Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Trasferimento di ramo d'azienda: rilevanza del contratto preliminare; dolo incidente; garanzia convenzionale (di Oreste Cagnasso e Ferruccio M. Sbarbaro)


La nota approfondisce alcune questioni emerse a seguito del trasferimento di un ramo d’azienda perfezionato attraverso un atto di cessione dal contenuto difforme rispetto al relativo preliminare, accertato un valore effettivo dell’avviamento inferiore a quello dedotto in contratto. In particolare, la “minore convenienza dell’affare” rileva sia quale conseguenza del dolo perpetrato in fase precontrattuale che come inadempimento di garanzie convenzionali assunte dal cedente, aprendo a una serie di riflessioni in ordine, tra l’altro, alla compatibilità tra i diversi regimi di tutela del cessionario e alla quantificazione del danno risarcibile.

Transfer of a business unit: relevance of the preliminary contract; fraud; conventional guarantee

The essay analyzes a number of issues arising as a result of the transfer of a business unit completed through a transfer deed with a different content compared to the preliminary contract, ascertaining an actual value of goodwill lower than that deducted in the contract. In particular, the “lesser convenience of the deal” shows both as a consequence of the fraud committed in the pre-contractual phase and as a default of conventional guarantees assumed by the seller, opening a series of reflections in order, among other things, to the compatibility between the different protection systems of the transferee and the quantification of the compensable damage.

Lodo Torino, 12 giugno 2018 (Anna Barbero arbitro unico) – Società Caffè Alfa s.r.l. – Società Delta Caffè s.a.s di Tizio Lucio & C. Contratto – Contratto preliminare e definitivo – Prevalenza – Indagine caso per caso Il contratto preliminare può essere utilizzato per individuare la comune intenzione delle parti nello stipulare il contratto definitivo attraverso una ricostruzione della stessa nel singolo caso concreto (33). Contratto – Vizi – Dolo incidente – Elementi costitutivi – Raggiri – Diligenza A prescindere dall’oggetto del contratto, il dolus incidens ricorre in presenza di raggiri perpetrati in mala fede dal deceptor, che risultino idonei a trarre in inganno il deceptusche abbia adottato il buon senso e la normale diligenza e presuppone che, in assenza dei raggiri, il contratto sarebbe stato concluso a condizioni diverse (34). Contratto – Vizi – Dolo incidente – Minore convenienza dell’affare – Interesse positivo – Valutazione dell’avviamento Anche nel caso di trasferimento d’azienda, l’ammontare del danno risarcibile ex art. 1440 c.c. coincide con il “pieno interesse positivo” che sarebbe sorto in capo al soggetto se il regolamento contrattuale fosse stato definito in assenza del dolo e, non esaurendosi nella difformità del contratto concluso rispetto a quello idealmente impostato, si estende alla totalità dei danni, analizzati nel loro complesso; la valutazione quantitativa deve concentrarsi sull’avviamento e non esaurirsi nel calcolo della minore produttività del ramo d’azienda emersa in epoca successiva al trasferimento, verificando invece quale fosse la reale potenzialità reddituale all’epoca della cessione (35). Contratto – Garanzie convenzionali – Valore del ramo d’azienda – Inadempimento Anche al di fuori dell’ipotesi di dolo, il cedente che abbia assunto una espressa garanzia sul valore economico del ramo d’azienda è tenuto a manlevare e tenere indenne il cessionario da ogni perdita connessa alla “minor convenienza dell’affare” (36).         In diritto 1. Il rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo. Entrambe le domande azionate dall’attrice (quella di accertamento della sussistenza del dolo incidente ex art. 1440 c.c., con conseguente risarcimento del danno e quella di manleva ed indennizzo) si fondano sulle garanzie in ordine alla consistenza del fatturato e dell’avviamento del ramo d’azienda ceduto (sia in termini di quantitativi di merce venduta, sia in termini di prezzi applicati), rilasciate dalla Delta in sede di stipula del contratto preliminare, ma non riprodotte nel contratto [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso di specie - 2. Il contenuto del contratto preliminare e del contratto definitivo - 3. Il dolo incidente ex art. 1440 c.c. nell’infedele rappresentazione del complesso aziendale - 4. L’efficacia della garanzia convenzionale sul valore del ramo d’azienda ceduto - 5. La determinazione delle poste risarcitorie rispetto alla “minore convenienza dell’affare” - NOTE


