Il d.l. Ristori prevede (art. 23, comma 10) l’estensione all’arbitrato rituale, in quanto compatibile, sia del medesimo art. 23, sia dell’art. 221 del decreto Rilancio (d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 luglio 2020, n. 77). L’estensione all’arbitrato rituale rischia tuttavia di creare grave pregiudizio alle procedure arbitrali in quanto – invece che agevolarne lo svolgimento – appesantisce o ingessa l’operato degli arbitri che godono già di molte delle facoltà che il decreto concede oggi al giudice civile.
Art. 23, paragraph 10 of the “Ristori” Decree provides for the extension to ritual arbitration of both art. 23 and art. 221 of the “Rilancio” Decree, but the extension risks creating serious damages to the arbitration procedures because – instead of facilitating arbitration – it makes harder the work of the arbitrators who already enjoy many of the powers that the decree grants to the civil judge today.
1. La legislazione emergenziale e l’arbitrato - 2. Il decreto “Ristori” e la ratio delle nuove disposizioni del “pacchetto giustizia” - 3. L’udienza scritta (art. 221, comma 4, del decreto Rilancio) - 4. La partecipazione a distanza ad udienza fisica e l’udienza a distanza (art. 221, commi 6 e 7 del decreto Rilancio) - 5. Segue. L’udienza in presenza è un diritto individuale o una norma di ordine pubblico processuale? Il caso G. inc. (OGH, 23 luglio 2020, n. 18 ONc 3/20s) - 6. Le altre disposizioni (apparentemente) applicabili all’arbitrato. Qualche precisazione - 7. Conclusioni e proposte per il legislatore - NOTE
All’alba della pandemia, fra i molti e del tutto nuovi problemi che il Paese si era trovato ad affrontare, quello di assicurare che il funzionamento della macchina della giustizia non venisse (troppo) pregiudicato dai provvedimenti limitativi delle libertà personali era stato gestito in uno dei primi decreti emergenziali (il decreto “Cura Italia”) con due ordini di misure: da un lato una generalizzata sospensione dei termini processuali ed un rinvio d’ufficio delle udienze (salvo casi eccezionali), con l’effetto concreto di “congelare” temporaneamente tutte le attività giudiziarie nel periodo di lockdown (art. 83, commi 1-4, d.l. 17 marzo 2020, n. 18); dall’altro la possibilità, rimessa nella sua concretizzazione ai capi degli uffici giudiziari, di adottare per un periodo successivo di durata variabile fra il 30 giugno e il 31 luglio protocolli organizzativi di svolgimento delle attività che usualmente implicano interazioni sociali (accessi in cancelleria, udienze, etc.) secondo regole di sicurezza e distanziamento, fra le quali anche la possibilità di svolgimento “a distanza” di talune udienze mediante collegamenti audio/video (art. 83, commi 6 ss.). Dal citato intervento normativo era rimasto escluso l’arbitrato, anche se non si dubitava che larga parte di quelle misure vi fossero applicabili per analogia, trattandosi comunque di uno strumento di risoluzione delle controversie – benché di matrice privatistica, alternativo e non equiparabile al processo statale – di pari dignità e meritevole di equivalente protezione nel quadro delle misure solidaristiche finalizzate ad assicurare l’efficienza della giustizia [1]: alla lacuna pose parzialmente rimedio la legge di conversione (l. 27/2020) estendendo all’arbitrato rituale tutte le disposizioni dell’art. 83 «in quanto compatibili» (comma 21). La scelta di ricorrere a questa “tecnica normativa” era comprensibile nel contesto di assoluta eccezionalità ed imprevedibilità dell’evento pandemico che stava imperversando, ma prestava il fianco a qualche critica nella misura in cui obliava l’esistenza di aspetti del regime arbitrale che – non trovando un “dirimpettaio” nel processo civile – l’ombrello della “compatibilità” riusciva a stento a coprire. Per fare un solo [continua ..]
