Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Azioni di massa e arbitrato (di Luca Boggio)


Il Collegio arbitrale ha risolto in senso negativo la questione in ordine alla sussistenza del proprio potere di decidere una controversia avente per oggetto la revocatoria fallimentare di un atto del debitore. Gli arbitri hanno escluso che costituisse ostacolo insuperabile il disposto dell’art. 24 legge fall. che sanciva la competenza del tribunale di apertura del fallimento in caso di azioni che da questo derivassero. Hanno, invece, accolto l’argomento fondato sul ruolo di terzo assegnato al curatore che eserciti la predetta azione. Nel commento si sottolinea che, anche alla luce della disciplina contenuta nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il ruolo di terzo potrebbe non essere decisivo in caso di clausola arbitrale sufficientemente ampia, poiché il carattere collettivo dell’azione non esclude l’adesione successiva del curatore alla convenzione d’arbitrato.

Parole chiave: Insolvenza, Azioni di massa, Revocatorie fallimentari, Curatore, Terzietà, Arbitrabilità.

Mass actions and arbitration

The Arbitral Tribunal denied its power to rule on the case concerning the avoidance action taken by the insolvency trustee. The arbitrators excluded that Art. 24 of the (former) Bankruptcy Law, establishing the extension of insolvency court jurisdiction over all the action deriving from the insolvency proceeding, should be judged a hindrance to their jurisdiction. Nevertheless, they accepted the argument based on the third-party role of the insolvency trustee, while carrying on avoidance actions on behalf of the creditors. The comment underlines – also according to the (new) Crisis and Insolvency Code – that third-party role of insolvency trustee may not be the deciding factor when the arbitration clause is broad enough, because the collective nature of the actions doesn’t exclude the a posteriori agreement to arbitration by the insolvency trustee.

Keywords: Insolvency, Collective actions, Avoidance actions, Insolvency Trustee, Third-party, Arbitrability.

MASSIME: La previsione di inderogabilità della competenza contenuta nell’art. 24 legge fall. non comporta il divieto di compromettere per arbitri, avendo le norme sulla competenza la funzione di individuare il giudice, senza toccare il problema dei limiti della compromettibilità. (1) L’azione revocatoria fallimentare proposta dal curatore, in quanto volta a tutelare la massa dei creditori e in quanto con essa si fa valere una pretesa che a essi spetta e in nessun modo sarebbe potuta spettare al fallito, non può essere governata da una clausola compromissoria da questo stipulata con l’atto di cui si chiede la revoca. (2) PROVVEDIMENTO (1-2): [Omissis] Il Collegio arbitrale viste le clausole compromissorie rispettivamente contenute negli artt. 9.2 e 9.3 del contratto di cessione del ramo di azienda della ABC relativo alla prestazione di servizi di Information technology del 29 settembre 2017 e negli artt. 17.1-17.4 del relativo contratto preliminare dell’11 agosto 2017, che in appresso si trascrivono: – “9.2 Qualsiasi controversia tra le parti scaturente da o comunque connessa con il presente contratto e la sua interpretazione (compresa qualsiasi questione inerente alla validità ed azionabilità della presente clausola arbitrale), verrà sottoposta ad un collegio arbitrale composto di tre arbitri, nominati secondo quanto previsto ai successivi paragrafi. 9.3 La parte che intende attivare la procedura arbitrale dovrà, contestualmente, nominare il proprio arbitro e informare di tanto l’altra parte, fornendo tutti i dettagli relativi alla controversia demandata alla procedura arbitrale. L’altra parte dovrà, entro 20 giorni lavorativi dalla comunicazione di cui al procedente capoverso, nominare a sua volta il proprio arbitro. In caso di mancata nomina del predetto termine, il secondo arbitro sarà nominato dal Presidente della Corte di Appello di Roma, a tanto sollecitato dal primo arbitro nominato. I due arbitri così nominati dovranno nominare, di comune accordo, il terzo arbitro che svolgerà le funzioni di Presidente del collegio arbitrale. In ogni caso di mancato accordo circa la nomina del Presidente entro 20 giorni lavorativi dalla nomina del secondo arbitro, il Presidente del Collegio arbitrale sarà nominato dal Presidente della Corte di Appello di Roma. Il collegio arbitrale deciderà la controversia applicando la legge italiana e la sua decisione sarà vincolante per le Parti. La sede dell’arbitrato sarà a Roma e la sua lingua sarà l’italiano”. – “17. Senza pregiudizio per i procedimenti di arbitraggio previsti nei Paragrafi 9.2 (con riferimento alla determinazione dell’Earn Out), da 8.5. a 8.9 (con riferimento alla determinazione del prezzo d’acquisto definitivo) e12.5 e 12.7 (con riferimento agli obblighi di indennizzo), qualsiasi [continua..]
SOMMARIO:

