Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

L'arbitrato internazionale tra Stati: un moderno istituto antico (di Edoardo Greppi)


Lo scritto ripercorre le origini dell’arbitrato internazionale tra Stati, soffermandosi sul caso degli Alabama Claims deciso dal lodo del collegio arbitrale presieduto da Federigo Sclopis.

International arbitration between States: a modern ancient legal instrument

The paper traces the origins of International arbitration between States, focusing on the Alabama Claims case decided by the award of the arbitration panel chaired by Federigo Sclopis.

   
SOMMARIO:

1. L’arbitrato, strumento essenziale nella vita di relazione della comunità internazionale - 2. Il primo grande arbitrato dei tempi moderni - NOTE


1. L’arbitrato, strumento essenziale nella vita di relazione della comunità internazionale

Il tema della soluzione pacifica delle controversie tra Stati è essenziale nella configurazione di un ordinamento che dichiaratamente persegue la pace e la sicurezza internazionale. Il riferimento normativo principale è la Carta delle Nazioni Unite [1], all’art. 2 § 3 e al capitolo VI, che hanno stabilito l’obbligo di dare soluzione pacifica a queste controversie, e indicato gli strumenti per darvi corpo. Questi strumenti, mezzi, sono indicati all’art. 33: “Le parti di una controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, devono, anzitutto, perseguirne una soluzione mediante negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni od accordi regionali, od altri mezzi pacifici di loro scelta”. L’elencazione dell’art. 33 è in ordine crescente, dal più – per così dire – tenue a quello più intenso e incisivo. Vi è, tuttavia, un caso un po’ anomalo: la controversia tra Argentina e Cile relativa alla sovranità territoriale sulle Isole del Canale di Beagle, con la regina Elisabetta II arbitro unico. Il lodo risolve la controversia dal punto di vista giuridico, ma non necessariamente la estingue: nell’affare del Canale di Beagle, ad esempio, l’Argentina eccepì la nullità del lodo, e si giunse ad una definitiva soluzione della controversia grazie alla mediazione della Santa Sede. In altre parole, il Trattato di pace ed amicizia del 29 novembre 1984 ha dato soluzione diplomatica e pattizia a una controversia che prima era stata, senza successo, affidata a un arbitrato [2]. Di recente, si è fatto ricorso all’arbitrato nella controversia tra Italia e India relativo al caso dei Marò, i fucilieri di Marina del Reggimento San Marco in servizio anti-pirateria accusati di avere ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati [3]. Per diversi anni il governo italiano (anzi, i governi italiani che si sono succeduti) ha cercato una soluzione diplomatica, oltre alla strada (rivelatasi sbagliata) di accettare di fatto l’esercizio della giurisdizione da parte indiana. Solo dopo numerosi vani tentativi è stato scelto di affidarsi a un arbitrato [4]. Il lodo ha messo in luce lo stretto legame che spesso intercorre tra diritto e [continua ..]


2. Il primo grande arbitrato dei tempi moderni

La lunga storia della graduale affermazione dell’arbitrato internazionale ha un riferimento forte e autorevole nel caso degli Alabama Claims, una controversia sorta all’epoca della guerra di secessione tra due grandi potenze, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America [7]. Gli Stati del sud avevano avuto il sostegno britannico, e il governo di Londra aveva appoggiato la secessione, riconoscendo i confederati come legittimi combattenti, organi di un soggetto belligerante in un conflitto armato internazionale. Il governo federale americano, invece, reclamava il risarcimento dei danni causati da alcune navi, che considerava “corsare”, responsabili di atti di pirateria, e riteneva che Londra fosse venuta meno ai suoi obblighi di potenza neutrale. Molti erano i fatti contestati, ma essenzialmente gli episodi più rilevanti riguardavano tre vascelli, l’Alabama, il Florida e lo Shenandoah. In particolare, l’Alabama era un’imbarcazione di 900 tonnellate di stazza, trasformata in nave da guerra con l’aiuto inglese. Non va dimenticato che le forze armate dell’Unione godevano di una palese superiorità sul campo, ma i confederati avevano una marina importante e, con l’aiuto inglese, avevano recato grave pregiudizio al commercio dell’Unio­ne (con correlativo vantaggio per il commercio inglese). Le operazioni militari erano tributarie del commercio marittimo e, con una superiorità sul mare, la Confederazione poteva combattere efficacemente gli unionisti, esportare cotone e finanziare la guerra. Una volta persa questa supremazia sul mare, i confederati avevano progressivamente perso la guerra. Per il Regno Unito, poi, l’aiuto al Sud era una necessità strategica, finalizzata a conservare almeno una parte dell’antica influenza sul continente americano (ed evitare una futura perdita del Canada). La tensione diplomatica alla fine degli anni Sessanta era alle stelle, e vi erano fondati timori che gli Alabama Claims potessero condurre a una guerra. Dopo una fase di proteste, di scambio di accuse, di redazione di relazioni e di produzione di testimonianze, una conferenza diplomatica condusse alla firma del trattato di Washington dell’8 maggio 1871, che prevedeva che i Claims fossero sottoposti alla decisione di un tribunale arbitrale, composto da cinque arbitri. Due sarebbero stati nominati rispettivamente [continua ..]


NOTE