La recrudescenza dell’evento pandemico a cui abbiamo assistito dal principio dell’autunno ha imposto nuovi interventi che – è la sensazione più diffusa – parrebbero far presagire una nuova progressione nelle misure di distanziamento e limitazione di attività sociali; con apprezzabile tempestività il governo ha dettato – nel corpo del decreto dedicato alle misure economiche di sostegno per le categorie imprenditoriali e lavoratori danneggiati da questi nuovi provvedimenti (decreto Ristori: d.l. 137/2020) – un pacchetto di ulteriori misure per il sistema giustizia che interessano anche l’arbitrato rituale, ricorrendo purtroppo di nuovo alla clausola della “compatibilità”, e questa volta con effetti che mi sembrano assai più perniciosi. Il comma 10 dell’art. 23 del decreto Ristori non si limita infatti ad estendere all’arbitrato le sole misure del nuovo provvedimento (tutto sommato “innocue” per l’arbitrato, come dirò) ma “recupera” anche quelle del già citato art. 221 del decreto Rilancio alcune delle quali, se ritenute compatibili e applicate sic et simpliciter all’arbitrato, determinerebbero – con una indesiderata eterogenesi dei fini – esiti diametralmente opposti agli obiettivi perseguiti dal legislatore di introdurre «strumenti processuali che consentano, per quanto è possibile, un esercizio della giurisdizione senza rischi per tutti gli operatori interessati» [7]. Mi riferisco, in particolare, alle disposizioni del comma 4, del comma 6 e soprattutto del comma 7 dell’art. 221 mercé i quali si interviene sulla dinamica di celebrazione delle udienze: non sono le uniche disposizioni fra quelle dell’art. 221 ad interessare l’arbitrato, ma sono certamente quelle che destano la maggiore preoccupazione, e dunque mi pare opportuno iniziare da queste, riservando qualche considerazione finale sulle altre. Occorre però svolgere una riflessione preliminare utile ad orientare quella che a mio avviso – se non vi fosse una repentina e radicale correzione di rotta del legislatore in sede di conversione del decreto – dovrebbe essere la via ermeneutica da privilegiare. Fil rouge di questo come dei precedenti provvedimenti emergenziali sulla giustizia – ho ricordato le parole della relazione illustrativa al decreto Ristori [continua ..]
Consideriamo innanzitutto il comma 4, che consente al giudice di «disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni». La norma prevede poi che la comunicazione della sostituzione dell’udienza con il deposito delle note scritte sia trasmessa almeno trenta giorni prima della data fissata per l’udienza e che le parti dispongono di un termine fino a cinque giorni prima di questa per il deposito delle note scritte. Ciascuna delle parti ha però diritto di chiedere la trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento e il giudice deve provvedere nei successivi cinque giorni necessariamente ripristinando l’udienza posto che non mi pare che – giusta il tenore della norma – questi possa rifiutarsi; non è però da escludere che a quel punto la controparte possa chiedere di partecipare a distanza ai sensi del comma 6; oppure che entrambe le parti formulino istanza congiunta per udienza a distanza in base al comma 7. La norma infine dispone che «se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell’articolo 181 del codice di procedura civile», vale a dire fissa una nuova udienza (oppure, mi sentirei di affermare, concede un nuovo termine per note scritte) e se neppure in questa occasione nessun compare ovvero deposita le note scritte, dichiara l’estinzione del procedimento. Al lume di quanto abbiamo poco sopra osservato in ordine al criterio con il quale condurre il giudizio di compatibilità, sarei tentato di concludere che l’arbitrato non ha “bisogno” di questo comma, poiché già in base alle ordinarie regole codicistiche (il già citato art. 816 bis) è ammissibile il ricorso a forme di trattazione scritta sostitutive dell’udienza, sicché la nuova norma non sembrerebbe in grado di offrire alcun “valore aggiunto” all’attività processuale arbitrale. Anzi, potrei forse osservare che una stretta applicazione del comma 4 potrebbe fin pregiudicare l’arbitrato considerato che i termini che imporrebbe all’organo arbitrale per comunicare la modalità alternativa (trenta giorni prima dell’udienza) potrebbero facilmente confliggere con [continua ..]