1. La lite oggetto di arbitrato e le due clausole compromissorie - 2. L'eccezione d’incompetenza arbitrale - 3. Il quadro legale di riferimento: la legge fallimentare - 4. Segue: il c.c.i.i. - 5. Le azioni revocatorie promosse dinanzi ad arbitri: problemi di ruolo del curatore e funzionalità della procedura d'insolvenza - 6. L’eccezione “contro” l’arbitrato in materia di azioni revocatorie: l’accantonamento dell’argomento ex art. 24 legge fall. - 7. L’eccezione “contro” l’arbitrato in materia di azioni revocatorie: l’argomento “strutturale” utilizzato dal collegio arbitrale - 8. L’eccezione “contro” l’arbitrato avente per oggetto l’azione revocatoria concretamente promossa dinanzi al collegio - 9. Qualche notarella in merito alla rilevanza della terzietà del curatore e della funzione della procedura concorsuale rispetto all’arbitrabilità e al ricorso in concreto all’arbitrato in caso di esercizio dell’azione revocatoria - 10. Segue: un ultimo cenno critico rispetto alla giurisprudenza in tema di non-arbitrabilità dell’azione di responsabilità in sede concorsuale - NOTE


1. La lite oggetto di arbitrato e le due clausole compromissorie

L’autorevole collegio arbitrale era stato richiesto di risolvere la questione – sollevata in via di eccezione dalla parte in bonis – in ordine alla competenza arbitrale a risolvere una controversia caratterizzata da una domanda principale di revocatoria fallimentare di cessione di ramo aziendale quale atto anormale ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 1, legge fall. (oggi art. 166, comma 1, n. 1, c.c.i.i.), in quanto, secondo il curatore fallimentare, riconducibile alla fattispecie degli «atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso», e di una domanda subordinata di adempimento di obbligazioni contrattualmente assunte con il contratto relativo alla predetta cessione d’azienda, attuativo, peraltro, di un precedente contratto preliminare. Ambedue i contratti, preliminare e definitivo, contenevano ciascuno una propria clausola arbitrale, ma senza sostanziali differenze sul piano dei limiti soggettivi e oggettivi dell’accordo compromissorio, che si estendeva a «qualsiasi controversia scaturente da o comunque connessa con il presente contratto e la sua interpretazione (compresa qualsiasi questione inerente la validità ed azionabilità della presente clausola arbitrale)».


2. L'eccezione d’incompetenza arbitrale

Non avendo la convenuta in bonis sollevato eccezioni con riferimento alla ricomprensione della domanda subordinata di adempimento contrattuale nei limiti soggettivi ed oggettivi tracciati dalle due clausole arbitrali, gli arbitri hanno giustamente affrontato il problema di competenza sulla domanda principale e, una volta deciso il difetto di questa, hanno pronunciato un lodo parziale di incompetenza, riservando a separata ordinanza le determinazioni in ordine alla prosecuzione del giudizio arbitrale quanto alla domanda subordinata. Come ritenuto dal collegio, la questione d’incompetenza, peraltro indicata come “questione esclusivamente di diritto”, si prestava ad essere risolta in limine litis, senza istruttoria. Essa, infatti, si estrinsecava sotto tre distinti profili: a) quello del rapporto tra la competenza arbitrale e la cd. vis attractiva del foro fallimentare rispetto alle controversie derivanti dal fallimento; b) quello della portata della duplicità di posizione del curatore fallimentare rispetto ai limiti soggettivi ed oggettivi delle clausole compromissorie contenute nei due contratti più sopra menzionati; c) quello dell’estraneità della controversia derivante dall’esercizio dell’azione revocatoria rispetto ai limiti soggettivi ed oggettivi della convenzione d’arbitrato. Tutti e tre i profili, è utile che sia sin d’ora chiarito, si sarebbero posti negli stessi termini nella ormai sopravvenuta vigenza del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (c.c.i.i.) – entrato in vigore il 15 luglio 2022 – posto che la formulazione letterale delle disposizioni di legge rilevanti non è mutata [1]. Ma sul punto si ritorna più oltre in termini maggiormente analitici.


