Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

La commissione Alpa e le ADR nei contratti pubblici (di Ferruccio Auletta)


L’autore confronta le proposte normative della Commissione ministeriale con gli esiti legislativi avutisi con l’approvazione del d.lgs. n. 56/2017.

The Alpa committee and ADR in public contracts

The A. compares the proposals outcoming from the Alpa Committee with the legislative results set by d.lgs. n. 56/2017.

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SOMMARIO:

1. La Commissione, i suoi scopi e l’Anac - 2. L’accordo bonario e le esperienze di Irlanda e Regno Unito (e Perù) - 3. L’arbitrato e la sua crescente pubblicizzazione - 4. La de-giudiziarizzazione delle funzioni di assistenza dell’arbitrato - 5. La disciplina transitoria del d.lgs. n. 56/2017 e le convenzioni di arbitrato anteriori alla legge “Severino” (n. 190/2012) - NOTE


1. La Commissione, i suoi scopi e l’Anac

Ho preso parte ai lavori della «Commissione di studio per l’elaborazione di ipotesi di organica disciplina e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e al­l’arbitrato», guidata da Guido Alpa, senza alcun impegno rappresentativo della Camera Arbitrale per i contratti pubblici dell’Anac [1], di cui pure porto – con Alberto Massera, che qui intendo onorare – la responsabilità [2]. E, proprio per l’esperienza sperimentata in tali funzioni, ho creduto di promuovere, in particolare, nuove soluzioni normative, spendibili sin dall’emanazione del decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici, a un anno dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016. Mi sono dunque concentrato sulla materia dei contratti pubblici e sugli inerenti modi di risoluzione delle controversie alternativi rispetto al­l’adizione dell’A.G., infine avendo il Consiglio dell’Anac prestato formale a­desione all’iniziativa di riforma [3].


2. L’accordo bonario e le esperienze di Irlanda e Regno Unito (e Perù)

Ho anzitutto condiviso l’idea di innalzare il livello di quel che direi una sorta di “residuo fisso” del procedimento per “accordo bonario”, facendo in modo che, dopo l’esperimento dell’attività del terzo imparziale che promuove l’inte­sa (e i costi relativi al procedimento di selezione prima ancora che di remunerazione dell’esperto: artt. 205 e 206 c.c.p.), ciascuna parte non rimanesse libera di ricusare finanche arbitrariamente la soluzione individuata. Così, anche stu­diando la riforma irlandese dei “public works contracts”, entrata in vigore dieci anni fa, avevo notato un punto di speciale continuità tra i regimi che si erano avvicendati nel tempo, con evidente apprezzamento per la capacità di uno specifico istituto, nella sostanza mantenuto pur nell’evidente novità del jus superveniens, atto a produrre «over 80 per cent of disputes being settled or resolved at that stage» [4]. Si tratta(va) della figura della “recommendation”, elaborata necessariamente dal conciliatore in caso di fallimento del tentativo obbligatorio preliminare: egli normalmente produceva una proposta di mero “financial settlment” destinata, all’esito di un intervallo lasciato alla libertà di rifiuto di parte, a divenire intanto “binding”, ferma la possibile devoluzione in giudizio della materia con­troversa per lasciarne conseguire la decisione vera e propria, final oltre che binding. Sennonché, ancora con la riforma, era stato richiesto al conciliatore di non limitare l’evasione del suo ufficio all’emissione di una “monetary recommendation”, ma gli si imponeva di formulare una proposta fondata sugli esatti ter­mini contrattuali, comunque “binding in the interim”. E ciò per indurre, in ma­niera apertamente dichiarata, il beneficio di un affidabile “cash flow of claimants”, cioè – normalmente – degli appaltatori, peraltro chiamati a garantire con appositi mezzi finanziari o assicurativi la ripetibilità di quanto percepito per il caso che «an arbitrator later modifies or overturns the conciliator’s recommendation»[5]. Ho ritenuto di prendere le mosse dall’esperienza irlandese perché la stessa, con maggiore prossimità [continua ..]


3. L’arbitrato e la sua crescente pubblicizzazione

Quanto all’arbitrato vero e proprio (l’adjudication – è bene comunque chia­rire – si ritiene a quest’ultimo estranea anche per la alienità, allo stato ritenuta, dall’ambito applicativo della Convenzione di New York del 1958), rimane necessariamente amministrato adesso dalla Camera per i contratti pubblici presso l’Anac, dove si concreta nel nostro sistema la forma – pure altrove nota – «of centrally gathering and processing awards» [10]. Si pensi che – tornando al­l’ordinamento irlandese – gli Arbitri devono anche lì rimettere entro 14 giorni dalla comunicazione del lodo fatta alle parti una copia di quello al Department of Finance – National Public Procurement Policy Unit, e ciò per mera informazione confidenziale (indubbiamente una raccolta non ordinata a fini di trasparenza com’è attualmente nel nostro Paese): dunque, l’Arbitro nella materia dei contratti pubblici mantiene una posizione differenziata e qualificata nel­l’ordinamento, e viene a distinguersi ora per taluni “additional powers” ora per assai peculiari doveri. Al riguardo, ho allora creduto – in coerenza con le proposte già avanzate dal Consiglio Arbitrale [11] – di promuovere una connotazione di tale arbitrato amministrato in senso ancor più pubblicistico e di specialità disciplinare, a co­minciare dalla qualificazione attribuibile ad Arbitri (e consulenti) in termini di­versi da quanto risulta attualmente per gli Arbitri di diritto comune, invero non astretti dallo statuto penalistico dell’incaricato di pubblico servizio. Autorevoli colleghi hanno criticato questa opzione, per cui si tratterebbe di «scelta che snatur[a] totalmente il senso dell’arbitrato, che si avvia sulla pericolosa china di una giurisdizione speciale» [12]. Personalmente, non credo che il successo dell’arbitrato possa oltremodo risiedere nel nativo giusprivatismo e nella oltranzistica difesa di una non più (ratione materiae almeno) giustificabile privatezza [13]. L’arbitrato in materia di appalto di lavori, servizi e forniture in cui l’erario è direttamente o indirettamente interessato postula elevatissimi livelli di specialità, sul piano legislativo, che neppure è più [continua ..]