1. Il caso di specie

Nel caso di specie una società ha stipulato un contratto preliminare di vendita di ramo d’azienda prevedendo in particolare la cessione del portafoglio clienti relativo all’attività di commercio all’ingrosso ed al dettaglio di caffè e prodotti similari, dichiarando che alla data di stipulazione il consumo medio, calcolato su base annua, del portafoglio ceduto era pari ad un certo ammontare di quintali al mese ed il prezzo medio praticato alla clientela era di un certo ammontare di euro al chilogrammo. Ha inoltre dichiarato la veridicità di quanto affermato e si è impegnata a tenere totalmente indenne e manlevare il promissario acquirente da qualsiasi perdita derivante dalla violazione delle dichiarazioni e garanzie. Sempre all’interno del contratto preliminare le parti riconoscevano che l’atto di cessione del ramo d’azienda veniva sottoscritto al solo fine di perfezionare l’operazione a termini di legge ed effettuare i depositi e le iscrizioni previsti senza alcun effetto novativo e/o modificativo del preliminare. A pochi giorni di distanza veniva concluso il contratto definitivo. La società attrice ha «lamentato la non veridicità delle informazioni rese dalla convenuta in fase precontrattuale in ordine alla reale consistenza del ramo d’azienda ceduto e la mancanza delle qualità promesse in relazione al valore dell’avviamento (sia in termini di quantitativi di merce venduta, sia in termini di prezzi applicati)»: così si legge nella parte in fatto del lodo. Su tale fondamento la parte attrice ha invocato la sussistenza del dolo incidente nelle trattative precontrattuali, nonché la violazione delle dichiarazioni contenute nel contratto preliminare, con il conseguente diritto ad essere tenuta indenne e manlevata dalle perdite subite. Parte convenuta, oltre a respingere le domande avversarie, contestando la sussistenza dei fatti dedotti da parte attrice, ha eccepito che le pattuizioni contenute nel contratto preliminare non sopravvivono al rogito successivo, unica fonte dei rapporti tra le parti.


2. Il contenuto del contratto preliminare e del contratto definitivo

La motivazione del lodo contiene una pregevole analisi della posizione della giurisprudenza sui rapporti tra il contenuto del preliminare e quello del definitivo. Secondo l’opinione tradizionale il contratto preliminare rappresenterebbe semplicemente un accordo sostanzialmente diretto ad impegnare le parti a stipulare quello definitivo, che racchiude il completo contenuto dell’accordo raggiunto. In altre parole, il preliminare avrebbe una mera funzione preparatoria e strumentale rispetto al definitivo, che rappresenta il vero punto di arrivo della volontà delle parti. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale di tipo tradizionale, con particolare riferimento alle vendite immobiliari, la fonte del regolamento contrattuale sarebbe pertanto da ricercare esclusivamente nel contratto definitivo. Tale conclusione troverebbe fondamento nella circostanza per cui il preliminare contiene il solo obbligo avente per oggetto la stipulazione del definitivo e comunque sarebbe superato da quest’ultimo. Tale conclusione non vale solo nel caso in cui sia previsto un patto contrario, formulato per iscritto nel caso delle vendite immobiliari [1]. Tuttavia, come sottolineato nel lodo, sussiste un diverso orientamento, per cui la conclusione richiamata non trova applicazione qualora il definitivo non esaurisca gli obblighi previsti nel preliminare, occorrendo in tal caso accertare la volontà delle parti, tenuto conto anche del contenuto del preliminare [2]. Partendo da tali premesse non può che giungersi alla conclusione per cui, in caso di difformità di contenuti, prevale quello del definitivo, salva un’espres­sa diversa volontà delle parti. Tuttavia, come sottolineato nella motivazione del lodo, non sempre il rapporto così delineato tra preliminare e definitivo corrisponde alla volontà delle parti. Il caso in esame appare emblematico: le parti hanno svolto ampie trattative ed hanno manifestato la loro volontà attraverso il preliminare. Non solo, ma nello stesso preliminare hanno dichiarato che il definitivo veniva stipulato solo ai fini della pubblicità e che la loro volontà era contenuta nel preliminare, escludendo effetti modificativi o novativi derivanti dal definitivo. E ancora: il definitivo è stato stipulato pochi giorni dopo il preliminare. Pertanto non sussiste una diversa collocazione a [continua ..]