3. Il quadro legale di riferimento: la legge fallimentare

I due profili di problematicità della proposizione dell’azione revocatoria fallimentare in sede arbitrale si debbono confrontare con un quadro che comprendeva, prima dell’entrata in vigore del c.c.i.i., gli artt. 24, 25 (comma 1, n. 7), 35 (comma 1) e art. 83-bis legge fall. volti a disciplinare sia la rimessione ad arbitri non ancora nominati che la possibilità di prosecuzione di un procedimento arbitrale eventualmente già pendente. Dall’art. 35 era sancita la necessità di autorizzazione se il curatore intendesse stipulare una convenzione d’arbitrato, trattandosi di un atto di disposizione di diritti inclusi nel fallimento, e ciò a pena di inefficacia [2]. Allorché, poi, una convenzione d’arbitrato fosse vincolante per gli organi della procedura fallimentare, al giudice delegato era rimessa ai sensi dell’art. 25 la designazione dell’arbitro o degli arbitri la cui nomina fosse di competenza del fallimento. Qualora, invece, il procedimento arbitrale avesse già avuto inizio prima dell’apertura del fallimento, salvo che ne fossero oggetto accertamenti e/o domande di condanna da far valere nell’ambito della procedura concorsuale, il proseguimento del procedimento arbitrale pendente avrebbe potuto essere impedito – per effetto dell’applica­zione degli artt. 72 ss. – soltanto dallo scioglimento del contratto contenente la relativa clausola compromissoria [3]. Infine, sebbene l’art. 24 sancisse la cd. vis attractiva del foro fallimentare, questa non si estendeva, secondo l’interpre­tazione prevalente [4], oltre le questioni di competenza territoriale tra giudici ordinari senza possibilità di incidere anche sugli effetti delle convenzioni arbitrali esistenti alla data di apertura della procedura fallimentare, dovendosi ricondurre piuttosto al principio di esclusività dell’accertamento endofallimentare sancito dall’art. 52 la preclusione all’inizio o alla prosecuzione di un procedimento arbitrale eventualmente già instaurato [5]; dunque, la preclusione valeva nei limiti di applicabilità dell’art. 52 cit. [6]. In sintesi, la risoluzione di controversie per via di arbitrato nel vigore della legge fallimentare era possibile e, per quanto emergente dalle norme, l’esperimento dell’arbitrato s’imponeva nei casi in cui, in presenza della [continua ..]


4. Segue: il c.c.i.i.

Il quadro normativo, mutato nella forma, non appare innovato sul piano materiale. Infatti, oggi, le disposizioni poc’anzi citate sono rispettivamente replicate – e non solo sostanzialmente – negli artt. 32, 123, 132 e 192 c.c.i.i.; ad esse il legislatore della riforma della disciplina dell’insolvenza ha aggiunto soltanto due nuove disposizioni contenute nell’art. 32, comma 2, che disciplina l’attività del giudice, allorché ravvisi la propria incompetenza [10], e nell’art. 53, comma 2 – quest’ultima, peraltro, definita “di scarsa rilevanza” [11] – che autorizza il debitore alla stipulazione di “patti compromissori”, quando la sentenza di revoca della liquidazione giudiziale non sia ancora passata in giudicato. Questo significa che, in linea di principio, le conclusioni alle quali si poteva pervenire sotto l’impero della disciplina previgente, dovrebbero rimanere ferme anche alla luce del c.c.i.i. Ma sul punto si ritorna nel penultimo paragrafo.


5. Le azioni revocatorie promosse dinanzi ad arbitri: problemi di ruolo del curatore e funzionalità della procedura d'insolvenza