4. La de-giudiziarizzazione delle funzioni di assistenza dell’arbitrato

L’accresciuta specialità della disciplina, il suo intimo rigore unito al monopolio nell’amministrazione del procedimento da parte del soggetto pubblico costituito entro l’Autorità di settore consentirebbero pure di introdurre la figura dell’Arbitro unico (suggerita per valore di domanda inferiore o pari a euro 1.000.000,00 [19]), in ultimo anche più coerente con i limiti remunerativi che si applicano ai soggetti incaricati di dirimere le liti arbitrali. Quindi, nella logica del discarico di incombenti non veramente giurisdizionali – o, come usa dire in Francia, de-giudiziarizzazionedegli affari – appare coerente munire gli atti della Camera Arbitrale di effetti che rendano soltanto eventuale e non preventivamente necessaria l’adizione dell’A.G., pur dopo che, per es., siano stati liquidati i crediti esigibili da Arbitri e periti verso le parti, i quali non consistono allo stato di titoli esecutivi direttamente azionabili (ma soltanto di prove scritte ex lege dichiarate idonee alla tutela monitoria). Del pari, sembra superfluo che l’A.G. – nella specie: il presidente del Tribunale [20] – debba per forza venir compulsata per ragioni di assistenza all’effettività del corso arbitrale, e non senza rischio di antinomie allo stato presenti: per l’art. 810, comma 3, c.p.c., per es., il Presidente del Tribunale «provvede alla nomina [dell’arbitro] richiestagli» per conto della parte astenutasi dalla designazione; eppure, la determinazione dell’A.G. non potrebbe che assumere essa stessa il rango della pura designazione, se è vero che il Collegio rimane in ogni caso di “nomina” esclusivamente del Consiglio Arbitrale (art. 209, comma 4, c.c.p.). Più in generale, allora, un Collegio di pubblici ufficiali, qual è quello della Camera Arbitrale, potrebbe adeguatamente svolgere il ruolo di assistenza all’ar­bitrato mediante costante esercizio di enforcement delle misure necessarie agli Arbitri e per le quali è attualmente richiesto l’apporto sostitutivo del magistrato pur senza necessarietà costituzionale di tanto: necessarietà da riconoscersi –invece e senz’altro – per la sola misura dell’art. 816-ter, comma 3, c.p.c., vale a dire l’ordine di “comparizione” del [continua ..]


5. La disciplina transitoria del d.lgs. n. 56/2017 e le convenzioni di arbitrato anteriori alla legge “Severino” (n. 190/2012)

Il convincimento di poter immediatamente sfruttare gli esiti dei lavori della Commissione immettendo nel circuito legislativo le proposte sin dall’annunciata emanazione del decreto delegato di correzione del Codice dei contratti pubblici ha indotto a completare la rassegna dei temi con suggerimenti per la pragmatica soluzione del problema – destinato altrimenti a perdurare – del trattamento dei procedimenti nascenti da clausole compromissorie non preventivamente autorizzate nei modi in cui la legge c.d. Severino ha preso a prescrivere (ma soltanto) a far data dal novembre 2012. Stante il persistere di dubbi inerenti, pur nel sopravvenuto Codice dei contratti pubblici, della necessità di autorizzazione a posteriori dell’organo di governo alla parte pubblica rispetto a quegli arbitrati non già assistiti dall’appo­sita determinazione autorizzativa in sede contrattuale siccome anteriori all’en­trata in vigore della legge n. 190/2012, la Commissione ha proposto che «Per i contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge 6 novembre 2012, n. 190 e recanti la clausola compromissoria, l’organo di governo del­l’amministrazione può rifiutare il deferimento all’arbitrato entro venti giorni dalla notificazione della domanda della parte privata». Si tratta di soluzione coerente con la disciplina generale del silenzio assenso della pubblica amministrazione alla via arbitrale optata dalla parte privata nell’ambito del c.d. arbitrato forense a norma dell’art. 1, d.l. n. 132/2014 (conv. legge n. 162/2014), dove – ai fini del «trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria» – è previsto che «le parti, con istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile»; in particolare, per le «controversie di valore non superiore a 50.000 euro in materia di responsabilità extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, nei casi in cui sia parte del giudizio una pubblica amministrazione, il consenso di questa alla richiesta di promuovere il procedimento arbitrale avanzata dalla sola parte privata si intende in ogni caso prestato, salvo che la pubblica [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2017