Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

L'impugnazione della decisione sulla potestas iudicandi: differenze tra arbitrato rituale e irrituale (di Carolina Mancuso)


L’autrice, nell’esaminare le conclusioni della Corte d’Appello nei due casi in esame, riflette sul differente regime delle impugnazioni della declinatoria di competenza nell’ipotesi dell’arbitrato rituale e irrituale, soffermandosi, più in generale, sulla questione dei rapporti tra giudice statale e arbitrale, da sempre al centro di un forte dibattito, intorno al quale, ancora oggi, si registrano forti incertezze da parte degli operatori del diritto che inevitabilmente si ripercuotono sui rimedi processuali.

The appeal of the court decision on potestas iudicandi: differences between arbitration rituale and irritual

The author, examining the conclusion reached by the Court of Appeal in the two cases under consideration, reflects on the differences between the appeal of courts decisions on incompetence in arbitration rituale and irrituale, dwelling more generally on the relations between state and arbitral jurisdiction, always subject of a lively debate, around which, even today, there are strong uncertainties from legal practitioners that inevitably effect the procedural remedies.

Keywords: Arbitration rituale and irrituale, Incompetence, Procedural Remedies, Jurisdiction and Arbitration.

Appello Napoli, 30 maggio 2017 (Chiappetta, presidente; Chieca estensore) – Di Micco de Santo (avv. Bellocchio) – Salzano e Di Micco de Santo (avv. Pezone) La sentenza di primo grado, con la quale è stata dichiarata improponibile la domanda giudiziale in ragione dell’esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, non è suscettibile di impugnazione con il regolamento di competenza; la pattuizione per arbitrato irrituale, infatti, determina l’inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l’art. 819-ter c.p.c. come novellato dall’art. 22 d.lgs. n. 40 del 2006. (6) Appello Napoli, 6 giugno 2017 (Chiappetta, presidente; Chieca estensore) – Gnosis Architettura società cooperativa (avv.ti Rocco, Romano) – Cuccaro (avv.ti Cuccaro, Verde) La sentenza di primo grado con la quale è stata dichiarata l’incompetenza in relazione ad una convenzione d’arbitrato rituale, trattandosi non già di una decisione sul merito, può essere impugnata soltanto con istanza di regolamento di competenza, secondo quanto disposto dall’art. 42 c.p.c., richiamato dall’art. 819-ter, comma 1° c.p.c., novellato dall’art. 22 d.lgs. 40 del 2006. (7) È ammissibile l’impugnazione con il regolamento di competenza della sentenza che, in sede di opposizione, abbia pronunciato la nullità del decreto ingiuntivo opposto, esclusivamente per incompetenza del giudice che lo ha emesso, trattandosi non già di una decisione sul merito, ma di una statuizione sulla competenza, rispetto alla quale la dichiarazione di nullità rappresenta un effetto obbligato e non una mera conseguenza. (8) La sentenza che, oltre a pronunciare sulla competenza, provveda sulle spese del giudizio, non cessa di rimanere soggetta al rimedio del regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c., atteso il carattere meramente accessorio della statuizione sulle spese. (9)
SOMMARIO:

1. L’importanza dei due provvedimenti - 2. I casi - 3. Le soluzioni della Corte d’Appello di Napoli - 4. La questione sottesa al regime delle impugnazioni: il rapporto tra giurisdizione e arbitrato - 5. L’impugnazione della declinatoria del giudice statale a favore degli arbitri: il caso dell’arbitrato irrituale - 6. Segue: il caso dell’arbitrato rituale - 7. Conclusioni - NOTE


1. L’importanza dei due provvedimenti

Con le massime in commento la Corte d’Appello di Napoli affronta un tema di grande rilevanza pratica: l’individuazione dei mezzi di impugnazione esperibili contro la declinatoria della potestas iudicandi a favore deli arbitri. In particolare, la Corte chiarisce la differenza tra arbitrato rituale e irrituale, distinguendo i mezzi di impugnazione esperibili nel primo e nel secondo caso. Si tratta certamente di un tema di grande interesse, in quanto l’errore sul mezzo di impugnazione può determinare, in concreto, la perdita di uno strumento di doglianza contro la suddetta declinatoria. Con le sentenze in esame, dunque, la Corte d’Appello di Napoli si propone di fare chiarezza sul punto, a fronte di un’incertezza che ancora oggi persiste tra gli operatori del diritto, nonostante le modifiche intervenute con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.


