Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Arbitrato e tutela cautelare (profili processuali) (di Filippo Corsini)


Il contributo analizza le numerose questioni processuali che sorgono qualora le parti abbiano conferito poteri cautelari agli arbitri, come l'art. 818 c.p.c. oggi consente dopo la modifica operata dal d.lgs. n. 149/2022. La riforma, infatti, è rimasta totalmente silente in merito alle norme procedimentali che gli arbitri devono applicare, quando viene proposta loro un’istanza cautelare. Vengono altresì trattati i profili problematici relativi al reclamo contro il provvedimento reso dagli arbitri, previsto dall'art. 818-bis c.p.c., ed all’attuazione della misura, disciplinata dall'art. 818-ter c.p.c.

Arbitration and interim measures (procedural issues)

This essay analyzes the various procedural issues which arise when parties grant to arbitrators the power to issue interim reliefs, as new art. 818 c.p.c. permits following the amendment introduced by d.lgs. n. 149/2022. The reform does not contain any reference to the procedural provisions which shall be applied by arbitrators, when parties submit them an application to obtain interim reliefs. In addition, this essay faces the issues relating to the challenge of the arbitral decision, set out by art. 818-bis c.p.c. and to the enforcement pursuant to art. 818-ter c.p.c.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’art. 816-bis, comma 1, c.p.c. e l’inapplicabilità, anche in via analogica, degli artt. 669-bis ss. c.p.c. - 3. Segue: il principio del contraddittorio; impossibilità di pronunce inaudita altera parte - 4. Il provvedimento: forma e contenuto - 5. Revoca, modifica ed inefficacia della misura cautelare - 6. Il reclamo - 7. L’attuazione - NOTE


1. Premessa

L’innovazione di maggiore rilievo apportata dall’art. 3, commi 51-56, d.lgs. 10 ottobre, 2022 n. 149 alla disciplina dell’arbitrato è senza dubbio costituita dal superamento del monopolio statuale in materia cautelare [1]. Il previgente art. 818 c.p.c., infatti, perentoriamente vietava agli arbitri di concedere sequestri ed altri provvedimenti cautelari, obbligando così le parti a rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria; ciò, da un lato, rappresentava un’evidente distonia rispetto alla funzione giurisdizionale progressivamente riconosciuta agli arbitri [2] e, dall’altro lato, isolava l’Italia in ambito internazionale, giacché praticamente tutti gli altri Stati attribuivano, sia pure con alcuni limiti, anche ai giudici privati la potestà di emanare misure urgenti [3]. Il nuovo art. 818 c.p.c. prevede che le parti possano conferire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari; in tal caso, la competenza arbitrale è esclusiva. Prima dell’accettazione dell’arbitro unico, ovvero della costituzione del collegio, resta però ferma la competenza del giudice statuale ai sensi del­l’art. 669-quinquies c.p.c., come è logico che sia, non essendovi ancora un organo arbitrale che può deliberare sull’istanza cautelare. A corredo dell’art. 818 c.p.c., stati introdotti i nuovi artt. 818-bis e 818-ter c.p.c. dedicati, rispettivamente, al reclamo ed all’attuazione; essi rispondono a due precisi criteri direttivi contenuti nell’art. 1, comma 15, lettera c), legge 26 novembre 2021, n. 206, il quale ha prescritto al Governo di prevedere che il provvedimento arbitrale sia reclamabile davanti al giudice ordinario, per i motivi di cui all’art. 829, comma 1, c.p.c. oltre che per contrarietà all’ordine pubblico, e di disciplinare le modalità di esecuzione della misura, sempre sotto il controllo del giudice togato. Nel presente contributo non ci prefiggiamo di analizzare in dettaglio l’art. 818 c.p.c. ed i problemi che esso pone, visto che essi sono tanto numerosi e complessi che, per essere approfonditi con qualche possibilità di successo, necessitano di uno studio appositamente dedicato [4]. Desideriamo piuttosto concentrare la nostra attenzione, innanzitutto, sui profili procedimentali che vengono in rilievo quando agli arbitri sia proposta [continua ..]


