Esaminando l’ordinanza in commento, la giurisprudenza di legittimità ivi citata a sostegno della inapplicabilità della clausola compromissoria statutaria alle azioni ex art. 146 l. fall. ed alcuni rilevanti provvedimenti di merito, si cercherà di tracciare il quadro attuale della questione, con un occhio alle disposizioni – in parte risolutive – già presenti nel Codice della crisi, ma non ancora vigenti.
Perusing the judgment in question and the case law in favour of the non-enforceability of the by-laws’arbitration clause in case of claims pursuant to article 146 of the Italian bankruptcy law, I will try to determine the state of the issue, with a view to the solutions offered by the not-yet-in-force Italian crisis code.
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1. L’ordinanza della Cassazione in commento - 2. Ricognizione della giurisprudenza di legittimità e di merito sul punto - 3. L’opponibilità della clausola al curatore, una questione “di fatto” - 4. La parziale riforma contenuta nel Codice della crisi - NOTE
I fatti di causa, pur nella usuale stringata esposizione della Corte, sono abbastanza chiari: il curatore della società fallita cita in giudizio gli ex amministratori di quest’ultima ai sensi dell’art. 146 legge fall. svolgendo, espressamente – pare di comprendersi, sia l’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c., sia quella riservata ai creditori sociali di cui all’art. 2394 del codice. Uno dei convenuti eccepisce il difetto di competenza del tribunale adito per esser le domande coperte dalla clausola compromissoria contenuta nello statuto della fallita, eccezione che viene accolta (con sentenza) dal giudicante per quello che riguarda la sola azione sociale di responsabilità. La curatela quindi impugna la predetta sentenza con regolamento di competenza, sostenendo, per quanto qui interessa, che il giudice di prime cure non avrebbe fatto buon governo dei principi sottesi all’azione di responsabilità svolta dalla curatela che, data la sua natura di unitario mezzo (processuale) di ristoro del patrimonio della massa, non sarebbe scindibile in due azioni separate, delle quali una compromettibile in arbitrato e l’altra demandata al giudice ordinario. La tesi del fallimento viene accolta dalla Corte di Cassazione, che evidenzia un orientamento di legittimità costante sul punto (sulla cui esistenza vedremo meglio nel prosieguo) ai sensi del quale (i) l’azione ex art. 146 legge fall. è l’unione, con caratteristiche di autonomia, dell’azione sociale di responsabilità e dei creditori sociali, (ii) che pur mantenendo le proprie separate caratteristiche esse vanno necessariamente esercitate in via congiunta senza poter essere scisse, (iii) la clausola compromissoria statutaria non è opponibile ai creditori sociali (e quindi neanche, quale legittimato attivo in loro sostituzione, al curatore), (iv) di conseguenza la clausola arbitrale non può essere opposta al curatore non solo per la (parte di) azione di responsabilità esercitata dai creditori ma neanche per la (parte di) azione sociale. La Suprema Corte dichiara quindi, rapidamente e senza particolare sforzo argomentativo, la competenza del giudice ordinario originariamente adito dal fallimento. Vale la pena notare come la sezione che si è occupata della vicenda sia la sesta, c.d. “filtro” [1], sezione che, nell’ambito delle sue ristrette [continua ..]
Nella ricognizione della giurisprudenza sovvengono i seguenti precedenti. Con le medesime conclusioni di quello in commento le ordinanze della Suprema Corte 10 ottobre 2019, n. 25476 [2], 8 novembre 2018, n. 28533 [3] e 12 ottobre 2018, n. 25610 [4]. Apparentemente nello stesso senso anche la sentenza 12 settembre 2014, n. 19308, arresto seguito (e citato) dalle summenzionate ordinanze che tuttavia, a ben vedere, si apre ad una lettura diametralmente opposta rispetto a quella poi fatta valere dalle decisioni successive. Un passaggio in particolare è rilevante [5] ove sembra consentire al curatore (ivi il commissario giudiziale) di scegliere se adire il giudice ordinario o l’arbitro, e adombra che, nel caso di specie deciso dalla Suprema Corte, l’azione proposta avesse le (sole) caratteristiche dell’azione di responsabilità dei creditori e ricadesse indi – correttamente – al di fuori del perimetro della clausola arbitrale. Allo stesso tempo tuttavia non esclude che una curatela avrebbe potuto confezionare l’azione ex art. 146 l. fall. come “solo sociale” ed instaurare di conseguenza legittimamente una procedura arbitrale. Non appare quindi corretto ritenere che vi sia un orientamento della giurisprudenza di legittimità particolarmente consolidato sul punto, sicuramente non tale da consentire una pronuncia (come quella in oggetto) della sezione c.d. “filtro”, e questo a maggior ragione se si considera che in due delle quattro ordinanze reperibili sul punto si rinvengono in argomento meri obiter dicta. Vi è in ogni caso anche da menzionare come non si ritrovino precedenti della Corte nei quali venga dichiarata l’incompetenza del giudice ordinario a conoscere (in tutto od in parte) della domanda derivante dall’azione ex art. 146 legge fall. Per contro vi è un filone (meneghino) della giurisprudenza di merito, che propende nettamente per l’opponibilità della clausola alla curatela. Il tribunale milanese infatti, con la sentenza 15 dicembre 2015, n. 14191 [6] si è ritenuto incompetente a decidere sulla (parte della) domanda ex art. 146 legge fall. riconducibile all’azione sociale di responsabilità ed ha proseguito il giudizio sulla sola (parte relativa alla) azione dei creditori, fondando il suo convincimento sostanzialmente sul principio secondo il quale le due azioni mantengono, [continua ..]