2. I casi

Il primo caso riguardava una domanda di ingiustificato arricchimento, a fronte della quale i convenuti avanzavano un’eccezione di compromesso, in ragione dell’esistenza di una convenzione per arbitrato irrituale operante tra le parti in causa. Dichiarata l’improponibilità della domanda da parte del giudice di prime cure, la pronuncia veniva appellata dalla parte soccombente, la quale si limitava a chiedere, in via principale, di dichiarare proponibile la domanda di ingiustificato arricchimento, nonché, in via subordinata, ove il difetto di giurisdizione fosse stato risolto in favore del giudice ordinario, di rimettere la causa in primo grado ex art. 353, comma 1, c.p.c. Nel secondo caso, invece, nell’ambito di un’opposizione a decreto ingiuntivo, veniva sollevata un’eccezione di incompetenza in favore del Collegio Arbitrale, alla luce della clausola compromissoria per arbitrato rituale presente nel contratto di prestazione d’opera professionale stipulato tra le parti. Dichiarata l’incompetenza del tribunale adito, l’opposto proponeva appello avverso la suddetta sentenza, chiedendo alla Corte di dichiarare l’insussistenza della clausola compromissoria per mancanza dei requisiti essenziali richiesti ex lege.


3. Le soluzioni della Corte d’Appello di Napoli

Con la prima sentenza la Corte ha dichiarato inammissibile l’appello per non aver la parte ricorrente riproposto la domanda di ingiustificato arricchimento – ritenuta dunque rinunciata ex art. 346 c.p.c. –, in quanto l’eventuale declaratoria di proponibilità della domanda non avrebbe comportato alcuna utilità alla parte appellante, in relazione al riconoscimento del bene della vita sottostante. In via preliminare la Corte ha comunque dato atto della corretta individuazione del mezzo di impugnazione esperito contro la sentenza di primo grado, in ragione dell’esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, rispetto alla quale non trova applicazione l’art. 819-ter c.p.c. Inoltre, contrariamente alla prospettazione dell’appellante, la stessa Corte ha precisato come la questione in esame non attenga alla giurisdizione, bensì al merito della domanda e, in particolare, alla validità ed efficacia della convenziona arbitrale; ne consegue che, laddove il giudice ritenesse invalida o inefficace la clausola compromissoria, non sarebbero applicabili gli artt. 353 e 354 c.p.c. Con la seconda pronuncia, invece, la Corte, in via preliminare, ha escluso che la riassunzione della causa davanti agli arbitri, in applicazione di regole corrispondenti all’art. 50 c.p.c., potesse costituire acquiescenza tacita della pronuncia di primo grado; la stessa Corte ha poi dichiarato inammissibile l’appello, per avere il ricorrente utilizzato lo strumento dell’appello anziché quello del regolamento necessario di competenza, a nulla rilevando la declaratoria di nullità del decreto ingiuntivo (quale effetto obbligato derivante dalla declinatoria di competenza) [1] e la statuizione sulle spese (di carattere meramente accessorio) [2]. Per tale ragione la Corte non ha esaminato gli ulteriori motivi di appello, compreso quello della validità della clausola compromissoria, essendo tali doglianze deducibili solo in sede di regolamento di competenza davanti alla Corte di Cassazione. In definitiva, sia nel primo che nel secondo caso le parti decadevano dalla possibilità di impugnare la statuizione relativa alla devoluzione della causa in arbitrato. Nel primo caso, l’appellante, nell’erronea convinzione in merito all’appli­cabilità dell’art. 353, comma 1, c.p.c., non riproponeva la [continua ..]