2. L’art. 816-bis, comma 1, c.p.c. e l’inapplicabilità, anche in via analogica, degli artt. 669-bis ss. c.p.c.

Il d.lgs. n. 149/2022 non detta alcuna prescrizione in merito alle norme procedimentali che gli arbitri devono seguire per decidere sull’istanza cautelare proposta loro. Il primo problema metodologico che dunque si pone all’interprete è quello di valutare se gli artt. 669-bis c.p.c. (od almeno taluni di essi) possano essere applicati in via analogica, ove ritenuti compatibili [7]. A noi sembra che la risposta debba essere negativa. Innanzitutto pare lecito dubitare che, effettivamente, si sia in presenza di una lacuna, da colmare mediante il ricorso al metodo analogico. La caratteristica essenziale del procedimento arbitrale, infatti, è quella per cui, essendo basato sull’autonomia privata, le parti sono libere di stabilire le regole che gli arbitri devono seguire e, in mancanza, tali regole sono fissate da questi ultimi ai sensi dell’art. 816-bis, comma 1, c.p.c., con l’unico limite costituito dal­l’ob­bligo di rispettare il principio del contraddittorio. Non si vede quindi la ragione per cui si debba derogare a questo vero e proprio principio fondamentale, solo perché si tratta di stabilire come pronunciare una misura cautelare, anziché di come decidere la disputa nel merito. Del resto, non risulta che si sia mai posto il problema di determinare quali norme del libro II del codice di rito relative al processo di cognizione siano applicabili in via analogica, quando gli arbitri devono decidere il merito della controversia, quantunque il lodo, ai sensi dell’art. 824-bis c.p.c., abbia i medesimi effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria ordinaria, sin dalla data della sua ultima sottoscrizione. La stessa Cassazione, in una celebre sentenza, ha avuto modo di stabilire (sia pure con riferimento allo specifico problema costituito dall’applicabilità dell’art. 83 c.p.c., ed al netto di ormai desuete considerazioni sulla natura “fortemente privatistica” dell’arbitrato) che, quando nella clausola compromissoria le parti rinviano genericamente alle norme del codice di rito, ciò è non è sufficiente per richiamare la disciplina di uno specifico istituto processuale; si tratta, infatti, di un’indicazione di massima, priva di sanzioni, relativa alle regole procedurali da seguire, che non si può tradurre “in una pedissequa trasposizione del processo ordinario, in palese [continua ..]


3. Segue: il principio del contraddittorio; impossibilità di pronunce inaudita altera parte

L’unica limitazione al potere delle parti, o degli arbitri, di fissare le regole procedimentali nel contesto del giudizio cautelare è costituita dal rispetto del principio del contraddittorio, o, più esattamente, di quel nucleo di disposizioni fondamentali di ordine pubblico processuale [12], che connotano il cosiddetto giusto processo arbitrale [13]. In attuazione di questi principi, si è formato un granitico orientamento giurisprudenziale per cui, qualora le parti non abbiano determinato le regole da adottare, gli arbitri sono liberi di regolare l’articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno, anche discostandosi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, con l’unico limite del rispetto del contraddittorio, il quale impone che, al fine di consentire alle parti di svolgere un’adeguata attività difensiva, sia concessa loro la possibilità di esporre le rispettive tesi, di esaminare ed analizzare le prove e le risultanze del processo, anche dopo il compimento dell’istruttoria e fino al momento della chiusura della trattazione, nonché di presentare memorie e repliche e di conoscere in tempo utile le istanze e richieste avversarie  [14]. Ci pare dunque da escludere che le parti (o gli arbitri) possano validamente prevedere la pronuncia di provvedimenti inaudita altera parte, quando la convocazione del convenuto potrebbe pregiudicare l’attuazione, sul modello del­l’art. 669-sexies, comma 2, c.p.c. (norma inapplicabile al contesto arbitrale, come del resto le altre prescrizioni contenute negli artt. 669-bis ss. c.p.c., per le ragioni illustrate nel precedente paragrafo). A maggior ragione, l’instaura­zione del contraddittorio non potrà essere pretermessa, al ricorrere di altri presupposti coniati pattiziamente, ovvero quando, semplicemente, gli arbitri lo reputino opportuno [15]. A nostro avviso, il procedimento senza contraddittorio costituisce un meccanismo eccezionalmente dettato dall’art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., “tollerabile” ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost. perché temporalmente limitato, dovendo il provvedimento essere confermato, modificato o revocato in udienza, entro quindici giorni; esso, però, non ci pare trasponibile in sede arbitrale, in ragione dell’art. 816-bis, comma 1, c.p.c., che deve ritenersi applicabile anche alle norme procedimentali di [continua ..]


