Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Arbitrato e decisione della 'terza via' (di Alberto Villa)


È analizzato il problema della c.d. decisione della “terza via” in arbitrato, con particolare riferimento alle questioni di puro diritto e all’impugnazione del lodo.

Arbitration and 'third way' decision

The paper analyzes the problem of the so-called “third way” decision in arbitration, with particular reference to the issue of law and the challenge of the arbitral award.

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Appello Milano, 16 agosto 2018 (Santosuosso presidente; D’Anella estensore) – Roberto Cavalli (avv.ti Salvaneschi, Di Giovanni, Iacoviello, Casamassa) c. Rocarada LTD (avv.ti Greco, Fabbri, Rossi) Arbitrato rituale – Contraddittorio ‒ Decisione della “terza via” – Questione di diritto – Nullità del lodo – Esclusione Il lodo rituale non è impugnabile ex art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c. in caso di omessa attivazione del contraddittorio delle parti su questione di diritto. (43)     [Omissis]   Il secondo motivo di nullità: violazione del principio del contraddittorio. Con questo motivo l’impugnante lamenta che il lodo sia stato pronunciato in violazione del principio del contraddittorio, secondo la previsione dell’art. 829 n. 9 c.p.c., in quanto gli Arbitri avevano affermato, d’ufficio, che il contratto si era sciolto per “mutuo consenso”, senza prima sottoporre tale questione alle parti. Rileva a questo riguardo che l’ipotesi tipica in cui il Giudice (o l’Arbitro) è tenuto a stimolare il contraddittorio tra le parti è proprio quella in cui egli ritenga di porre a fondamento della decisione una questione rilevabile d’ufficio, fattispecie disciplinata dall’art. 101 comma 2 c.p.c.: tale norma costituisce un principio di ordine pubblico processuale, la cui violazione nel procedimento arbitrale rappresenta un’ipotesi di lesione del contraddittorio. Osserva infine che se gli Arbitri avessero sottoposto la questione alle parti, esse avrebbero potuto evidenziare che non vi erano i presupposti per accertare un ipotetico scioglimento del contratto per “mutuo consenso”, in quanto: – un simile accertamento era precluso dall’assenza di una domanda di parte; – le pronunce giurisprudenziali che ammettono la rilevabilità officiosa del “mutuo dissenso” sono relative ad ipotesi in cui vi sono contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, che risultano entrambe infondate; nel caso di specie, invece, il collegio arbitrale era chiamato a verificare se un’unica condotta tenuta da uno dei contraenti (il rifiuto di Rocarata di procedere al closing) fosse legittima; – contrariamente a quanto affermato dagli Arbitri, il sig. Cavalli aveva più volte diffidato Rocarata ad adempiere il contratto e a dar corso all’ope­razione, manifestando così il suo interesse all’esecuzione del contratto. La Corte ritiene che la doglianza sia infondata per i seguenti motivi. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. in tal senso Cass. Sez. Un. n. 20935/2009) allorché il giudice abbia deciso d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti, onde consentire su di [continua..]
SOMMARIO:

1. Arbitrato e principio del contraddittorio - 2. Arbitrato e “terza via” - 3. La decisione solipsistica su questione di puro diritto - 4. Il caso di specie - 5. La decisione su questione di diritto e la necessaria attivazione del contraddittorio: in generale - 6. Segue: in arbitrato - 7. Il processo (pubblico e privato) sotto la lente del divieto della decisione solipsistica - NOTE


1. Arbitrato e principio del contraddittorio

Non servono parole per ribadire la centralità del principio del contraddittorio in arbitrato. Centrale rispetto al fenomeno processuale tout court, il contraddittorio è tale anche nel giudizio apud arbitros. Ex art. 816-bis, comma 1, c.p.c., gli arbitri «debbono in ogni caso attuare il principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa» e, ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c., l’impugnazione del lodo per nullità è ammessa, tra l’al­tro, «se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio»; ancora, e ad abundantiam, in caso di morte o estinzione della parte «gli arbitri assumono le misure idonee a garantire l’applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio» (art. 816-sexies, comma 1, c.p.c.) [1]. Non solo. Il principio de quo permea il fenomeno arbitrale tout court: anche la determinazione contrattuale che sostanzia il lodo irrituale è annullabile «se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio» (art. 808-ter, comma 2, n. 5, c.p.c.) [2].