3. Il dolo incidente ex art. 1440 c.c. nell’infedele rappresentazione del complesso aziendale

3.1. Verificata la perdurante efficacia delle richiamate pattuizioni contenute nel preliminare, il provvedimento procede ad analizzare la domanda di accertamento della sussistenza del dolo incidente ex art. 1440 c.c. In particolare, secondo la ricostruzione offerta dalla società attrice, il raggiro – contestato in toto da parte convenuta – consisterebbe (i) nell’aver fornito «documentazione inveritiera in ordine alla reale consistenza del giro d’affari», (ii) nell’aver reso «dichiarazioni inveritiere nell’ambito del contratto preliminare» circa il volume di vendite, (iii) nell’avere «omesso di consegnare gli allegati […] citati nel contratto preliminare» e descrittivi del portafoglio clienti, (iv) nell’avereindotto un cliente (che da solo rappresentava oltre il 20% del fatturato del ramo d’a­zienda ceduto) a non rifornirsi presso il cessionario; di guisa che l’attrice avrebbe così concluso il contratto «a condizioni economiche diverse da quelle che, senza l’inganno, avrebbe accettato, con conseguente pregiudizio economico» [4]. A prescindere dall’oggetto del contratto, la valutazione deve concentrarsi sugli elementi costitutivi del dolus incidens [5]: l’esistenza di raggiri perpetrati in mala fede dal deceptor, l’idoneità di tali raggiri a trarre in inganno il deceptus (che abbia adottato il buon senso e la normale diligenza), l’evidenza che in assenza dei raggiri il contratto sarebbe stato concluso a condizioni diverse; peraltro, i primi due elementi risultano comuni anche al dolus causam dans, il quale invece determina il perfezionamento di un contratto che altrimenti non avrebbe visto la luce [6]. Nella prospettiva della circolazione del ramo d’azienda in questione, la mala fede del cedente viene riscontrata nelle dichiarazioni mendaci [7] circa il valore del “portafoglio clienti” rese nell’ambito del contratto preliminare, in specie relative sia al prezzo medio praticato ai suddetti clienti, sia al complessivo volume di vendite. Al mendacio, tuttavia, deve aggiungersi un quid pluris al fine di configurare quei “raggiri” che attivano la fattispecie di cui agli artt. 1439-1440 c.c. per via della loro idoneità a “sorprendere” [continua ..]