4. Il provvedimento: forma e contenuto

La legge non precisa la forma che deve rivestire il provvedimento con cui gli arbitri decidono su di un’istanza cautelare. A noi pare che esso debba essere un’ordinanza [21]. Ciò innanzitutto perché, in virtù dell’art. 816-bis, comma 3, c.p.c., gli arbitri, su tutte le questioni che si presentano nel corso del procedimento, decidono con ordinanza revocabile, non soggetta a deposito, salvo che non ritengano di pronunciare lodo non definitivo, il quale però, a nostro avviso, dovrebbe essere impiegato solo per pronunce su questioni pregiudiziali o preliminari, idonee a definire il giudizio [22]. A ciò si aggiunga che il lodo (anche se non definitivo) ha, ai sensi del­l’art. 824-bis c.p.c., gli stessi effetti della sentenza ed ontologicamente non si attaglia alla decisione su di un’istanza cautelare, dal momento che, una volta pronunciato, non può essere revocato o modificato, caratteristica che invece è essenziale con riferimento al provvedimento urgente. È opportuno inoltre rilevare che un’indicazione testuale in favore dell’uso dell’ordinanza si rinviene anche, con riferimento all’arbitrato societario, nell’art. 838-ter, comma 4, c.p.c., per cui gli arbitri possono sospendere, con ordinanza reclamabile, gli effetti della delibera assembleare impugnata [23]. Il contenuto dell’ordinanza deve comunque riflettere quello del lodo, come si ricava indirettamente dall’art. 818-bis c.p.c., che, per i motivi di reclamo, rinvia all’art. 829, comma 1, c.p.c. il quale, a sua volta, al n. 5) fa riferimento alla mancanza di taluni requisiti indicati nell’art. 823 c.p.c. L’ordinanza con cui gli arbitri decidono sull’istanza cautelare, quindi, dovrà essere deliberata a maggioranza, con la partecipazione di tutti gli arbitri, e dovrà contenere gli elementi previsti dall’art. 823 c.p.c., che ci paiono tutti compatibili. Evidentemente inapplicabile, invece, è l’art. 816-bis, comma 2, c.p.c., non trattandosi di un’ordinanza relativa allo svolgimento del procedimento; il presidente non potrà quindi essere autorizzato a decidere da solo, senza la partecipazione degli altri due arbitri. Una riflessione supplementare merita la sottoscrizione dell’ordinanza visto che, ai sensi dell’art. 823, comma 2, n. 7, c.p.c., la firma del lodo da parte della [continua ..]


5. Revoca, modifica ed inefficacia della misura cautelare

Dal punto di vista procedimentale, è interessante soffermarsi su tre ulteriori questioni, che trovano una loro specifica disciplina negli artt. 669-bis ss. c.p.c., i quali però, per le ragioni già illustrate, non paiono applicabili, neppure in via analogica, nel contesto arbitrale. Trattasi della riproponibilità della domanda rigettata, dell’inefficacia della misura e della sua revoca o modifica. Quanto al primo tema, a nostro credere sarà sempre possibile, senza preclusioni, ripresentare l’istanza cautelare agli arbitri, dopo che questi l’abbiano respinta una prima volta. L’allegazione di un mutamento delle circostanze, o la deduzione di nuove ragioni di fatto o di diritto, dunque, non costituirà una condizione per riproporre la richiesta, come invece avviene dinnanzi al giudice ordinario in virtù dell’art. 669-septies, comma 1, c.p.c.; tale allegazione, evidentemente, rappresenterà un mero onere del richiedente, da soddisfare qualora non voglia ricevere un secondo diniego [27]. La ratio dell’art. 669-sep­ties, comma 1, c.p.c., infatti, è quella di evitare l’abuso del ricorso alla tutela cautelare mediante istanze presentate a ripetizione presso lo stesso organo giudiziario, nella persistente e perseverante ricerca di un giudice favorevole all’accoglimento [28]. Fenomeno, questo, piuttosto diffuso prima dell’entrata in vigore della legge n. 353/1990 [29], ma che, per ovvie ragioni, non si può mai verificare in sede arbitrale, visto che il collegio è sempre composto dalle medesime persone fisiche, tranne casi eccezionali. Analogamente, per le medesime ragioni, pare possibile riproporre agli arbitri, senza che sia configurabile alcuna barriera preclusiva, l’istanza cautelare rigettata dal giudice ordinario, prima dell’avvio del procedimento arbitrale. Con riferimento all’inefficacia della misura concessa dagli arbitri, a nostro credere, pur non essendo applicabili gli artt. 669-octies e 669-novies c.p.c., se il procedimento si estingue, senza pronuncia del lodo, essa perde sempre efficacia, visto che il mandato degli arbitri viene meno e non è ipotizzabile che resti soltanto in vita la misura da costoro pronunciata (sia essa conservativa, od anticipatoria), come eccezionalmente avviene dinnanzi al giudice ordinario in forza dell’art. 669-octies, comma 8, c.p.c. per i [continua ..]