2. Arbitrato e “terza via”

Tra le plurime e variegate declinazioni del principio del contraddittorio esiste, come noto, anche quella del divieto delle decisioni della c.d. “terza via”, e quindi della pronuncia resa “a sorpresa”, senza previa attivazione del contraddittorio inter partes sulla questione posta a fondamento del pronunciamento giudiziale [3]. Non può revocarsi in dubbio che siffatto divieto operi anche in arbitrato. Come autorevolmente rilevato, anche nel procedimento arbitrale è «fatto divieto di decisione c.d. della terza via. Così gli arbitri, esattamente come il giu­dice ordinario, non potranno prescindere dall’esigenza di presentare alle parti le questioni che vogliano rilevare d’ufficio al fine di provocare sulle stesse il dovuto contraddittorio» [4]. Anche ai giudici privati è «precluso il rilievo d’uffi­cio di eccezioni e questioni in fase decisoria, senza consentire alle parti le necessarie difese sul punto» [5]. È ben vero che, «a differenza di quello ordinario, il procedimento arbitrale si deve sviluppare tenendo presente il termine finale di pronuncia del lodo» [6]; purtuttavia, «l’estensione e l’importanza del principio del contraddittorio anche in arbitrato […] sembra non consentano di concludere che quando stia per spirare il termine per la pronuncia del lodo, gli arbitri, precedentemente onerati del rispetto dell’art. 101, 2° comma, cod. proc. civ., possano per ciò solo prescinderne, al fine di evitare la nullità del lodo sancita dall’art. 829, 1° com­ma, n. 6, cod. proc. civ.» [7], dovendo per contro sottoporre comunque la questione al contraddittorio delle parti, con richiesta di proroga del termine per la pronuncia della decisione (ovvero richiesta di proroga al presidente del tribunale ex art. 820, comma 3, lett. b), c.p.c. [8]). In caso di violazione del divieto della decisione della terza via, il lodo sarà nullo, ovviamente ai sensi del richiamato n. 9 dell’art. 829, comma 1, c.p.c. [9].


3. La decisione solipsistica su questione di puro diritto

Uno dei profili centrali rispetto al divieto di assumere decisioni solipsistiche è quello del relativo oggetto e, quindi, della latitudine delle pronunce che possono venire in rilievo al riguardo. Il tema è pregno di implicazioni, tra cui in particolare quelle dell’effettiva “lesività” della questione e, quindi, della sua concreta idoneità a dar luogo a ulteriori sviluppi della lite. In sostanza, se la nullità è “innocua”, o se comunque risulta sanata «per mancanza ab origine dello scopo dell’atto omesso» [10], una discettazione in subiecta materia potrebbe cadere nella vacuità. In quest’ambito, un punctum dolens è rappresentato dalla natura delle questioni rilevanti. Segnatamente, si tratta delle sole questioni di fatto (o, al limite, delle questioni “miste”, di fatto e di diritto), rispetto alle quali è immediata una valutazione positiva circa l’avvenuta lesione del diritto delle parti di concorrere con la loro attività difensiva alla decisione della lite, oppure comprende anche le questioni di puro diritto? Si tratta di quesito evidentemente “trasversale”, potendo concernere il giudizio privato come quello statuale. Esso, peraltro, presenta profili vieppiù delicati in caso di procedimento arbitrale; e la decisione della Corte d’Appello di Milano in epigrafe ne costituisce una conferma.