Trattandosi di pretesa del curatore del fallimento fondata sull’azione revocatoria fallimentare, ad agire era stato quest’ultimo e il problema della proposizione della lite in sede arbitrale era stato sollevato dall’accipiens. Gli arbitri sono, perciò, stati chiamati a pronunciarsi sul rapporto tra essi stessi e la giustizia ordinaria in via di eccezione, a fronte della scelta dell’organo della procedura di non ricorrere al giudice, ma di sfruttare la previsione di arbitrato contenuta nel contratto nel quadro della cui esecuzione sarebbe stato compiuto l’atto revocabile. In sostanza, il curatore non ha disconosciuto gli effetti della convenzione di arbitrato nei confronti della massa, ma cercato di farli propri. Nella vicenda v’è una sorta di paradosso. Il gioco delle parti ha condotto chi aveva sottoscritto il contratto contenente la convenzione d’arbitrato a cercar di sottrarsi agli effetti della medesima e chi, all’opposto, era estraneo a quel contratto e agiva proprio respingerne taluni effetti ad invocare l’applica­bilità della clausola arbitrale nello stesso inclusa. Il tema è strutturale e di estremo interesse perché concerne innanzi tutto il duplice ruolo assegnato al curatore – prima dalla legge fallimentare ed oggi dal c.c.i.i. – con riferimento alle posizioni giuridiche d’interesse per la massa: l’organo della procedura, da un lato, si sostituisce al debitore nell’ammini­strazione dei suoi beni (nonché nell’esercizio delle azioni a quest’ultimo spettanti) e, dall’altro, rappresenta gli interessi collettivi dei creditori nella misura e secondo le modalità previste dalla disciplina concorsuale. Ma non solo. Pure la funzione della procedura d’insolvenza non è neutra rispetto alla soluzione arbitrale della controversia in materia di revocatoria fallimentare, che è strutturata, senza dubbio, in funzione del perseguimento di finalità redistributive, cioè di equilibrio adeguato tra i creditori, oltre che di massimizzazione dei riparti a favore di essi. Il collegio arbitrale ha affrontato la più generale questione strutturale, dopo aver escluso la rilevanza decisiva del disposto dell’art. 24 legge fall. (il cui testo è oggi trasfuso nell’art. 32 c.c.i.i.) e poi ha chiuso il lodo spendendo qualche osservazione in ordine [continua ..]


6. L’eccezione “contro” l’arbitrato in materia di azioni revocatorie: l’accantonamento dell’argomento ex art. 24 legge fall.

Il primo argomento speso dalla difesa del convenuto per opporsi alla decisione per via arbitrale sull’azione revocatoria fallimentare ha imposto al collegio di affrontare la questione dell’ampiezza della vis attractiva del foro concorsuale. Richiamando in particolare una decisione della Corte di Cassazione in materia di rilevanza dell’inderogabilità della competenza del giudice sancita dal cod. nav. [12], gli arbitri hanno chiarito che la previsione di detto foro concorsuale, pur esso inderogabile, non incide sul potere di risoluzione per via arbitrale delle liti in cui sia parte il curatore del fallimento. D’altronde, proprio la sentenza richiamata, sancì che «la inderogabilità delle norme sulla competenza non può (…) ricondursi al principio che esclude la arbitrabilità delle controversie che non possono essere oggetto di transazione dato che, come, del resto concordemente affermato anche dalla dottrina, l’inderogabilità della competenza non implica assoluta indisponibilità delle situazioni soggettive sostanziali»; inoltre, proseguì, «l’arbitrato, in quanto forma di tutela alternativa alla giurisdizione, ancorché ad essa non assimilabile siccome legata ad investitura negoziale, intercetta il conflitto collocandosi a monte della ordinaria tutela giudiziaria ed al di fuori, quindi, delle regole, derogabili o inderogabili, del processo ordinario che, proprio a causa dell’arbitrato, è appunto mancato». Essendo chiaro l’orientamento secondo il quale la vis attractiva prevista dall’art. 24 deroga esclusivamente le norme ordinarie di competenza al fine di tutelare la par condicio propria delle procedure concorsuali [13], il precetto contenuto in quella disposizione è irrilevante sul piano dell’ammissibilità dell’ar­bitrato perché appunto regola il solo riparto di competenza tra i giudici dello Stato senza incidere sul piano della formazione della volontà degli organi della procedura concorsuale in merito alla gestione dei diritti disponibili [14]. Dunque, la previsione di un foro inderogabile per le controversie generate dal­l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari (così come per ogni altra azione derivante dal fallimento) non incide negativamente sulla possibilità di risolvere le stesse per via d’arbitrato e [continua ..]


7. L’eccezione “contro” l’arbitrato in materia di azioni revocatorie: l’argomento “strutturale” utilizzato dal collegio arbitrale

