera e propria domanda. Anzitutto, tale richiesta non presuppone particolari formalismi[22]. La domanda di distrazione, inoltre, non è soggetta a termini o preclusioni (potendo essere proposta anche in appello[23] e persino con la memoria ex art. 378 c.p.c. nel giudizio di cassazione[24], purché, ovviamente, nell’ambito del medesimo giudizio cui afferiscono le spese anticipate e gli onorari non riscossi[25]). In tal caso, del resto, non si pone alcun problema di violazione del principio del contraddittorio, essendo, di fatto, indifferente per la parte soccombente dover rifondere le spese all’altra parte oppure direttamente all’avvocato di quest’ultima[26]. In questo senso, ma con qualche perplessità in più, va anche l’opinione giurisprudenziale tendente ad [continua ..]


NOTE