La disciplina processualistica italiana esclude che la tutela cautelare possa essere esercitata direttamente dall’arbitro, attribuendone la relativa competenza al Tribunale che sarebbe stato competente a conoscere del merito ex art. 669-quinquies c.p.c. Una modifica dell’art. 818 c.p.c. potrebbe garantire all’Italia un posto tra gli stati “arbitration-friendly”.
The Italian procedural law excludes that interim measures can be exercised directly by the arbitrator, granting the relative competence to the Court that would have been competent to know the merits pursuant to Article 669-quinquies ICCP. A modification of Art. 818 ICCP could guarantee Italy a place among the “arbitration-friendly” states.
1. La disciplina cautelare nel procedimento arbitrale italiano: «fact or fiction?» - 2. UNCITRAL Model Law on International Commercial Arbitration nel panorama internazionale: ed infine la liberalizzazione delle misure cautelari in arbitrato? - 3. In conclusione - NOTE
La disciplina arbitrale italiana si sofferma fugacemente – ma non per questo con indecisione – sul tema della potenziale concessione di misure cautelari da parte dell’organo arbitrale nelle more di un arbitrato e la disposizione-guida è da rinvenirsi nell’articolo 818 del Codice di Procedura Civile, ai sensi del quale “gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge”. Già da una prima lettura della norma – concisa e perentoria sul punto – non sembrerebbe possibile ricavare alcuna soluzione difforme da quanto ora postulato, conseguendone che il presupposto che accompagnerà la presente trattazione è da intendersi evidentemente coincidente con la – difficilmente discutibile – carenza di una prerogativa arbitrale intesa ad assicurare una più ampia tutela della controversia pendente per mezzo della concessione di un qualsivoglia provvedimento di natura cautelare. Ciononostante, la disciplina processualistica italiana – sancendo l’art. 818 c.p.c. esclusivamente il mancato riconoscimento di una simile facoltà in capo all’arbitro o al collegio arbitrale – non esclude definitivamente la facoltà di domandare e, quindi, di ottenere un provvedimento cautelare, giacché l’articolo 669-quinquies [2] c.p.c. statuisce la potenziale sottoposizione della suddetta richiesta “al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito”; in altri termini, l’espediente escogitato dal Legislatore richiederebbe che le ragioni di urgenza di una simile misura siano individuate e riconosciute dallo stesso Tribunale ordinario che le parti avrebbero evidentemente adito allorché fosse insorta una controversia e non si fosse stipulata la convenzione di arbitrato, da intendersi il presupposto per l’apertura del procedimento arbitrale. Sin da una prima e veloce lettura del combinato disposto delle due disposizioni emergerebbe una prima lapalissiana criticità circa la convenienza di una simile disciplina in ragione della – evidentemente “forzata” – relazione da instaurarsi tra le parti che intendevano non rivolgersi alla giustizia ordinaria ed il suddetto Tribunale, nei confronti del quale, per una serie piuttosto eterogenea di ragioni [3], hanno esplicitamente pattuito l’esclusione [continua ..]
A fronte del delineamento della disciplina arbitrale in materia di tutela cautelare ed al fine di arricchire il quadro sinora tracciato, si rende ora opportuno volgere lo sguardo ad una dinamica internazionale che prescinda per un momento – anche se apparentemente – dalla disciplina arbitrale italiana; la suddetta disciplina svolge, difatti, una primaria rilevanza anche nell’ipotesi in cui si instauri un arbitrato internazionale con sede nel territorio italiano, con la conseguenza, pertanto, che la lex loci arbitri [20] – i.e. la legge processuale che regolerà il procedimento arbitrale internazionale – sarà da rinvenirsi nella corrispondente scienza italiana. Ebbene, qualora una delle parti domandi all’organo arbitrale la concessione di un provvedimento cautelare troverà, pertanto, applicazione la corrispondente disciplina arbitrale, i.e. i summenzionati articoli 818 e 669-quinquies e seguenti c.p.c.; in altri termini, il quadro giuridico delineato nel precedente paragrafo non avrà valore esclusivamente a fronte di un arbitrato italiano (rituale e non), ma assumerà analogo fondamentale rilievo – e forse persino in termini maggiori [21] – in presenza di un arbitrato internazionale avente sede in Italia [22], non rilevando la potenziale applicazione di un differente diritto sostanziale; è pacifico, difatti, il principio per cui «…the role of the law of the seat in determining the rules applicable to the arbitral proceedings» [23]. Posta la potenziale applicazione del diritto processuale italiano, si procederà ora ad esaminare brevemente la “UNCITRAL [24] Model Law on International Commercial Arbitration” – ovvero il massimo intervento internazionale volto a promuovere l’armonizzazione del procedimento arbitrale per mezzo della predisposizione di una disciplina da considerarsi quale modello – che i singoli ordinamenti nazionali sono incoraggiati ad adottare al fine di delineare internamente una legge sull’arbitrato idonea e confacente agli standard ritenuti i più adeguati dalla dottrina internazionale (tra cui rientrano innegabilmente le disposizioni afferenti alla prerogativa cautelare arbitrale). In via meramente introduttiva si rileva come tale documento sia stato proposto per la prima volta nel 1985 e sia stato successivamente rieditato e presentato [continua ..]
L’assenza di un potere cautelare in capo all’arbitro – e la connessa necessità di rivolgersi al Tribunale eventualmente competente – non pone a favore di una possibile predilezione dell’Italia quale ordinamento in cui stabilire la sede di un procedimento arbitrale internazionale, tanto da parlarsi nei termini di vera e propria mancata appetibilità, virando verosimilmente le parti verso sedi ove la tutela cautelare sia insita nelle prerogative arbitrali. In tale panorama sembrerebbe possibile individuare una duplice corsa: la prima riguarderebbe la propensione delle parti verso discipline che prevedono una ampia libertà arbitrale e la seconda avrebbe quali protagonisti i medesimi stati, i quali sarebbero incentivati a convincere le parti a sceglierli come sede [47]. Concludendo, non si comprende la ragione per la quale l’Italia non debba inserirsi in quest’ultima “corsa” e, quindi, adottare una disciplina aggressiva che sia funzionale a creare i presupposti per garantire all’Italia un posto tra gli stati aperti all’arbitrato internazionale con tutto quanto ne consegue in termini dei benefici connessi [48]: indubbiamente un simile disegno richiederebbe una nuova riforma dell’art. 818 c.p.c.