Il contributo riproduce il testo di un parere reso in tema di competenza di un collegio arbitrale a decidere su una domanda di arricchimento senza giusta causa promossa ai sensi dell’art. 2041 del codice civile.
Parole chiave: Arbitrato, Arricchimento senza giusta causa.
The paper reproduces the text of a legal advice rendered on the subject of the jurisdiction of an arbitration panel to decide on a claim of unjust enrichment brought under Article 2041 of the Civil Code.
Keywords: Arbitration, Unjust enrichment.
1. Sintesi della vicenda processuale - 2. Questioni - 3. Considerazioni conclusive - NOTE
S., assumendosi creditrice di C. di una somma di denaro, dovuta a titolo di ritenute a garanzia sugli importi fatturati, di saldo contrattuale e di oneri sostenuti in variante, richiedeva e otteneva dal Tribunale di Roma, in data 18 settembre 2015, un’ingiunzione di pagamento per complessivi euro 1.137.899,95. C. proponeva atto di opposizione avverso il decreto ingiuntivo, eccependo, pregiudizialmente, l’incompetenza del Tribunale in ragione della clausola compromissoria di cui all’art. 9 del Contratto di appalto del 15 novembre 2011. Nelle more del giudizio (poi definito con sentenza del 12 ottobre 2019, n. 19598 dal Tribunale di Roma, da presumere transitata in giudicato per omessa impugnazione, che «dichiara[v]a l’incompetenza del Tribunale a decidere la controversia, in ragione dell’esistenza di una valida clausola arbitrale contenuta nel contratto concluso tra le parti» (di seguito anche solo la “Sentenza”) e, pertanto, disponeva revoca del d.i. (S. parallelamente promuoveva un procedimento arbitrale con domanda del 12 novembre 2018, con la quale richiedeva al costituendo Collegio di accertare l’inadempimento della C. agli obblighi di cui al Contratto di appalto del 15 novembre 2011 e, dunque, di condannare la stessa al pagamento della identica somma di euro 1.137.899,95, sempre dovuta ai medesimi titoli contrattuali, oltre al risarcimento dei danni asseritamente subiti, con riserva di successiva specificazione delle domande in corso di causa. Per quanto rileva ai fini del presente parere, a fronte dell’atto di resistenza di C., istante per la reiezione dell’avversaria domanda, S., con la prima memoria, definitivamente quantificando la richiesta a titolo contrattuale nella somma di euro 2.850.880,28, avanzava, in via subordinata rispetto a tale domanda, anche quella di arricchimento senza causa per il medesimo importo di euro 2.850.880,28, rispetto alla quale C. eccepiva, con la seconda memoria, l’inammissibilità per incompetenza degli arbitri; eccezione, però, disattesa dal Collegio, che, infine, accoglieva (ancorché per un importo inferiore) la domanda di condanna, ex art. 2041 c.c. Avverso il Lodo è stata proposta impugnazione per nullità da C., facendo valere dinanzi alla Corte d’Appello di Roma – per il solo profilo che interessa in questa sede – la nullità, ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. [continua ..]
Ciò premesso, appare dirimente, ai fini della risoluzione del quesito sopra la sussistenza (o meno) di competenza del Collegio arbitrale in parte qua, l’analisi delle seguenti questioni: 1. Sul contenuto della regiudicata formatasi a seguito della Sentenza sulla competenza del Collegio arbitrale. 1. Per stabilire la portata degli effetti che la Sentenza è in grado di proiettare sul procedimento arbitrale occorre anzitutto valutare l’attitudine di questa a farsi vincolante per il Collegio in ordine alla competenza a ulteriormente decidere nel merito la controversia; soltanto di seguito, si potrà eventualmente incedere nella disamina dell’ampiezza delle questioni altrimenti coperte dal giudicato e del modo in cui ne rimane affetto il giudizio arbitrale. Due sono gli interrogativi che immediatamente vengono in rilievo sul principale tema di indagine: uno è quello propriamente relativo alla generale attitudine della Sentenza a spiegare effetti vincolanti per gli arbitri rispetto alla loro competenza a decidere della controversia; un altro, invece, riguarda la circostanza particolare che il procedimento arbitrale in esame non è conseguito alla declaratoria di incompetenza dell’A.G., ma è stato introdotto ancora in pendenza del giudizio avanti al Tribunale di Roma. In relazione al primo, va rilevato come l’execeptio compromissi (recte, la natura di questa) sia andata, in progresso di tempo, soggetta a mutevoli ricostruzioni. Dapprima considerata una questione di competenza [2], è stata, successivamente alla sentenza delle Sezioni Unite del 2000, assimilata a una di merito [3] e, poi, nuovamente, in conseguenza della novella del 2006, ricondotta (definitivamente) nel novero di quelle di competenza [4]. Vero è, piuttosto, volendo usare le parole di S.U. 18 novembre 2016, n. 23463, che «l’ascrizione al rito o al merito di una questione non dipende da un’immutabile natura delle cose, […] bensì dalle diverse funzioni che la questione può assumere anche in ciascuna fase di uno stesso giudizio. Infatti nella prospettiva del giudizio la stessa distinzione tra norma sostanziale e norma processuale è solo relativa: norma sostanziale essendo quella che funge da criterio di giudizio, da regola di inferenza esibita a garanzia dell’argomentazione che ascrive determinate conseguenze giuridiche a un fatto; norma [continua ..]
La disamina finora condotta consente di rassegnare le seguenti considerazioni conclusive. Deve ritenersi sussistente la competenza del Collegio a conoscere e decidere della domanda di arricchimento senza causa avanzata da S., per essere la relativa questione tanto necessariamente quanto naturalmente deducibile in arbitrato; e ciò per due ordini di ragioni. Uno, di carattere particolare rispetto alla vicenda processuale, deriva dal previo passaggio in cosa giudicata, all’atto di deliberazione del Lodo, della Sentenza, che aveva già statuito sopra la competenza degli arbitri a decidere nel merito del rapporto sostanziale tra S. e C. – come virtualmente integrabile sin dal giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo altresì con la domanda ex art. 2041 c.c., pur lì naturalmente deducibile – e che, quindi, inibiva al Collegio ogni diversa decisione in punto di decidibilità nel merito della domanda proposta in via subordinata. L’altro, di carattere più generale, origina dall’art. 808-quater c.p.c., che, costituendo uno dei cardini interpretativi della volontà compromissoria delle parti, è tale da includere nell’ambito delle controversie devolute in arbitri, a fronte di apposita convenzione accessoria al contratto, anche le liti di derivazione non immediatamente contrattuale che occasionino purtuttavia nel rapporto originato dal contratto, inteso però quale fatto storico da cui trae vita la vicenda infine contenziosa, potendosi escludere la sussistenza della volontà compromissoria solo a fronte di una espressamente operata (o, comunque, desumibile aliunde) esclusione ricercata dalle parti: ciò che, però, non è ravvisabile nella fattispecie in esame, ivi ricorrendo, anzi, indici letterali militanti a favore della deliberata inclusione della questione ex art. 2041 c.c. nel novero di quelle compromettibili. Dunque, l’impugnazione per nullità ex art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., avanzata da C. avverso il Lodo, in relazione a tali profili, non pare godere di «una ragionevole probabilità di essere accolta». Più specificamente, la condotta processuale della parte (che ha dapprima eccepito l’incompetenza del giudice statuale e, poi, in arbitrato, specularmente quella del Collegio) parrebbe votata finanche a una declaratoria di inammissibilità dello specifico motivo di impugnazione, in [continua ..]