4. La questione sottesa al regime delle impugnazioni: il rapporto tra giurisdizione e arbitrato

Prima di affrontare il tema relativo al regime delle impugnazioni, appare opportuno svolgere alcune considerazioni di carattere preliminare sul rapporto tra giurisdizione e arbitrato, con particolare riferimento alle differenze tra arbitrato rituale e irrituale; tale riflessione costituisce la premessa logica della Corte per l’individuazione dei rimedi processuali contro la declinatoria della potestas iudicandi nei due casi in esame. Intendo tuttavia precisare fin d’ora che non svolgerò un’analisi approfondita del tema relativo alla natura dell’arbitrato – argomento che da sempre divide gli studiosi e i pratici, rispetto al quale sarebbe opportuno dedicare tutt’al­tro spazio –, ma mi limiterò a trattarlo nell’ottica in cui sia rilevante sul piano dell’impugnazione della pronuncia di incompetenza [3]. Al riguardo, da sempre, in dottrina e in giurisprudenza si discute in merito alla natura giurisdizionale o negoziale dell’arbitrato; la soluzione di tale dibattito ha ricadute pratiche, perché, a seconda della tesi accolta, le questioni tra giudici e arbitri sono trattate sul piano della competenza (o della giurisdizione), ovvero sul piano del merito. Com’è agevole osservare, inoltre, il dibattito si ripercuote sui rimedi processuali esperibili contro la declinatoria del giudice a favore del Collegio Arbitrale: in un caso è applicabile il regolamento di competenza, nell’altro, l’appello. Ora, secondo la dottrina tradizionale, l’arbitrato rituale e quello irrituale erano istituti distinti dal punto di vista strutturale e funzionale [4], sicché, solo nel primo caso l’exceptio compromissi determinava un’eccezione di incompetenza in materia derogabile [5]. Nel corso del tempo, tuttavia, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno cambiato più volte orientamento, anche alla luce delle modifiche legislative apportate alla disciplina dell’arbitrato. Sono due le pronunce giurisprudenziali che hanno segnato maggiormente il dibattito dell’ultimo ventennio. In un primo momento, con la sentenza n. 527 del 2000 [6], la Corte di Cassazione ha cercato di unificare il fenomeno arbitrale, seguendo un’impostazione di tipo negoziale, adattabile a tutte e due le forme di arbitrato [7]. Successivamente, la stessa giurisprudenza ha mutato radicalmente [continua ..]


5. L’impugnazione della declinatoria del giudice statale a favore degli arbitri: il caso dell’arbitrato irrituale

Nel primo caso, dunque, la Corte, nell’affermare che la decisione sull’esi­stenza, validità o efficacia di una convenzione per arbitrato irrituale integra una pronuncia di merito [15], come tale, impugnabile in appello, fa propria la tesi della natura negoziale dell’arbitrato irrituale. Peraltro, secondo la Corte, tale soluzione risulta comunque obbligata, stante l’automatica inapplicabilità, al­l’ar­bitrato irrituale, della disciplina prevista dagli artt. 806 ss. c.p.c., ivi compreso l’art. 819-ter c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 40/2006.  Va rilevato, tuttavia, che il predetto automatismo, cui sovente la giurisprudenza fa ricorso [16] è stato posto in dubbio, specialmente in dottrina. Secondo alcuni, infatti, non potrebbe escludersi a priori l’applicabilità, al­l’arbitrato irrituale, della disciplina prevista dagli artt. 806 ss. c.p.c., stante, peraltro, l’ambiguità del nuovo art. 808-ter c.p.c. sul punto [17]. Si è prospettato pertanto un approccio caso per caso, ammettendo, in assenza di un accordo tra le parti, l’applicazione analogica delle disposizioni dettate per l’arbitrato rituale, espressive della funzione di accertamento del diritto che le due forme di arbitrato condividono.  Alla luce di tale impostazione ermeneutica, una parte della dottrina ha sostenuto la compatibilità dell’art. 819-ter c.p.c. con l’arbitrato irrituale, valorizzando, al riguardo, la nozione ampia e atecnica di competenza ivi adottata, il cui riferimento denoterebbe la sola applicazione di un determinato trattamento processuale, come tale estensibile ad ogni rapporto tra arbitri e giudici [18]. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario [19], di cui la Corte d’Ap­pello si fa portavoce con le pronunce in commento, si colloca tuttavia sul fronte opposto, considerando l’art. 819-ter c.p.c. come il fondamento della tradizionale contrapposizione tra le due forme di arbitrato, sicché, detta norma, non risulta applicabile all’arbitrato irrituale.