Le riflessioni che ho sviluppato sul comma 4 possono essere in qualche misura utilmente invocate anche in riferimento ai commi 6 e 7 dell’art. 221, il cui minimo comune denominatore è sempre l’ampliamento degli strumenti di cui il magistrato può disporre per consentire che la macchina della giustizia non si arresti. Il comma 6 consente che la partecipazione all’udienza di «una o più parti o di uno o più difensori» avvenga, «su istanza dell’interessato, mediante collegamenti audiovisivi a distanza, individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia [13]». Prosegue la norma specificando alcune regole procedurali (deposito dell’istanza almeno quindici giorni prima della data dell’udienza; comunicazione alle parti dell’istanza, dell’ora e delle modalità del collegamento almeno cinque giorni prima dell’udienza), imponendo che la parte si colleghi dalla medesima postazione dalla quale si collega il difensore. Il comma 7, invece, consente al giudice, «con il consenso preventivo delle parti» di disporre che l’udienza «si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia». Questa modalità è tuttavia limitata alle sole udienze che non richiedano «la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, anche se finalizzat[e] all’assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione» (quindi, per dirla in modo spiccio, non per le udienze di escussione testi), ed è prescritto che il giudice comunichi giorno, ora e modalità del collegamento [14]. In entrambi i casi l’udienza deve svolgersi «con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti» e bisogna verbalizzare le modalità con cui il giudice accerta l’identità dei soggetti partecipanti a distanza e, ove si tratta delle parti, la loro libera volontà, e tutte le ulteriori operazioni svolte. Mi scuserà il lettore se indugio su alcune considerazioni generali prima di trattare del tema della compatibilità con l’arbitrato ma la [continua ..]
La previsione del comma 7 si presta a molte considerazioni. Da un lato, si potrebbe pensare che l’esigenza alla base della necessità che le parti concordino con la decisione di svolgimento a distanza sia – come per la trattazione scritta – di evitare che il magistrato abusi di questa facoltà quando non ricorrano effettive esigenze che possano giustificare la compressione del diritto di difesa e del contraddittorio che certamente si esplica con maggiore pienezza e totalità in presenza; forse però sarebbe stato sufficiente prevedere come nel comma 4 che almeno una parte potesse opporsi, e non che entrambe debbano concordare – cosa che peraltro rende problematico capire la procedura di manifestazione di questo consenso che si sarebbe potuta evitare a vantaggio di una maggiore speditezza e semplicità. Dall’altro lato, tuttavia, è doveroso domandarsi se il comma qui in esame non sottenda all’esistenza di un superiore e generale diritto individuale della parte (ovvero di un principio di ordine pubblico processuale) allo svolgimento dell’udienza in presenza, la cui operatività anche in arbitrato si potrebbe allora difficilmente contestare. Le disposizioni codicistiche non autorizzano a pensarlo, né ritengo che il diritto inviolabile alla difesa (art. 24 Cost.) e i principi del giusto processo, del contraddittorio e della parità delle armi (art. 111 Cost.), operanti anche rispetto all’arbitrato, possano considerarsi astrattamente lesi dall’eventualità che parti e giudice dialoghino a distanza, occorrendo piuttosto verificare in concreto se, per le modalità adottate, le condizioni del collegamento, la situazione in cui versino le parti o altre circostanze, possa reputarsi pregiudicata la libera, consapevole e piena partecipazione all’attività di udienza. A conforto di queste considerazioni segnalo anche un recente arresto del 23 luglio 2020 – il primo a quanto consta a livello internazionale – reso in forza dei §§ 589, Abs. 3, 615 e 616 Zivilprozessordnung (ZPO) [19] dalla Suprema Corte austriaca (caso 18 ONc 3/20s) che in una procedura arbitrale in corso durante la pandemia ha ritenuto legittima la decisione degli arbitri di non rinviare ma di celebrare a distanza l’udienza di escussione testi nonostante il dissenso espresso da una delle parti, escludendo esplicitamente l’esistenza [continua ..]