4. Il caso di specie

Nella specie [11], le parti di un contratto preliminare avevano agito in arbitrato chiedendo, da un lato, il promissario acquirente, l’accertamento della legittimità del recesso dallo stesso esercitato, nonché la condanna del promittente venditore alla restituzione dell’anticipo versato sul prezzo; e, dall’altro lato, il promittente venditore, l’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, ai sensi dell’art. 1454 c.c. o, in subordine, ai sensi dell’art. 1453 c.c., nonché del diritto di trattenere l’anticipo sul prezzo a suo tempo ricevuto. All’esito del procedimento arbitrale è stato pronunciato un lodo con il quale il collegio designato, respinte sia la domanda di accertamento della legittimità del recesso, sia la domanda di risoluzione del contratto, ha rilevato che il promissario acquirente «chiede che sia accertata la legittimità del proprio recesso» e l’altra parte «chiede che il contratto sia risolto per inadempimento […]: dunque entrambe le domande hanno in comune (pur muovendo da presupposti contrastanti) l’identico scopo dello scioglimento del contratto, del quale il Tribunale Arbitrale deve necessariamente prendere atto», aggiungendo che «lo scioglimento del contratto per mutuo dissenso, privando di causa l’anti­cipo di prezzo», attribuisce al promissario acquirente «il diritto alla restituzione della somma» versata a titolo di anticipo, mentre «il principio di solidarietà negoziale» esige che l’altra parte «abbia un equo ristoro di costi affrontati per la partecipazione al contratto», con l’effetto di ridurre (da dieci a cinque milioni di Euro) l’importo che il promittente venditore ha diritto di trattenere. Il promittente venditore ha impugnato il lodo rilevando, inter alia, la «violazione del principio del contraddittorio, secondo la previsione dell’art. 829 n. 9 c.p.c., in quanto gli Arbitri avevano affermato, d’ufficio, che il contratto si era sciolto per “mutuo consenso”, senza prima sottoporre tale questione alle parti. Rileva a questo riguardo che l’ipotesi tipica in cui il Giudice (o l’Arbitro) è tenuto a stimolare il contraddittorio tra le parti è [continua ..]


5. La decisione su questione di diritto e la necessaria attivazione del contraddittorio: in generale

La soluzione accreditata dalla Corte d’Appello si presta invero a rilievi critici, e ciò sia in linea generale, sia avuto particolare riguardo all’arbitrato e all’impugnazione del lodo. Sotto il primo profilo, va anzitutto osservato che l’art. 101, comma 2, c.p.c. non contempla alcun distinguo rispetto alla natura della questione rilevante, ma si riferisce a ogni “questione rilevata d’ufficio” tout court [12]. Inoltre, e anche a voler prescindere dal disposto normativo, non paiono sussistere motivi per accedere a una lettura restrittiva della tipologia di questioni rispetto alle quali è imprescindibile la previa sollecitazione del contradditorio. Già alla fine degli anni ’80, Giuseppe Tarzia, nel suo scritto dedicato alla “parità delle armi” tra le parti e ai poteri del giudice, evidenziava che quest’ultimo non può «comunque provvedere su una questione di diritto da lui ritenuta rilevante, senza che abbia provocato le parti stesse alla discussione» [13]. Subito dopo la riforma dell’art. 111 Cost., Luigi Montesano osservava che, se «la garanzia costituzionale del contraddittorio certamente non elimina e neppure attenua il principio fondamentale iura novit curia», «la garanzia in discorso incide tuttavia fortemente sui modi e sui tempi dell’esercizio di quel potere-dovere e dovrebbe condurre, si spera, la giurisprudenza a mutare la linea – da essa costantemente seguita, nonostante non poche critiche dottrinali – di totale libertà di applicare norme giuridiche in tutto estranee al dibattito tra le parti» [14]. Va aggiunto che, a ben vedere, ogni questione rilevata ex officio può implicare l’esame di profili tanto di fatto, quanto di diritto, sicché soltanto a posteriori, quando cioè le parti hanno esplicato i loro rilievi sulla questione, è possibile individuare in quale area si collochino tali rilievi. Ne consegue che, «non essendo possibile stabilire ex ante se alla questione rilevata di ufficio faranno seguito repliche in fatto o in diritto, il comportamento del giudice che rileva la questione deve sempre essere lo stesso: segnalare la questione alle parti ed attendere le loro osservazioni. Soltanto all’esito di queste si saprà se la questione rilevata di ufficio [continua ..]