Il lodo in rassegna esclude l’arbitrabilità delle controversie derivanti dal­l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari in ragione della terzietà del curatore rispetto alle parti dell’atto revocando e, sembrerebbe, rafforza tale approdo nel caso di specie rifacendosi anche al testo – e, cioè, ai limiti soggettivi ed oggettivi – della convenzione di arbitrato. La soluzione negativa in ordine alla competenza arbitrale è da condividersi, ma merita qualche chiosa come si cercherà di spiegare più oltre. Il profilo della terzietà del curatore è senza dubbio centrale nel contesto della ratio decidendi. Secondo il collegio, la finalizzazione dell’azione alla dichiarazione di inopponibilità ai creditori dell’atto compiuto dalle parti rende la prima incompatibile con la risoluzione arbitrale della relativa controversia. Gli arbitri prospettano la soluzione in comparazione con la struttura relazionale caratteristica dell’azione revocatoria ordinaria: come “non avrebbe senso, in termini concreti, ritener[e il creditore] vincolato da una clausola compromissoria stipulata dal debitore riguardo all’atto di cui si chiede la revoca”, perché il singolo creditore è terzo rispetto a debitore ed accipiens, parimenti deve dirsi del curatore che riveste sì un duplice ruolo, ma, nella duplicità, può porsi anch’egli come terzo rispetto al debitore ed all’accipiens. L’argomento non è nuovo, ma è certamente riproposto in modo più puntuale, lineare ed articolato nelle basi normative [15]. Il ruolo di terzo rivestito dal curatore emerge in almeno un paio di situazioni regolate dalla legge fallimentare: rispetto alle iscrizioni pregiudizievoli successive all’apertura della procedura (art. 45); quando eserciti nei confronti dei membri degli organi sociali l’azione di responsabilità in sostituzione dei creditori della società (art. 146) [16]. Si tratta di situazioni unificabili, secondo il collegio, nell’insieme delle azioni “di massa”, al quale dovrebbero ricondursi anche le azioni revocatorie fallimentari [17]. Ai termini di questo ragionamento v’è ben poco da aggiungere, perché si fonda su una concezione della figura del curatore senza dubbio consolidata sulla base dell’assetto normativo [continua ..]


8. L’eccezione “contro” l’arbitrato avente per oggetto l’azione revocatoria concretamente promossa dinanzi al collegio

Come anticipato, gli arbitri si soffermano infine anche sulla formulazione della convenzione d’arbitrato, osservando che la stessa si estende – ma è, quindi, anche limitata – a “qualunque controversia fra le parti scaturente da o comunque connessa con il contratto” nel quadro della cui esecuzione sarebbe stato compiuto l’atto revocando. In concreto, escludono che l’azione revocatoria proposta sia suscettibile di essere ricondotta all’ambito applicativo di una siffatta convenzione sia sotto il profilo dei soggetti che dell’oggetto: il curatore, quale sostituto dei creditori, non sarebbe “parte”; la controversia in materia di revocatoria fallimentare non sarebbe “connessa con il contratto”, ma avrebbe quest’ultimo ad “oggetto” scaturendo, invece, dal fallimento. Mentre sul piano soggettivo sembra che nulla possa osservarsi quanto alla volontà manifestata dai redattori della convenzione d’arbitrato, più sfumata avrebbe potuto essere la posizione relativamente all’espressione utilizzata per fissare il limite oggettivo di detta convenzione. Chiaro che nell’economia della motivazione il passo al quale da ultimo s’è fatto riferimento non riveste valore decisivo e che, pertanto, il ragionamento è qui svolto nella prospettiva di altri casi futuri, onde tracciare un più compiuto panorama dei fattori in gioco. Quella dell’individuazione dei limiti oggettivi è di certo una quaestio voluntatis – come sempre è rispetto alle clausole contrattuali, ivi comprese quelle compromissorie – che dovrebbe tenere opportunamente conto non solo della precisione (o meno) delle espressioni letterali, ma anche del contesto, degli scopi e del favor sotteso all’art. 808-quater c.p.c. Tutti fattori che dovrebbero essere calati sul terreno delle azioni revocatorie e del loro concreto esercizio; il che significa anche tenere conto dell’articolazione delle domande sottoposte al giudice o all’arbitro, nonché anche della posizione sostanziale e processuale di chi sollevi eccezioni in ordine al potere decisionale dei primi. In altre parole, non si può dare per scontato che, scrivendo la convenzione d’arbitrato, le parti non traccino un perimetro effettivo di applicazione suscettibile di includere anche le azioni revocatorie; neppure, può escludersi che le [continua ..]