6. Segue: il caso dell’arbitrato rituale

Con riguardo al caso dell’arbitrato rituale, invece, la Corte, dando atto del­l’erronea individuazione dell’appello quale mezzo di impugnazione avverso la declinatoria di competenza, sembra fare applicazione dell’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite nel 2013.  In realtà, la Corte non prende espressamente posizione sul tema della natura dell’arbitrato, ma si limita a dare applicazione al nuovo art. 819-ter c.p.c. che, al riguardo, assume un ruolo centrale nella regolamentazione dei rapporti tra giudici e arbitri, in quanto equipara l’esistenza di una convenzione per arbitrato (rituale) ad una eccezione di incompetenza, impugnabile con il regolamento di competenza ex artt. 42 e 43 c.p.c. Parimenti, non può escludersi l’applicabilità del regolamento di competenza avverso la declinatoria del giudice statuale in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, trattandosi pur sempre di una pronuncia di rito, rispetto alla quale l’eliminazione del decreto ingiuntivo, pur in assenza di un’espressa previsione normativa [20], rappresenta un effetto immediato e diretto, inidoneo a incidere sulla natura della decisione [21]. Si evidenzia, tuttavia, come, nonostante il novum legislativo, la formulazione originaria della norma – che escludeva, al comma 2°, l’applicabilità ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’art. 50 c.p.c. –, avesse portato alcuni a respingere una piena equiparazione tra le questioni relative alla potestas iudicandi degli arbitri e la competenza. Il predetto orientamento ha tuttavia subito un profondo arresto in seguito alla sentenza n. 223 del 2013 [22] con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del predetto comma 2 dell’art. 819-ter c.p.c., favorendo così il “trasferimento” delle cause dal giudice agli arbitri e viceversa con la conseguente conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda iniziale. In tal senso, benché la Corte non abbia fondato la propria decisione sulla natura giurisdizionale dell’arbitrato, ma sulla fungibilità del giudizio statale con quello arbitrale [23], la sentenza n. 223 del 2013 ha influenzato la successiva decisione delle Sezioni unite, intervenuta lo stesso anno, rafforzando pertanto la ricostruzione dei [continua ..]


7. Conclusioni

In ultima analisi quali sono i rimedi in capo agli operatori del diritto in caso di una declinatoria della potestas iudicandi erroneamente impugnata? Sul punto occorre distinguere. Nel caso dell’arbitrato rituale, poiché la declinatoria infruttuosamente impugnata è suscettibile di passare solo in giudicato formale, non può escludersi la riproponibilità della domanda, sia davanti al giudice, sia davanti agli arbitri [26], seppur con un notevole sacrificio del principio di economia processuale. Peraltro, ritenendo applicabili “regole corrispondenti” all’art. 50 c.p.c., co­me sostenuto dalla Corte d’appello, dovrà concludersi che: se le parti non riassumono tempestivamente la causa davanti al Collegio Arbitrale, il processo verrà travolto dall’estinzione; se, invece, come nel caso in esame, le parti, nelle more del giudizio di impugnazione avverso la declinatoria di competenza, riassumono la causa tempestivamente davanti agli arbitri, fanno salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda iniziale, ancorché il collegio non risulti vincolato dalla decisione del giudice statale sulla competenza, stante l’inap­plicabilità dell’art. 44 c.p.c. per espressa previsione dell’art. 819-ter c.p.c. [27]. A conclusioni diverse deve pervenirsi in caso di arbitrato irrituale. Al riguardo, seguendo l’impostazione della Corte, la pronuncia di merito [28] del giudice di prime cure relativa alla validità ed efficacia della clausola compromissoria, qualora non tempestivamente appellata, diventerà definitiva, con conseguente spendibilità della stessa nei futuri giudizi (arbitrali o statuali) che dovessero ricadere nella convenzione.


NOTE