Per ragioni di logica sistematica conviene prima di tutto ricordare come non vi siano, allo stato, sensibili dubbi sulla possibilità di compromettere in arbitri controversie sol perché vedano una delle parti dichiarata fallita. Questo può avvenire sia ove la curatela eserciti un’azione ex ante presente nel patrimonio della fallita e già sottratta alla competenza del giudice ordinario, sia in forza di compromesso successivo all’apertura della procedura [13]. Ciò premesso parrebbe di piana conseguenza ritenere che l’azione sociale di responsabilità sottoposta a clausola arbitrale statutaria continui a rimanere tale anche quando ad agire in giudizio sia il fallimento, trattandosi di una azione pre-esistente alla formazione della massa. Tuttavia, come abbiamo appena visto sopra, la giurisprudenza, se pur con motivazioni che non paiono del tutto condivisibili, è quasi integralmente dell’avviso opposto. Smarchiamo una prima tesi, che, presente in uno solo dei provvedimenti testé visti [14], consentirebbe abbastanza agevolmente di sostenere l’inapplicabilità della clausola compromissoria statutaria all’azione ex art. 146 legge fall.: se l’azione in parola dovesse essere considerata un qualcosa di nuovo (e di “altro”) rispetto a quelle sociali di responsabilità e dei creditori, nonché sorta solo nel (e come conseguenza del) fallimento, anziché essere composta da azioni già esistenti quando la società era in bonis, essa non potrebbe ricadere nell’ambito di applicazione della clausola compromissoria statutaria. Si tratterebbe infatti di un’azione propriamente della massa – e non solo esercitata a favore di questa dal curatore in sostituzione dell’originale legittimato attivo –, che nessuno, men che meno i soci, avrebbe previamente potuto compromettere. Tale tesi, come noto, è stata sostenuta ma non gode, da tempo, di particolar favore [15]. Viceversa dottrina e giurisprudenza sono invece ormai sostanzialmente concordi nel prediligere la tesi c.d. “derivativa”, secondo la quale l’art. 146 legge fall. deve essere letto come norma che porta nel fallimento azioni già in precedenza esistenti, una appartenente al patrimonio della società e l’altra a quella dei creditori sociali, che mantengono le loro originarie [continua ..]
In questo quadro di apparenti certezze, l’attuale formulazione dell’art. 255 del Codice della crisi (la cui entrata in vigore è ora fissata al 1° settembre 2021), prevede l’attribuzione al curatore della facoltà di “promuovere o proseguire, anche separatamente” l’azione sociale di responsabilità e l’azione dei creditori sociali. Tale norma pone senz’altro la parola fine alla tesi secondo cui le azioni vadano necessariamente esercitate congiuntamente, ma non affronta purtroppo – e peraltro il “luogo” potrebbe non essere quello, a livello sistematico, più adatto – il problema di cosa avvenga nel caso in cui invece il curatore decida sua sponte di agire nello stesso giudizio in forza sia dell’art. 2393 che dell’art. 2394 del codice, possibilità questa, sicuramente concessa dall’articolo. Se quindi il problema potrà allora considerarsi superato ove il curatore eserciti solo l’azione sociale di responsabilità, divenendo ivi difficile argomentare per la non applicabilità di una valida clausola arbitrale contenuta nello statuto della fallita, rimarrà comunque aperta la questione relativa alla seconda ipotesi sopra delineata, trasformando quella che (in tesi) era una conseguenza dell’inscindibilità stabilita ex lege in una frutto della scelta (legittima) della curatela. È facile immaginare che quindi il problema de quo continuerà a porsi nei giudizi instaurati dalla curatela in cui o venga chiarito negli atti introduttivi che la lite investe entrambe i titoli di responsabilità in oggetto, o essi non vengano affatto specificati [22].