Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

La testimonianza nel processo civile e arbitrale. Profili cognitivi e comportamentali (di Umberto Morera)


Lo scritto analizza i diversi profili psicologici e comportamentali del testimone nell’àmbito del processo civile e arbitrale; tematica sino a oggi poco studiata.

Viene dapprima trattato il momento della “percezione” degli accadimenti, così come influenzato da molteplici variabili, tra cui rilevano principalmente le scorciatoie mentali utilizzate dalle persone per colmare i propri deficit percettivi.

Viene quindi trattata la fase della “memorizzazione” degli accadimenti, analizzandone i limiti sia fisiologici (ad es. la c.d. “curva dell’oblio”) che psicologici (ad es. la tendenza alla rielaborazione dei ricordi e le interferenze che le informazioni successive possono avere sui ricordi stessi).

È poi analizzato il momento della “narrazione” degli accadimenti, con particolare attenzione alle tecniche di formulazione delle domande e alla conseguente loro influenza sulle risposte.

È infine trattato il momento della “valutazione” della testimonianza da parte del giudice, valutandone momenti e modalità.

Witness in civil and arbitral proceedings. Psychological and behavioural profiles

The writing analizes the various psychological and comportmental profiles of the witness in civil and arbitral cases, a topic which, up to now, has not been widely studied.

The moment of “perception” of what is happening is the first event to be taken into consideration; along with the influence of multiple variables, in which primarily, the mental shortcuts used by people in order to make up for their own perceptive shortcomings can be understood.

Then, the phase of “memorization” of events follows, through the analysis of the limits both under physiological (for example, the “curve of oblivion”) and psychological visual angles (for example, the tendency to modify memories and the interference that subsequent information can have on these same memories).

The moment of the “narrative” of events is then analyed; with particular attention to the techniques of the formulation of questions and to their consequent influence on the answers.

Lastly, the moment of witness evalutation by the judge is considered by classifying its moments and modalities.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La carente cultura giuridica della testimonianza - 3. La percezione degli accadimenti - 4. La memorizzazione degli accadimenti - 5. La narrazione degli accadimenti - 6. La valutazione della testimonianza - 7. Il paradosso del testimone


1. Premessa

L’argomento che tratterò in questo mio intervento necessita di un preliminare chiarimento. Da tempo ormai mi interesso di argomenti di confine, tra diritto e psicologia; in particolare, da alcuni anni mi occupo di finanza comportamentale (behavioral finance), cercando soprattutto di comprendere in qual misura il dato, ormai acquisito, dell’irrazionalità dell’in­vestitore possa (o, ancor meglio, debba) condurre ad un’efficiente rimodulazione della com­plessa legislazione in materia di tutela del risparmio e degli investimenti. L’impegno che ho assunto accettando di svolgere l’intervento odierno si inserisce nel solco di tale mio interesse culturale, ma affronta un argomento di confine – quello dei profili psicologici e cognitivi della testimonianza processuale – completamente diverso da quelli che ho sin qui studiato e trattato. Tenterò dunque, ben conscio della mia (pur relativa) “inesperienza”, di analizzare questi peculiari profili della testimonianza senza particolari ambizioni, nel limitato fine di offrire ai giuristi, soprattutto processual-civilisti, qualche utile spunto di riflessione; su cui magari pro­vare a costruire un ripensamento della prova orale, anche poi in una prospettiva de iure con­dendo. Del resto, l’occasione di trattare in questa particolare prospettiva la prova orale in un convegno dedicato specificamente all’arbitrato mi è sembrata assolutamente pertinente; se non altro perché, come anche di recente ben evidenziato da Carmine Punzi, mentre nel processo ordinario la rilevanza della prova testimoniale va sempre più perdendo terreno (i motivi sono troppo noti a chi abbia un minimo di esperienza di aule giudiziarie per dilungarmi su di essi), nel processo arbitrale, al contrario, detta prova ha un ruolo centrale e decisivo nel percorso che conduce ad una corretta formazione del lodo.