6. Il reclamo

L’art. 818-bis c.p.c. prevede che il provvedimento che concede o nega la misura sia reclamabile “a norma dell’art. 669-terdecies” c.p.c., ossia con il medesimo rimedio previsto avverso le ordinanze con cui il giudice pronuncia su di un’istanza cautelare. Benché l’art. 669-terdecies c.p.c. sia richiamato integralmente (e non con la usuale formula “in quanto compatibile”), è comunque necessario domandarsi se esso sia applicabile in toto; la risposta non può che essere negativa, poiché la seconda parte dell’art. 818-bis c.p.c. detta talune prescrizioni che fanno assumere al reclamo de quo una fisionomia diversa rispetto a quella prevista dall’art. 669-terdecies c.p.c., così che il richiamo a quest’ultima norma appare, se non del tutto svuotato di contenuti, certo non particolarmente significativo, giacché finiscono con l’essere effettivamente applicabili soltanto una minoranza delle relative disposizioni. Ciò non solo, e non tanto, perché il giudice competente è, come per l’impu­gnazione del lodo, la corte di appello nel cui distretto è situata la sede del­l’ar­bitrato e quindi non ha ragione di applicarsi l’art. 669-terdecies, comma 2, c.p.c. Piuttosto, la differenza fondamentale risiede nella circostanza per cui il reclamo contro il provvedimento del giudice è un rimedio a critica libera, totalmente devolutivo e sostitutivo [37], mentre quello contro l’ordinanza arbitrale, per effetto dell’ultima parte dell’art. 818-bis c.p.c., è costruito come uno strumento a critica vincolata, oltre a doversi configurare, pur essendo la questione dubbia, come non devolutivo ed esclusivamente rescindente. Il possibile sindacato della corte di appello è infatti angusto, essendo limitato, essenzialmente, ai vizi di cui all’art. 829, comma 1, c.p.c., in quanto compatibili [38]. Essi, però, nella prassi, non ricorrono certo con frequenza. Si può forse immaginare il caso in cui gli arbitri concedano una misura in assenza di un valido accordo attributivo della potestà cautelare, nel qual caso sarebbe integrato il motivo di impugnazione di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c.; in tale evenienza, infatti, essi avrebbero pronunciato al di fuori dei limiti della convenzione d’arbitrato (o, comunque, dei poteri conferiti [continua ..]


7. L’attuazione

L’art. 818-ter c.p.c. disciplina l’attuazione del provvedimento cautelare concesso dagli arbitri rinviando, nel comma 1, all’art. 669-duodecies c.p.c. Dunque le misure aventi ad oggetto somme di denaro sono eseguite nelle forme del pignoramento (artt. 491 ss. c.p.c., in quanto compatibili), mentre quelle aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avvengono sotto il controllo del giudice statuale (nel cui circondario è sita la sede dell’ar­bitrato), che ne stabilisce anche le modalità di attuazione. L’art. 818-ter, comma 2, c.p.c., quanto all’attuazione dei sequestri pronunciati dagli arbitri, rinvia agli artt. 677 ss. c.p.c., per altro, a noi pare, in modo ridondante, dal momento che l’art. 669-duodecies c.p.c. (richiamato, come testé notato, dal­l’art. 818-ter, comma 1, c.p.c.) già fa salvi gli artt. 677 ss. c.p.c. La circostanza che il legislatore abbia inteso determinare le modalità attuative delle misure arbitrali, attraverso il rinvio alle norme applicabili ai provvedimenti cautelari emanati dall’autorità giudiziaria, conferma, ove mai ve ne fosse bisogno, che esse sono tra loro in toto omologhe [44], benché manchi una disposizione espressa che ne parifichi gli effetti, come invece fa l’art. 824-bis c.p.c. con il lodo rispetto alla sentenza [45]. L’unica rilevante differenza è costituita da un elemento: gli arbitri non esercitano il controllo sull’attuazione, che è demandato al tribunale nel cui circondario è sita la sede dell’arbitrato. A tal proposito, ricordiamo che, quanto al controllo sull’esecuzione delle misure cautelari, vi è una duplice competenza: per quello sui provvedimenti aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare è competente il giudice che lo ha emanato, ai sensi dell’art. 669-duodecies c.p.c.; diversamente, per l’esecuzione dei sequestri, è competente il giudice individuato sulla base dei criteri applicabili in materia di esecuzione forzata in ragione degli artt. 26 e 26-bis c.p.c., visto che ai sensi del­l’art. 678 c.p.c., il sequestro sui mobili e sui crediti deve essere attuato con le forme del pignoramento mobiliare e presso terzi, e, in virtù dell’art. 679 c.p.c., quello sui beni immobili si esegue mediante la trascrizione [46]. La competenza del [continua ..]


NOTE