Giova a questo punto completare l’esame delle disposizioni degli artt. 221 del decreto Rilancio e 23 del decreto Ristori di cui si debba vagliare la compatibilità con l’arbitrato. Quanto all’art. 221, potremmo domandarci se assuma qualche rilievo il comma 8 che consente al giudice di disporre il giuramento del CTU in forma scritta. Ritengo che la risposta debba essere negativa per la ragione assorbente che l’incarico di CTU in arbitrato rituale ha carattere comunque privato e non prevede che vi sia alcun giuramento. Quanto all’art. 23, qualche interesse suscita il comma 9 che autorizza lo svolgimento a distanza della camera di consiglio utilizzando le piattaforme individuate e regolate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (primo periodo) e qualifica «camera di consiglio» agli effetti di legge il luogo da cui si collega il magistrato (secondo periodo). Quest’ultima disposizione non è certamente compatibile con l’arbitrato, tenuto conto che non è prevista una «camera di consiglio» per la deliberazione del lodo; quanto al primo periodo, l’art. 823 già consente che il lodo sia deciso senza una riunione fisica fra gli arbitri (la c.d. «conferenza personale»), sicché anche questa disposizione non è effettivamente necessaria, sempre senza considerare che se si ritenesse obbligatorio anche per gli arbitri il ricorso alle infrastrutture telematiche indicate nel provvedimento del DGSIA del 21 maggio 2020 si imporrebbe un’ingiustificata limitazione alla libertà degli arbitri di utilizzare altre piattaforme che assicurino equivalenti possibilità di collegamento ed equivalenti standard di sicurezza. Mi sembra utile infine segnalare la persistente operatività del comma 20 ter dell’art. 83 del decreto Cura Italia, pure esso applicabile in quanto compatibile all’arbitrato ai sensi del comma 21. La norma consente, «fino alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione del contagio da COVID-19», che la procura possa essere validamente sottoscritta anche senza che parte e difensore incaricato si incontrino fisicamente come finora era necessario dovendo quest’ultimo certificare l’autografia della sottoscrizione (art. 83, comma 3, [continua ..]
Di questi tempi ogni conclusione non può che essere provvisoria, come la legislazione emergenziale che si affastella con cadenza sempre più ravvicinata. Vorrei quindi formulare qualche spunto che sia anche di auspicio affinché il nostro legislatore non dimentichi la specialità del rito arbitrale e colga l’occasione della conversione del decreto Ristori per rimediare, recuperando il tempo perduto. Inizio con una proposta che impatta sul “sistema” degli artt. 83 del decreto Cura Italia, 221 del decreto Rilancio e 23 ss. del Decreto Ristori [34] e mira a eliminare il disallineamento temporale fra le misure processuali: quelle dell’art. 23 restano in vigore fino al 31 gennaio 2021 (così desumibile dal cervellotico rinvio al termine «di cui all’articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35»), mentre l’art. 221 si applica fino al 31 dicembre (comma 1; termine così prorogato dall’art. 1, comma 3, d.l. 30 luglio 2020, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 25 settembre 2020, n. 124, come modificato dal d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, non ancora convertito); inoltre, va ricordato che è ancora operante il comma 20 ter dell’art. 83 del decreto Cura Italia (d.l. 18/2020) che avrà effetto fino «alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale». Riterrei opportuna un’uniformazione dei termini trattandosi in tutti i casi di misure che operano per le medesime finalità e sulla base di eguali presupposti di limitazioni agli spostamenti e agli incontri di persona. Si potrebbe optare indifferentemente per un unico termine (con il rischio di dover poi valutare di tempo in tempo la proroga) oppure per una clausola di cessazione di efficacia “mobile” sull’esempio del comma 20 ter dell’art. 83, e dunque fino alla revoca delle misure di distanziamento sociale. È una valutazione discrezionale anche di natura politica. A livello tecnico suggerirei la prima (termine fisso, salvo proroga) perché consentirà al legislatore di rivalutare di tempo in tempo se vi sia esigenza di confermare tutte o solo alcune misure in ragione dell’andamento della situazione epidemiologica. In ogni caso, è auspicabile un intervento del legislatore per prevenire rischi di [continua ..]