2. La carente cultura giuridica della testimonianza

Dico subito che, iniziando a studiare questa tematica, mi sono immediatamente reso conto che la cultura giuridica della testimonianza necessiterebbe di un deciso passo avanti; avreb­be, per così dire, bisogno di “evolvere”. Del resto, già al tempo della redazione dell’attuale codice di procedura civile, Francesco Carnelutti osservava sagacemente come la cultura dei nostri avvocati e giudici fosse rimasta, in punto di testimonianza, quella ... dei tempi di Beccaria. Il problema di fondo è costituito dal fatto che il testimone è prima di tutto, e necessariamente, una persona; e che pertanto il giudice o l’arbitro – per utilizzare al meglio lo strumento istruttorio della prova orale – non può limitarsi a porre l’attenzione sui fatti rappresentati, ad analizzare gli accadimenti narrati: dovrebbe conoscere e considerare anche la persona che rievoca e rappresenta detti fatti a chi è chiamato a giudicarli. L’impressione, in effetti, è che tutta l’attenzione sia ancora incentrata sul narrato, trascurando del tutto il narratore. Gli studi di psicologia cognitiva più attenti al fenomeno della testimonianza confermano del resto che la prova orale, per come attualmente considerata nell’ottica giuridica, rappresenta un istituto piuttosto carente sul piano concettuale, legislativamente disciplinato in modo superficiale, nonché scientificamente trattato in maniera piuttosto approssimativa. Mancano poi del tutto studi interdisciplinari approfonditi (tra diritto e psicologia) in questa materia.


3. La percezione degli accadimenti

Ciò posto, e venendo al profilo da trattare, appare evidente come il fenomeno della testi­monianza sia inquadrabile nell’àmbito di un processo mentale molto complesso ed articolato. Dal punto di vista cognitivo, è possibile suddividere detto processo in tre distinti momenti: la percezione, la memorizzazione e la narrazione; momenti che poi corrispondono, nel linguag­gio tecnico della psicologia, alla codifica, alla ritenzione ed al recupero. Sul piano cronologico, il primo momento che rileva è quello della percezione degli accadimenti (c.d. codifica), il quale risulta influenzato da molteplici variabili, poi sensibilmente dif­ferenti da individuo a individuo; quali ad esempio: le emozioni e le esperienze personali pre­cedenti, lo sviluppo più o meno articolato dei diversi sensi, i differenti tempi di attenzione, l’eventuale livello di stress, il sesso e la personalità del teste, e così via. Per evidenti esigenze di tempo non mi soffermerò su queste variabili della percezione, pur molto importanti soprattutto nelle testimonianze concernenti fatti dinamici e molto concentrati nel tempo (si pensi soltanto al noto incidente della nave Costa Concordia, con i suoi molteplici risvolti assicurativi dipendenti dalle testimonianze rese); limitandomi a trattare due soli profili, che reputo comunque piuttosto pertinenti rispetto all’incontro odierno. Innanzitutto, è stato dimostrato come la percezione di un accadimento possa variare, ed anche sensibilmente, in virtù di quella tendenza che gli psicologi chiamano “eguagliamento e miglioramento delle forme”: ove il dato errato o inesatto (che di per sé verrebbe percepito qual è se venisse osservato da solo), qualora risulti inserito in un contesto di dati corretti, tende a non essere percepito come errato. In simili circostanze si tende infatti a “livellare” il dato inesatto, omologandolo a quelli corretti. Ne deriva che il giudice o l’arbitro dovranno valutare con la massima attenzione critica quella testimonianza che svaluti l’esistenza di un fattore negativo (qualunque esso sia) qualora detto fattore risulti, per così dire, “inserito” in un contesto di fattori positivi e corretti. E si pensi, esemplificativamente, ad una serie continua di adempimenti, [continua ..]


4. La memorizzazione degli accadimenti

Il secondo momento nell’àmbito del quale deve inquadrarsi la testimonianza, successivo a quello della percezione, è quello della memorizzazione (c.d. ritenzione). La fase della memorizzazione presenta limiti sia fisiologici che psicologici. Con riguardo ai limiti fisiologici, risulta ormai da tempo sperimentato ed appurato che sussiste una normale “curva dell’oblio”, ove la perdita della memoria è inizialmente molto si­gnificativa e poi, con il tempo, tende sempre più a diminuire. Ma è stato di recente anche dimostrato che, perlomeno in relazione ai fatti più complessi ed articolati, la curva muta nella propria struttura: la memoria, per così dire, si organizza al meglio dopo un primo periodo di sedimentazione dei ricordi. Vi è dunque un periodo ottimale del ricordo (di fatti complessi), che non coincide affatto con il periodo iniziale, né con quello finale (più recente), bensì con quello intermedio tra i due. Dopo questo periodo intermedio la memoria comunque decresce ed il materiale immagazzinato viene via via perduto nel tempo. In ogni caso, i tempi lunghi del processo civile (ed anche di quello arbitrale, a ben vedere) non appaiono compatibili con il tempo di latenza ottimale della memoria; sicché il giudice o l’arbitro dovranno necessariamente fare i conti con la progressiva perdita di memoria del te­stimone, considerandola quindi nella sua giusta fisiologia. Decisamente più interessanti per il giudicante, rispetto ai limiti fisiologici, sono i limiti psicologici. Il primo di questi è la tendenza a rielaborare continuamente le informazioni acquisite durante la fase della percezione; sino magari a distorcerle completamente. Questo continuo rielaborare i ricordi è una diretta conseguenza del carattere costruttivo e non duplicativo del nostro processo mnemonico. I nostri ricordi non sono affatto statici, non sono assimilabili ad un album di fotografie; subendo al contrario una continua rielaborazione di quanto immagazzinato. La nostra memo­ria “costruisce” il ricordo, basandosi soprattutto sui cosiddetti schemi mentali, cioè sulle conoscenze strutturate che ognuno di noi ha di beni, persone, luoghi, azioni e situazioni complesse; schemi che ovviamente derivano dal peculiare contesto temporale, ambientale e culturale in [continua ..]