4. L’efficacia della garanzia convenzionale sul valore del ramo d’azienda ceduto

Il lodo in commento accoglie la domanda attorea anche sotto il profilo della violazione delle dichiarazioni circa il valore economico del “portafoglio clienti”, oggetto di apposita obbligazione di garanzia a carico del cedente nell’ambito del contratto preliminare. Peraltro, nel caso di specie venivano garantite sia la consistenza attuale che la capacità reddituale del ramo d’azienda ceduto – che coincideva con il “portafoglio clienti” in parola – «traducendo il valore dell’avviamento in una espressa obbligazione contrattuale» [20]. Dinanzi a pattuizioni esplicite e, in particolar modo, a garanzie che incidono su valori riscontrabili per tabulas con connesso obbligo di totale manleva relativo al “minor valore” o a “qualsiasi perdita”, l’accertamento della responsabilità del cedente è decisamente agevolato; d’altronde, a prescindere dal dolo, il minor valore del bene oggetto della compravendita costituisce inadempimento della specifica obbligazione e la quantificazione del danno è facilitata dai parametri utilizzati in sede di descrizione contrattuale del complesso aziendale. Lo scenario si complica, invece, qualora ci si interroghi sull’esistenza di garanzie legali in capo al venditore e attive pur in assenza di espresse previsioni contrattuali che riducano ad unità il valore dell’avviamento. Nel caso di trasferimento d’azienda (o ramo), una sintesi tra teorie unitarie e posizioni atomistiche potrebbe delineare il seguente scenario applicativo: (i) giacché la disciplina legale della circolazione deve frazionarsi rispetto ai singoli beni che compongono il complesso aziendale (art. 2556, comma 1, c.c.), sul piano formale si è tenuti a valutare separatamente i rispettivi vizi e i connessi profili rimediali; (ii) simmetricamente, il cessionario dell’azienda potrà esperire un’azione di risarcimento solo se i beni viziati sono essenziali all’esercizio dell’impresa o comunque assumono un rilievo non trascurabile nell’ambito dell’universalità che compongono [21]. Ancor più delicata è la valutazione in ordine alla possibilità per l’ac­qui­rente di una partecipazione sociale di ottenere un risarcimento fondato sul minor valore dell’azienda sottesa, in mancanza di apposite garanzie [continua ..]


5. La determinazione delle poste risarcitorie rispetto alla “minore convenienza dell’affare”

Alla non corrispondenza di valore, accertata in giudizio, tra azienda descritta (e promessa) e azienda trasferita consegue la necessità di determinare un quantum risarcitorio [30]. Il criterio da seguire, peraltro, nella sostanza non varia a seconda che la prospettiva sia di riallineare lo squilibrio contrattuale creato attraverso il dolus incidens ovvero di “manlevare e tenere indenne” il cessionario dalle perdite derivanti dall’inesattezza delle dichiarazioni e garanzie e dunque dall’inadem­pimento del contratto (preliminare, nel caso di specie): il danno da risarcire coincide in ogni caso, infatti, con la “minore convenienza dell’affare”. Occorre però, allora, sintetizzare in quest’ultima locuzione il danno emergente (il “maggiore aggravio economico”) con il lucro cessante (il “minore vantaggio”) nell’ambito di una valutazione quantitativa che si concentri sul­l’avviamento e che non si esaurisca nel calcolo della (minore) produttività del ramo d’azienda emersa in epoca successiva al trasferimento, verificando invece quale fosse la reale potenzialità reddituale all’epoca della cessione [31]. Nel­l’ottica predetta, d’altronde, si spiega l’opportunità della condanna al pagamento di una somma rivalutata e maggiorata di interessi. Viene altresì in rilievo il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto, sia per convalidare il calcolo svolto sulla base del criterio appena menzionato (la potenzialità del ramo d’azienda alla data della cessione è parametro accettabile solo, come osserva il lodo in commento – p. 40 – «qualora adeguatamente seguito e coltivato» dal cessionario), sia per delineare il perimetro del danno rispetto alla minor consistenza del portafoglio clienti, che potrebbe collegarsi non solo all’inesistenza ab origine ma anche alla perdita dei rapporti commerciali verificatasi in epoca successiva al trasferimento. In particolare, il venir meno di un cliente “reale” potrebbe essere attribuibile ai comportamenti – anche semplicemente omissivi – del cessionario, oltre che più in generale alle condizioni di mercato, e in tal caso non costituire una posta risarcitoria. Viceversa, qualora ciò possa essere [continua ..]


NOTE