6. Segue: in arbitrato

Se possibile, le dinamiche dell’impugnazione del lodo acuiscono i rilievi che precedono. E invero, per quanto concerne il giudizio ordinario, l’appello è gravame a critica libera, sicché potrebbe anche (ipoteticamente) argomentarsi, con le parole delle Sezioni Unite, che dall’omessa attivazione del contraddittorio non deriverebbe «la consumazione di altro vizio processuale diverso dall’error iuris in iudicando»: e ciò nel senso che, in ogni caso, e quindi a prescindere dalla violazione del contraddittorio, nell’atto di appello la parte interessata potrebbe comunque svolgere qualsivoglia disquisizione in diritto e – pacificamente esclusa la rimessione della causa in primo grado – ottenere una nuova pronuncia sul merito della lite (che tenga conto anche delle nuove discettazioni affacciate dall’appellante). Sennonché, tale posizione, beninteso non soddisfacente anche in relazione al giudizio statuale – come si è detto, anche una questione di puro diritto potrebbe involgere necessità di allegazione e prova [18] –, si risolve in un vero e proprio “corto circuito” a danno della parte interessata in caso di lodo arbitrale. La decisione degli arbitri, infatti, «non è suscettibile di appello, un gravame a critica libera, ma è censurabile (oltre che con la revocazione straordinaria e con l’opposizione di terzo) con l’impugnazione per nullità, un mezzo di impugnazione a critica vincolata» [19]. Per quanto qui rileva, soltanto in caso di accoglimento dell’impugnazione ai sensi del n. 9 dell’art. 829, comma 1, c.p.c. il lodo sarà dichiarato nullo e, conformemente alla prevista struttura dell’impu­gnazione, la Corte d’Appello emetterà una nuova decisione di merito [20], previa concessione della possibilità di deduzioni hinc et inde (in diritto, ma occorrendo anche in fatto). In caso contrario, «l’errata soluzione data alla questione di puro diritto non previamente sottoposta alle parti potrebbe risultare non censurabile (è il caso del lodo rituale che le parti non abbiano voluto impugnabile per errori di diritto ex art. 829, c. 3, ove – a non ammettere la deduzione tout court della violazione del contraddittorio ex art. 829, c. 1, n. 9 – si [continua ..]


7. Il processo (pubblico e privato) sotto la lente del divieto della decisione solipsistica

È in conclusione appena il caso di aggiungere che, ancorché il rispetto del contradditorio sia ovviamente “trasversale”, fra gli aspetti più pregnanti del giudizio arbitrale dovrebbe esserci proprio l’attenzione per le posizioni espresse dalle parti del giudizio, le quali rappresentano pur sempre l’indiscussa scaturigine dello stesso arbitrato. È proprio per l’ispirazione a questa particolare attenzione che, all’alba della riforma del 1994, Giuseppe Tarzia dimetteva il suo plauso al nuovo n. 9 del­l’art. 829 c.p.c., osservando che «la nuova normativa sull’arbitrato appare dun­que più “avanzata” di quella […] vigente per il processo davanti al giudice civile, in quanto diviene regola espressa di diritto, specificamente sanzionata, che l’arbitro della “terza via” non sia ammissibile, e che la decisione di una que­stione rilevabile d’ufficio, e rilevata dagli arbitri in camera di consiglio, non discussa fra le parti precedentemente e non sottoposta alla loro discussione, nelle forme più semplici, mediante riconvocazione delle parti, possa viziare di nullità il lodo» [22]. Negli anni successivi il processo ordinario di cognizione si è progressivamente allineato. Ma le norme, «prassi vitale degli uomini» [23], postulano continui affinamenti, e il divieto della decisione della terza via appare ancora suscettibile di implementazioni a tutela delle parti del giudizio, sia esso pubblico o privato.  


NOTE