5. La narrazione degli accadimenti

Queste ultime riflessioni introducono la terza ed ultima fase del processo mentale nell’àm­bito del quale deve inquadrarsi la testimonianza; quella della narrazione (c.d. “recupero”). In questa fase è innanzitutto importante, come appena visto, il modo in cui viene formulata la domanda (che costituisce lo “stimolo” primario della memoria). Il principale rischio da evitare è infatti che il teste venga suggestionato dalle domande e dall’ambiente circostante. Già centovent’anni or sono il francese Alfred Binet, a cui si deve l’invenzione del primo test di intelligenza utilizzabile, compì un esperimento, diventato un classico in materia. Si mostrava un quadro con un bottone pitturato sulla tela in modo “iper-realistico”: (i) con una prima domanda, si chiedeva semplicemente di descrivere il quadro; (ii) con una seconda do­manda, si chiedeva come fosse fissato il bottone sulla tela; (iii) con una terza domanda, si chiedeva di quale colore fosse il filo che fissava il bottone alla tela, Alla prima domanda la percentuale di errori era limitata al 20%; alla seconda domanda la percentuale saliva al 40%; mentre alla terza gli errori si fissavano al 60% ... Il che ben dimostra come il modo in cui la domanda viene posta finisce per influenzare significativamente la risposta. Numerosi altri esperimenti empirici hanno poi confermato che le domande suggestive – quelle che implicano una certa determinata risposta, dandola quindi per presupposta – sono significativamente idonee ad influenzare la risposta, distorcendo la memoria ed implicando errori di rappresentazione del ricordo. Se pensiamo ora alle modalità con cui viene normalmente resa una testimonianza nel processo civile ed arbitrale italiano – ove il testimone quasi sempre deve dire se un certo fatto corrisponda o meno a verità; fatto poi rappresentato in un capitolo di prova, preceduto dalla formula “vero che” – è invero piuttosto facile rendersi conto di come al teste vengano pressoché sempre poste domande suggestive, le quali contengono già in sé una risposta (vero che ...). Ecco allora che, considerando i vari risultati cui sono giunti gli studi di psicologia cognitiva in argomento, da qualche anno si registra, soprattutto a livello internazionale, il [continua ..]


6. La valutazione della testimonianza

Assume poi un peculiare e non trascurabile rilievo anche il profilo della valutazione della testimonianza. Nell’esperienza pratica, di fatto mai la testimonianza è valutata non appena è stata resa, cioè “a caldo”; e questo rilievo mantiene una sua validità anche nell’àmbito di un procedimento arbitrale, ove gli arbitri avrebbero invero tutto il tempo di discutere tra loro delle dichiarazioni del teste, non appena terminata la sua deposizione (o comunque al termine del­l’udienza istruttoria). La prassi è infatti quella di rinviare quasi sempre l’analisi della testimonianza ad un momento successivo (anche di mesi, se non di anni), quando inevitabilmente saranno andati perduti, nelle memorie dei giudicanti, tutti quegli elementi verbali, emotivi e corporali che risulterebbero invece assai utili per ottimizzare il “risultato” dell’audizione. Sotto altro profilo, per la piena ed approfondita valutazione di una testimonianza (anche la testimonianza più delicata, rilevante e risolutiva) non si fa peraltro mai ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio; ed in quelle rare volte in cui ciò è stato fatto, si è ricorso non già a psicologi della testimonianza, bensì a psicologi clinici, i quali inevitabilmente utilizzano modelli di analisi pensati per far emergere patologie, non certo per appurare verità. E così, per valutare una testimonianza, si finisce soltanto per rileggere – spesso molto tempo dopo la deposizione – il verbale redatto nell’occasione della prova orale; verbale che sovente non contiene tutte quelle informazioni utili che invece, come ormai ci hanno bendimostrato gli studi di psicologia cognitiva, potrebbero essere ricavate dalla memoria di un testimone, opportunamente stimolato (prima) e valutato (poi).


7. Il paradosso del testimone