9. Qualche notarella in merito alla rilevanza della terzietà del curatore e della funzione della procedura concorsuale rispetto all’arbitrabilità e al ricorso in concreto all’arbitrato in caso di esercizio dell’azione revocatoria

Il collegio adito ha risolto in senso negativo per il curatore il dubbio sulla possibilità di ricorrere all’arbitrato sia in linea generale che in ragione della formulazione della specifica convenzione stipulata. Nel commentare la decisione non ci si può esimere dal chiedersi se, nonostante clausole con limiti soggettivi ed oggettivi adeguatamente ampi, sia comunque corretta la conclusione nel senso dell’incompromettibilità della controversia in ragione della natura “di massa” dell’azione proposta. In altre parole, il curatore non si presenta come terzo, quando si sostituisce al debitore, ma, quando agisca per i creditori, la terzietà è veramente un ostacolo insormontabile alla via arbitrale per decidere un’azione di massa qual è la revocatoria concorsuale? Nell’arbitrato al quale il lodo in commento si riferisce, l’eccezione d’inef­ficacia dell’accordo compromissorio, è bene ricordare, era stata sollevata dalla parte convenuta in bonis e non dal curatore, invocando quest’ultimo la propria terzietà in veste di sostituto (della massa) dei creditori. La differenza non è trascurabile, se si considerano ruolo del curatore e funzione della procedura d’insolvenza. La domanda poc’anzi posta può, perciò, essere riformulata e specificata, chiedendosi se il carattere relativo dell’inefficacia degli atti compiuti dal debitore prima dell’apertura della procedura possa consentire al curatore, sostanzialmente omettendo di far valere l’inopponibilità, di “sfruttare” gli effetti di detti atti senza che il terzo in bonis possa opporvisi e di invocare la convenzione di arbitrato stipulata dal debitore prima dell’apertura della procedura [19]. Il ragionamento riferito al caso di specie, quindi soggetto alla legge fallimentare, può essere parimenti riproposto in ipotesi ricadenti sotto l’impero del c.c.i.i., ragion per cui mantiene piena attualità nel pur mutato contesto normativo. Presupposto di tutto ciò è che l’oggetto della controversia scaturita dall’e­sercizio dell’azione revocatoria siano diritti disponibili. E, sotto questo profilo, le citate norme in materia di autorizzazione alla sottoscrizione di compromessi ed alla nomina di arbitri non solo non pongono nuovi e specifici limiti di [continua ..]


10. Segue: un ultimo cenno critico rispetto alla giurisprudenza in tema di non-arbitrabilità dell’azione di responsabilità in sede concorsuale

Una chiosa meritano le azioni di responsabilità che sono considerate azioni di massa volte alla ricostituzione del patrimonio del debitore nell’interesse dei creditori e che, perciò, condividono talune regole con le azioni revocatorie [33]. A differenza di queste ultime, per le azioni di responsabilità, vale l’osser­vazione che il curatore riveste il duplice ruolo – di sostituto del debitore e di rappresentante della massa dei creditori – ed è tenuto ad esercitare i poteri attribuitigli in funzione del perseguimento di tutti gli interessi coinvolti, ivi compreso quello del debitore stesso. Agendo in quei due ruoli in funzione di realizzare tutti gli interessi coinvolti (seppur “gerarchizzati”) [34], si è posto il problema di stabilire se soggiaccia ai vincoli che gravano sul debitore prima dell’apertura del concorso oppure se faccia valere posizioni qualificabili come autonome perché dirette alla ricostituzione e alla redistribuzione della massa attiva. La giurisprudenza di legittimità ha per ora sancito la non-compromettibilità delle azioni di responsabilità contro i membri degli organi sociali promosse ai sensi dell’art. 146 legge fall. (oggi, art. 255 c.c.i.i.), perché l’azione sociale e quella dei creditori sociali, esercitate cumulativamente dal curatore, non sarebbero scindibili ed il curatore sarebbe da intendersi terzo in quanto rappresentante dei creditori sociali [35]; dunque, nel duplice ruolo prevarrebbe que­st’ultima posizione alla quale corrisponderebbe “un diritto non ricompreso nel patto compromissorio” [36]. Probabilmente, l’orientamento sarebbe meritevole di revisione onde evitare le contraddizioni emerse in ordine alla inscindibilità dell’esercizio dell’azione sociale e di quella dei creditori sociali da parte del curatore [37] e consentendo a quest’ultimo di scegliere se avvalersi o meno di clausole arbitrali statutarie sufficientemente ampie da includere tutte le azioni contro i predetti componenti degli organi societari; ciò, peraltro, non sembrerebbe in contrasto con l’idea della Cassazione da ultimo ripresa [38], perché il problema non sembrerebbe doversi porre in termini di inconciliabilità tra azione dei creditori esercitata dal curatore e arbitrato, ma come quaestio facti da risolversi sulla [continua ..]


NOTE