Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

L'impatto di Brexit sull'arbitrato internazionale (di Ferdinando Emanuele, Milo Molfa, Rebekka Monico)


The impact of Brexit on international arbitration

Keywords: Brexit, New York Convention, Anti-suit injunctions, West Tankers decision, Bilateral Investment Treaties, Achmea decision, Investment Treaties between the EU and a third State

SOMMARIO:

1. I principali passaggi di Brexit - 2. Gli effetti di Brexit sull'arbitrato commerciale internazionale - 3. Gli effetti di Brexit sull'arbitrato in materia di investimenti - NOTE


1. I principali passaggi di Brexit

Come noto, il 23 giugno 2016 si è tenuto il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, conclusosi con il 51,89% dei voti favorevoli all’uscita. Il 29 marzo 2017, il Regno Unito ha pertanto notificato al Consiglio europeo la sua intenzione di recedere dall’Unione europea ai sensi dell’art. 50, par. 2, TUE [1]. Il 26 giugno 2018, è entrato in vigore nel Regno Unito lo European Union (Withdrawal) Act 2018, normativa di diritto interno che i) abroga lo European Communities Act 1972, consistente nell’atto di adesione del Regno Unito all’Unione europea (section 1), ii) trasforma il diritto dell’Unione europea in normativa interna (sections 2-4) [2] e iii) stabilisce che le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea emesse prima del 29 marzo 2019 (c.d. exit date) restano vincolanti per le sole corti inferiori (Tribunals, County Courts, High Court e Court of Appeal) e non per la Supreme Court (section 6, subsections 1 e 4). Il 25 novembre 2018, il Consiglio europeo ha approvato un progetto di accordo sul recesso del Regno Unito dall’Unione europea [3], che è stato però respinto dal Parlamento britannico il 15 gennaio 2019 con 432 voti contrari e 202 voti favorevoli. Qualora non venisse raggiunto un accordo sul recesso (c.d. hard Brexit), il Regno Unito cesserà di far parte dell’Unione europea a partire dall’exit date. In caso di accordo (c.d. soft Brexit) è invece previsto un periodo di transizione (c.d. transition o implementation period) della durata di 21 mesi (dal 30 marzo 2019 al 31 dicembre 2020) durante il quale il diritto dell’Unione europea [4] con­tinuerà a essere applicato nel Regno Unito [5]. Le possibili alternative all’hard Brexit includono i) l’avvio di nuove negoziazioni con l’Unione europea per un nuovo accordo sul recesso, comunque soggetto all’approvazione del Parlamento britannico, ii) l’indizione di un nuovo referendum, iii) la revoca unilaterale, da parte del Regno Unito, del­l’intenzione di recedere dall’Unione europea e, quindi, la sua permanenza nella stessa Unione [6] e iv) la proroga [continua ..]


2. Gli effetti di Brexit sull'arbitrato commerciale internazionale

Pur essendo allo stato molto difficile fare previsioni, è tuttavia possibile ritenere, sulla base di un’analisi tecnico-giuridica, che la Brexit non sia destinata a produrre significativi effetti in materia di arbitrato commerciale internazionale [8]. L’unica eccezione è costituita, come si vedrà, dall’istituto di common law delle anti-suit injunctions, la cui applicazione potrebbe subire una “ri-estensione” proprio in seguito alla Brexit. In primo luogo, dal punto di vista dell’ordinamento inglese, l’arbitrato com­merciale con sede nel Regno Unito resterà, anche in caso di hard Brexit, retto dall’English Arbitration Act 1996 [9], in caso di sede in Inghilterra, Galles o Irlanda del Nord, e dall’Arbitration (Scotland) Act 2010, in caso di sede in Scozia. In secondo luogo, dal punto di vista dell’ordinamento europeo, l’art. 1, par. 1, lett. d), reg. n. 1215/2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (c.d. Bruxelles I-bis) esclude espressamente l’arbitrato dal suo ambito di applicazione ratione materiae. Pertanto, la Brexit non determinerà il venir meno di una disciplina europea dell’arbitrato, come potrebbe invece avvenire nei procedimenti civili transnazionali. In terzo luogo, dal punto di vista dell’ordinamento giuridico internazionale, il Regno Unito e altri 158 Stati, inclusi gli Stati membri dell’Unione europea, sono e rimarranno, anche in ipotesi di hard Brexit, contraenti della Convenzione di New York del 1958 che, come noto, disciplina il riconoscimento a livello internazionale delle clausole compromissorie e la circolazione dei lodi arbitrali. Ne consegue che Brexit non dovrebbe avere effetti significativi nemmeno sul riconoscimento ed esecuzione, negli Stati membri o nel Regno Unito, delle clausole compromissorie e dei lodi resi, rispettivamente, nel Regno Unito o negli Stati membri. La Convenzione di New York del 1958 continuerà infatti a trovare applicazione nei rapporti fra Regno Unito e Stati membri [10]. L’unica eccezione potrebbe tuttavia essere costituita dall’art. V, par. 2, lett. b) della Convenzione di New York del 1958 che prevede, quale motivo ostativo al [continua ..]


3. Gli effetti di Brexit sull'arbitrato in materia di investimenti

Al fine di esaminare gli effetti di Brexit sull’arbitrato internazionale in materia di investimenti è necessario prendere in considerazione le recenti prese di posizione di alcune istituzioni dell’Unione europea sull’incompatibilità dei trattati bilaterali di investimento tra Stati membri (c.d. TBI intra-UE) con il di­ritto dell’Unione europea. La Commissione europea ha i) ritenuto che i TBI intra-UE sono «in contrasto con il diritto dell’Unione e incompatibili con le disposizioni dei trattati e pertanto [devono] essere considerati nulli» [45], ii) chiesto agli Stati membri di estinguere i TBI intra-UE, considerati incompatibili con il diritto dell’Unione europea perché frammentano il mercato unico e pongono in essere delle discriminazioni basate sulla nazionalità in violazione dell’art. 18 TFUE, in quanto conferiscono diritti su base bilaterale solo agli investitori di alcuni Stati membri [46] e iii) ribadito che i TBI intra-UE «sono incompatibili con il diritto unionale e non più necessari nel mercato unico» [47]. Sul punto, come noto, si è espressa anche la Corte di Giustizia nella sentenza Achmea [48], statuendo che la disposizione del TBI concluso nel 1991 tra i Paesi Bassi e la Slovacchia ed entrato in vigore il 1° gennaio 1992, concernente la risoluzione delle controversie tra investitori privati e Stati mediante il meccanismo di arbitrato, è incompatibile con gli artt. 267 e 344 [49] TFUE, dato che il Tribunale arbitrale cui sono sottoposte tali controversie non costituisce un organo rientrante nel sistema giudiziario dell’Unione idoneo a garantire la piena efficacia, l’autonomia e l’applicazione uniforme del diritto europeo. Secondo la Corte i) il Tribunale arbitrale di cui all’art. 8 TBI, chiamato a interpretare e applicare il diritto dell’Unione con riguardo alle disposizioni concernenti la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali [50], non è legittimato ad adire la Corte di Giustizia in via pregiudiziale in quanto non può essere qualificato quale giurisdizione «di uno degli Stati membri» ai sensi del­l’art. 267 TFUE [51], ii) la decisione del Tribunale arbitrale è definitiva e obbligatoria per le parti della [continua ..]


NOTE